sabato 31 agosto 2013

Compassione



Tutte le lingue che derivano dal latino formano la parola compassione col prefisso «com-» e la radice passio che significa originariamente «sofferenza». In altre lingue, ad esempio in ceco, in polacco, in tedesco, in svedese, questa parola viene tradotta con un sostantivo composto da un prefisso con lo stesso significato seguito dalla parola «sentimento» (in ceco: soucit, in polacco: wspól-czucie, in tedesco: Mit-gefühl, in svedese: med-känsla).
Nelle lingue derivate dal latino, la parola compassione significa: non possiamo guardare con indifferenza le sofferenze altrui; oppure: partecipiamo al dolore di chi soffre. Un'altra parola di significato quasi identico, pietà (inglese: pity, frances: pitié, ecc.) suggerisce persino una sorta di indulgenza verso colui che soffre. Aver pietà di una donna significa che siamo superiori a quella donna, che ci chiniamo, ci abbassiamo al suo livello.
E' per questo che la parola compassione generalmente ispira diffidenza; designa un sentimento ritenuto mediocre, di second'ordine, che non ha molto a che vedere con l'amore. Amare qualcuno per compassione significa non amarlo veramente.
Nelle lingue che formano la parola compassione non dalla radice «sofferenza» (passio) bensì dal sostantivo «sentimento», la parola viene usata con un significato quasi identico, ma non si può dire che indichi un sentimento cattivo o mediocre. La forza nascosta della sua etimologia bagna la parola di una luce diversa e le dà un senso più ampio: avere compassione (co-sentimento) significa vivere insieme a qualcuno la sua disgrazia, ma anche provare insieme a lui qualsiasi altro sentimento: gioia, angoscia, felicità, dolore. Questa compassione (nel senso di soucit, wspól-czucie, Mit-gefühl, med-känsla) designa quindi la capacità massima di immaginazione affettiva, l'arte della telepatia delle emozioni. Nella gerarchia dei sentimenti è il sentimento supremo.


[...] Non c'è nulla di più pesante della compassione. Nemmeno il nostro proprio dolore è così pesante come un dolore che si prova con un altro, verso un altro, al posto di un altro, moltiplicato dall'immaginazione, prolungato da centinaia di echi.
  

M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere







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