venerdì 28 settembre 2018












Il senso del libro




Non si nasce con l'istinto della lettura come si nasce con quello di mangiare e bere. Si tratta di un bisogno culturale che può essere solo innestato nella personalità infantile. Sappiamo che è un'operazione quanto mai delicata, perché il solo paragone che sopporta è quello con l'innesto di un nuovo senso: il senso del libro, la capacità di usare il libro come uno strumento per conoscere il mondo, per conquistare la realtà, per crescere.

Gianni Rodari


 

 


giovedì 27 settembre 2018

martedì 25 settembre 2018

domenica 23 settembre 2018

A quattro zampe



Tutto è legato a una questione
di postura: nulla saprà degli animali
l’uomo eretto, dominus sprezzante
e onnipotente, mentre l’infante
che gattona a quattro zampe
vedrà la stessa scena, annuserà
gli stessi odori, spartirà
con loro inediti sapori.
L’unica chance offerta all’uomo
eretto è di sdraiarsi a terra:
osservando le stelle assieme agli animali,
magari scorderà di essere
una macchina di sopraffazione e guerra.

          Franco Marcoaldi 



















Think too much










sabato 22 settembre 2018

giovedì 20 settembre 2018

All I have to do is dream




Only trouble is, gee whiz
I’m dreaming my life away









Stella














mercoledì 19 settembre 2018

Books are














Ho da fare




Ho da fare
sto fabbricando
un modello di cuore
interamente nuovo
Un cuore
per il futuro: con cui sentire
e amare. Un cuore
con cui capire gli uomini
e anche in grado di dirmi a chi
io possa liberamente
stringere la mano-
e a chi
non dovrei tenderla
mai.

Semën Kirsanov










School




lunedì 17 settembre 2018

Pink Moon





I saw it written and I saw it say
Pink moon is on its way
And none of you stand so tall
Pink moon gonna get ye all
And it's a pink moon
Yes, a pink moon.


























sabato 15 settembre 2018

Sidone




 
SIDONE


Il mio bambino il mio
labbra grasse al sole
di miele
tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell'afa umida
dell'estate
e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al molo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio
l'eredità è nascosta
in questa città che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.










Ce lo dissero le mosche




Sabra e Shatila. Una strage rimasta impunita.
Ecco l'articolo che scrisse Robert Fisk uno dei primi giornalisti ad entrare 
dopo il massacro.

Furono le mosche a farcelo capire. Erano milioni e il loro ronzio era eloquente quasi quanto l'odore. Grosse come mosconi, all'inizio ci coprirono completamente, ignare della differenza tra vivi e morti. (…)
All’inizio non usammo la parola massacro. Parlammo molto poco perché le mosche si avventavano infallibilmente sulle nostre bocche. (...) 
Se a Sidone l’odore dei cadaveri era stato nauseante, il fetore di Shatila ci faceva vomitare. Lo sentivamo anche attraverso i fazzoletti più spessi. Dopo qualche minuto, anche noi cominciammo a puzzare di morto.
Erano dappertutto, nelle strade, nei vicoli, nei cortili e nelle stanze distrutte, sotto i mattoni crollati e sui cumuli di spazzatura. Gli assassini – i miliziani cristiani che Israele aveva lasciato entrare nei campi per «spazzare via i terroristi» – se n’erano appena andati. In alcuni casi il sangue a terra era ancora fresco. Dopo aver visto un centinaio di morti, smettemmo di contarli. In ogni vicolo c’erano cadaveri – donne, giovani, nonni e neonati – stesi uno accanto all’altro, in quantità assurda e terribile, dove erano stati accoltellati o uccisi con i mitra. In ogni corridoio tra le macerie trovavamo nuovi cadaveri. 
(…) 
Dappertutto, trovavamo i segni di fosse comuni scavate in fretta. Probabilmente erano state massacrate mille persone; e poi forse altre cinquecento.
Mentre eravamo lì, davanti alle prove di quella barbarie, vedevamo gli israeliani che ci osservavano. Dalla cima di un grattacielo a ovest – il secondo palazzo del viale Camille Chamoun – li vedevamo che ci scrutavano con i loro binocoli da campo, spostandoli a destra e a sinistra sulle strade coperte di cadaveri, con le lenti che a volte brillavano al sole, mentre il loro sguardo si muoveva attraverso il campo.
(...)
Quello che trovammo nel campo palestinese di Shatila alle dieci di mattina del 18 settembre 1982 non era indescrivibile, ma sarebbe stato più facile da raccontare nella fredda prosa scientifica di un esame medico. C’erano già stati massacri in Libano, ma raramente di quelle proporzioni e mai sotto gli occhi di un esercito regolare e presumibilmente disciplinato. Nell’odio e nel panico della battaglia, in quel paese erano state uccise decine di migliaia di persone. Ma quei civili, a centinaia, erano tutti disarmati. Era stato uno sterminio di massa, un’atrocità che andava ben oltre quella che in altre circostanze gli israeliani avrebbero definito una strage terroristica. Era stato un crimine di guerra.
(…)
Avremmo potuto accettare di trovare le tracce di qualche omicidio, una dozzina di persone uccise nel fervore della battaglia; ma nelle case c’erano donne stese con le gonne sollevate fino alla vita e le gambe aperte, bambini con la gola squarciata, file di ragazzi ai quali avevano sparato alle spalle dopo averli allineati lungo un muro. C’erano neonati – tutti anneriti perché erano stati uccisi più di ventiquattro ore prima e i loro corpicini erano già in stato di decomposizione – gettati sui cumuli di rifiuti accanto alle scatolette delle razioni dell’esercito americano, alle attrezzature mediche israeliane e alle bottiglie di whisky vuote.
Dov’erano gli assassini? O per usare il linguaggio degli israeliani, dov’erano i «terroristi»?
(...)
Appena superato l’ingresso sud del campo, c’erano alcune case a un piano circondate da muri di cemento. Avevo fatto tante interviste in quelle casupole alla fine degli anni settanta. Quando varcammo la fangosa entrata di Shatila vedemmo che tutte quelle costruzioni erano state fatte saltare in aria con la dinamite. (...)
In fondo a un vicolo sulla nostra destra, a non più di cinquanta metri dall’entrata, trovammo un cumulo di cadaveri. Erano più di una dozzina, giovani con le braccia e le gambe aggrovigliate nell’agonia della morte. A tutti avevano sparato a bruciapelo, alla guancia: la pallottola aveva portato via una striscia di carne fino all’orecchio ed era poi entrata nel cervello. Alcuni avevano cicatrici nere o rosso vivo sul lato sinistro del collo. Uno era stato castrato, i pantaloni erano strappati sul davanti e un esercito di mosche banchettava sul suo intestino dilaniato.
Avevano tutti gli occhi aperti. Il più giovane avrà avuto dodici o tredici anni. Portavano jeans e camicie colorate, assurdamente aderenti ai corpi che avevano cominciato a gonfiarsi per il caldo. 

(...)
Dall’altro lato della strada principale, risalendo un sentiero coperto di macerie, trovammo i corpi di cinque donne e parecchi bambini. Le donne erano tutte di mezza età ed erano state gettate su un cumulo di rifiuti. Una era distesa sulla schiena, con il vestito strappato e la testa di una bambina che spuntava sotto il suo corpo. La bambina aveva i capelli corti, neri e ricci, dal viso corrucciato i suoi occhi ci fissavano. Era morta.
Un’altra bambina era stesa sulla strada come una bambola gettata via, con il vestitino bianco macchiato di fango e polvere. Non avrà avuto più di tre anni. La parte posteriore della testa era stata portata via dalla pallottola che le avevano sparato al cervello. Una delle donne stringeva a sé un minuscolo neonato. La pallottola attraversandone il petto aveva ucciso anche il bambino. Qualcuno le aveva squarciato la pancia in lungo e in largo, forse per uccidere un altro bambino non ancora nato. Aveva gli occhi spalancati, il volto scuro pietrificato dall’orrore.
(...)
Era il più grave atto di terrorismo – il più grande per dimensioni e durata, commesso da persone che potevano vedere e toccare gli innocenti che stavano uccidendo – della storia recente del Medio Oriente.

https://goodbearblind.blogspot.com/search/label/Robert%20Fisk










giovedì 13 settembre 2018

mercoledì 12 settembre 2018

martedì 11 settembre 2018

Galaxies



Noi siamo l'incarnazione locale di un cosmo cresciuto fino all'autocoscienza. Abbiamo cominciato a comprendere la nostra origine: siamo materia stellare che medita sulle stelle. Se noi siamo fatti di atomi, uno scienziato che studia gli atomi è in realtà un gruppo di atomi che studia sè stesso. L'uomo non è altro che uno strumento del cosmo per conoscere sè stesso.

Carl Sagan



 














lunedì 10 settembre 2018

Prigioni




This is the biggest calf farm in the world, just outside Green Bay, Wisconsin. These young dairy cows will spend part of their adolescence in one of these little plastic calf hutches, which give them shelter and a place to rest, with a small coral out front. The individual hutches are designed to minimize the risk of contracting an illness from sharing the same pen with their cohort.













venerdì 7 settembre 2018

Suspirium



All is well as long as we keep spinning...






















giovedì 6 settembre 2018

A futura memoria












Settembre















Mela




Il giardino dell’Eden, quello con l’albero e la mela e quelli che danno un morso alla mela. L’hai presente?
Sì, certo.
Be’, c’è questo Dio, il vostro Dio, che piazza un melo in mezzo al giardino e dice: “Ragazzi, fate quello che volete, ma non mangiate le mele.” Caso straordinario, loro addentano una mela, ed ecco che lui ti salta fuori da dietro un cespuglio gridando: “Vi ho beccati, vi ho beccati!” Non avrebbe fatto molta differenza se non avessero mangiato la mela.
Perché no?
Perché quando hai a che fare con quel tipo di dèi, in trappola ci cadi sempre. Sai che cosa avrebbe detto se non l’avessero mangiato?
No. Che cosa?
"Ma per Dio, ragazzi... cioè per me... non potevate prendere un morso dall’albero della conoscenza? Adesso sono costretto a cacciarvi perché non sopporto di stare con due ignoranti, io che so tutto".

Douglas Adams, Ristorante al termine dell'universo




lunedì 3 settembre 2018

sabato 1 settembre 2018

Soli



La solitudine, sì, la solitudine! La conosci tu la solitudine? Sì, quella dei poeti e degli impotenti. La solitudine? Quale solitudine? Ma lo sai che non si è mai soli? E che dovunque ci portiamo addosso il peso del nostro passato e anche quello del nostro futuro? Tutti quelli che abbiamo ucciso sono sempre con noi. E fossero solo loro, poco male. Ma ci sono anche quelli che abbiamo amato, quelli che non abbiamo amato e che ci hanno amato, il rimpianto, il desiderio, il disincanto e la dolcezza, le puttane e la banda degli dei! Solo! Ah, se soltanto se soltanto potessi godere la vera solitudine, non questa mia solitudine infestata dai fantasmi, ma quella vera, fatta di silenzio e tremore d’alberi – sentire tutta l'ebbrezza del flusso del mio cuore. La solitudine! Ma no. La solitudine risuona di denti che stridono, chiasso, lamenti perduti. 

A.Camus, Caligola 









 

Ocean Culture life