mercoledì 26 giugno 2019

Sedie



Appunti di famiglia

 

Mia nonna aveva in casa quattro sedie ma nessuna era veramente stabile. Ogni ospite veniva fatto sedere su una sedia con un grado di incertezza proporzionale al tormento di averlo in casa. "Tu, siediti là", diceva indicando una persona nel gruppo. Se gli ospiti resistevano all'elenco delle malattie, il colpo di grazia lo piazzava fingendo di tossire nelle tazzine del caffè che portava nel vassoio. La vecchia ci sapeva fare, aveva i suoi trucchetti. A lei quella cosa che i figli andavano a trovarla a casa non le era mai piaciuta. Stavamo sempre a ricordarle delle pillole e delle analisi e le avevano anche comprato la macchinetta della pressione cinese al Lidl per nove euro. Non facevano altro che parlare di soldi e degli occhiali per i figli e avevano tutti la fissa per i corsi di nuoto. Non appena restava da sola, la vecchia metteva sotto la lingua trenta gocce di lexotan e faceva su facebook l'elenco dei morti. Contattava i figli di amici che non vedeva da un mucchio di tempo e chiedeva informazioni sui genitori e quando gli davano l'ok, lei depennava il nome. L'elenco dei morti era l'unica cosa che veramente le piacesse. Poi mandava dei messaggi ai figli, cose tipo, "tuo padre ci ha sempre provato", oppure, "tua madre ha un figlio segreto". Le piaceva l’idea di sopravvivere a tutti. Comunque, la sedia peggiore della sua cucina era quella che lei chiamava la sedia del traditore. Mancavano almeno tre centimetri a una gamba e sedersi su quella sedia richiedeva la stessa volontà necessaria a domare un toro. Ho visto gente spaccarsi la faccia contro il bordo del tavolo e a nessuno era consentito sedersi sulla sedia del traditore, perché quella era la sedia del nonno.  

Gianni Solla








venerdì 21 giugno 2019









Stanze



Tutti perdiamo continuamente tante cose importanti. Occasioni preziose, possibilità, emozioni irripetibili. Vivere significa anche questo. Ma ognuno di noi nella propria testa - si, io immagino che sia nella testa - ha una piccola stanza dove può conservare tutte queste cose in forma di ricordi. Un po’ come le sale della biblioteca, con tanti scaffali. E per poterci orientare con sicurezza nel nostro spirito, dobbiamo tenere in ordine l'archivio di quella stanza: continuare a redigere schede, fare pulizie, rinfrescare l'aria, cambiare l'acqua ai fiori. In altre parole, tu vivrai per sempre nella tua biblioteca personale.

Haruki Murakami, Kafka sulla spiaggia







 

giovedì 13 giugno 2019

martedì 11 giugno 2019

Imperturbati



Non cerco un percorso per essere lasciata in pace e, se anche lo conoscessi, non lo insegnerei MAI. È meraviglioso lasciarci disturbare dalla vita, dagli altri e nello stesso tempo non restarne schiacciati. Non si tratta di essere imperturbabili, ma imperturbati dal turbamento, accogliere ogni visitatore, e si sa, i più scomodi e molesti hanno grandi doni in tasche nascoste. E accogliere non è accettare, si può accogliere l’inaccettabile, e poi ci si può più efficacemente ribellare, spingere via, scappare, denunciare, quando è necessario. Si è vivi e saper dire o urlare: “NO!” è una delle facoltà umane più onorevoli. 
 
Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva



















lunedì 10 giugno 2019

Testimoni








Hi











Vastità



Siamo cieli vasti e restare connessi alla vastità ci permette di vedere i fenomeni che ci attraversano, di riconoscerli, sentirli e guardarli svanire. E se c’è malinconia, nostalgia, disperazione nel vederli spuntare o nel vederli scomparire, sono altrettanti uccelli, uccelli disperati, malinconici, struggenti, e guardiamo anche loro, li sentiamo, li lasciamo sostare tutto il tempo che vogliono e poi li guardiamo volare via quando il loro tempo è venuto.
Non è facile, si tratta di spiazzarsi, non essere più centro, ma una grande periferia sconfinata, e veder sorgere e tramontare i fenomeni e accorgerci dell'amorevole sfondo che rimane e che non è di nessuno.

Chandra Livia Candiani, Il silenzio è cosa viva 





 

domenica 9 giugno 2019

venerdì 7 giugno 2019

Amore



Parliamo di me, parliamo del fatto che Solomon ha dimostrato sempre e solo di amare sua moglie, la quale non merita né ha mai meritato un amore e una persona così -. Respirò. – Parliamo del cancro. Ricordiamoci che una certa persona si è accampata nella mia stanza al B’nai  B’ rith per una cosa come ventiquattro ore al giorno finchè i medici non dicono che quel Silverfish ha già penato abbastanza e gli danno il permesso di portarmi a casa. Parliamo di un uomo che trascura un lavoro che ama e che è la sua vita per la moglie che dimostra di amare di più proprio quando lei ha più bisogno di saperlo. Parliamo di un uomo con questa moglie che è mutilata …
- Sophie.
- Una moglie priva di importanti attributi femminili, che le pupille di quest’uomo ancora si dilatano quando i suoi occhi mi guardano. Un uomo che mi guarda ridurmi a un mucchietto d’ossa e protuberanze e odora il mio odore e asciuga le mie lacrime e quando serve porta via i miei escrementi come fossero regali e pulisce il mio vomito quando non faccio in tempo ad andare in bagno e non mi fa sentire debole, sporca, o meno persona, o meno Sophie del giorno in cui ha ballato insieme a me con le braccia rotte -. Sophie ebbe un violento attacco di tosse. – Potreste anche scoprire che è un marziano venuto dallo spazio, per quanto me ne importa. E’ mio marito e io e lui siamo uniti da una cosa chiamata amore che, casomai non l’aveste ancora sentita nominare, non è solo un sentimento, è un modo di vivere la vita con una persona, e la vostra Sophie malata è fatta di questo amore, di questa vita e di questo Silverfish, e la mia vita è la sua e tutt’e due siamo quello che siamo grazie all’altro -.

David Foster Wallace, Solomon Silverfish





750.000 Anni fa L'amore








Macachi da salvare




Sei scimmie in attesa che il bisturi della sperimentazione intervenga per mutilare la loro capacità di vedere, un appello perché venga revocato il nulla osta a procedere, un video realizzato sotto copertura che documenta per la prima volta la sconvolgente quotidianità di primati detenuti nel laboratorio di un'università italiana: il tema è molto doloroso, scomodo, difficile da affrontare sul piano morale e scientifico.
A cercare di scardinare il muro della ricerca più convenzionale, che sostiene ancora l'indispensabilità dei test sugli animali contro quella nuova scienza che li ritiene superati e addirittura dannosi per il progresso, sono oggi due distinte e solidali iniziative mosse dall'urgenza di salvare la vista e la vita a un gruppo di macachi detenuti negli stabulari dell'Università di Parma.
Il volto scomodo della sperimentazione sugli animali ce lo rivela Essere Animali attraverso una terribile investigazione che mostra macachi prigionieri con gli elettrodi impiantati nel cranio, in preda a comportamenti ossessivi, nell'agghiacciante attesa di essere immobilizzati e prelevati per andare a subire le sedute di sperimentazione.
E la Lav lancia una decisa petizione su Change.org dal titolo #civediamoliberi "affinché il Ministero della Salute revochi subito al Dipartimento di Psicologia dell'Università di Torino l’autorizzazione e il milionario finanziamento per la ricerca condotta assieme all'Università di Parma, presso cui i macachi sono detenuti, dal titolo LIGHTUP – Turning the cortically blind brain to see". Questi test sarebbero particolarmente crudeli e inutili perché, spiega la Lav "lo studio prevede in parallelo anche una sperimentazione su malati che volontariamente e consapevolmente si sottopongono alla ricerca. Per le scimmie intanto si prevede un lungo periodo di training con immobilizzazione in più parti del corpo per ore, quasi tutti i giorni, della durata di settimane se non mesi, con l’asportazione chirurgica di aree della corteccia visiva al fine di rendere i macachi clinicamente ciechi. Abbiamo fatto una richiesta di accesso agli atti per avere maggiori dettagli su questo progetto ma il Ministero della Salute da un anno ci nega queste informazioni".
Dice Simone Montuschi, portavoce di Essere Animali: "In base alla normativa vigente, il Ministero della Salute può autorizzare la sperimentazione sui primati non umani solo in casi eccezionali, eppure, in base agli stessi dati ministeriali, negli ultimi tempi le concessioni sono raddoppiate, fino a raggiungere 586 uccisioni nel 2017. Chiediamo anche noi che a maggior ragione questo test superfluo sia fermato e più in generale ricordiamo che l’Italia è stato il primo paese a istituire, con la Legge 12 ottobre 1993 n. 413, l’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale per gli studenti delle facoltà scientifiche."
(…) Lo stesso Ministero ha classificato questa sperimentazione con una classe di dolore definita grave, la più alta in assoluto. Non siamo noi a dire che gli animali soffrono a un livello altissimo e prolungato, per 60 mesi, 5 anni di sperimentazione. Vengono immobilizzati in più punti del corpo per più ore al giorno, non su una poltroncina, ma nella sede da primate."
Cos'è la sede da primate? Chi ha nervi saldi  può scoprirlo guardando il video di Essere Animali. (...)



Padania









giovedì 6 giugno 2019

Grano a Manhattan




Nel 1982 il Public Art Fund commissionò ad Agnes Denes – artista nata a Budapest nel 1931, ma vissuta negli Stati Uniti fin dall’adolescenza – la creazione di un’opera pubblica che dovesse essere tra le più rappresentative mai esposte a Manhattan. Anziché realizzare una scultura, Denes – pioniera del movimento americano conosciuto come Land Art – piantò un bellissimo campo di grano, accanto alle scintillanti Torri Gemelle, usando proprio la terra scavata durante la costruzione del World Trade Center, in quel fazzoletto di terra dove poi sarebbe sorto il moderno quartiere di Battery Park City. 

Agnes Denes spiega che la sua “decisione di piantare un campo di grano a Manhattan, invece di progettare solo un’altra scultura pubblica, è nata da una preoccupazione nata da molto tempo, e dal bisogno di richiamare l’attenzione sulle nostre errate priorità e sul deterioramento del valori umani”.
L’opera, chiamata Wheatfield – A Confrontation, rappresentava anche “un potente paradosso”: piantare grano su un terreno edificabile valutato all’epoca 4,5 miliardi di dollari!
Perché “il campo di grano era un simbolo, un concetto universale. Rappresenta cibo, energia commercio, economia. Voleva essere un riferimento a cattive gestioni, spreco, fame nel mondo e preoccupazioni ecologiche”, ma non solo.

 Il campo di grano era anche il simbolo di un modo di vivere diverso, legato a ritmi molto diversi da quelli vissuti in una città convulsa come New York: “Era lo Shangri-la, un piccolo paradiso, la propria infanzia, un caldo pomeriggio d’estate in campagna, la pace, i valori dimenticati, piaceri semplici.”
Due assistenti e alcuni volontari hanno aiutato l’artista a rimuovere i rifiuti dal terreno, e a piantare il grano: lavorando solo con strumenti manuali sono stati scavati a mano 285 solchi, nei quali sono posti i semi, poi ricoperti di terra. Le spighe dorate, che sono state raccolte il 16 agosto 1982, hanno prodotto 450 chili di grano, che poi ha viaggiato in 28 città, per una mostra chiamata “The International Art Show for the End of World Hunger” .

Il grano è stato portato via dalla gente, per essere piantato in molte parti del mondo. 
Il New York Times scrisse di Wheatfield – A Confrontation: “Guardare attraverso questo campo di grano significa vedere la Statua della Libertà, Ellis Island e il traffico di navi come in una surreale illusione.” 
 

 













mercoledì 5 giugno 2019

martedì 4 giugno 2019

Futuro



Quando si parla di tempo non ci si riferisce, ovviamente, al tempo dell´orologio ma al tempo soggettivo, al tempo vissuto: il tempo interiore della speranza è il futuro, come quello dell´attesa, il tempo interiore della nostalgia e della tristezza è il passato, benché con incrinature diverse, il tempo della gioia è il presente così friabile e così inafferrabile, il tempo dell´ira è il presente dilatato, e deformato, in slanci di aggressività, il tempo dell´ansia è il futuro: un futuro che si rivive come già realizzato nelle ombre dolorose di una morte vissuta come imminente. 
  
E. Borgna, Le emozioni ferite




Il futuro desertifica
la vita ipotetica







Passato / Presente



Il passato:
Il passato
Il passato è mio padre che
cerca nella tasca una sigaretta
Il passato è mia madre con i capelli neri
Il passato è la mia voglia di crescere in fretta
Il passato è una giovane donna
ferma davanti a una porta
Di lei ormai cosa mi importa?
Il passato di tanti anni fa
alla fine del quarantanove
è il massacro del feudo Fragalà
sulle terre del Barone Breviglieri
Tre braccianti stroncati
col fuoco di moschetto
in difesa delle proprietà.
Sono fatti di ieri?
Il passato è la mia rabbia che si fa tuono
Il passato è un fuoco che brucia i pensieri
Il passato è un ragazzo che diventa uomo

Il presente:
Il presente
Il presente è un aratro che
scava dentro al cuore in fretta
Il presente ha tutti questi anni da ricordare
Il presente ha tante porte di galera da contare
Il presente passa e ripassa come
un urlo di sirena
alla fine di una lunga giornata
Il presente vola e nessuno può dire
se è migliore o peggiore
come molti credono,
perché la libertà è difficile
e fa soffrire.
Tu dove vai? Quella voce che chiama!
Di me cosa importa?
Il presente è stanze strette è autostrade infinite
Il presente è una macchia di sangue da 50 Km
Il presente è un fiume di sole con giovani vite

Roberto Roversi, Passato, Presente


Il presente è un fiume di sole  















lunedì 3 giugno 2019

Cactus Dome



Il Cactus Dome o Runit Dome, la gigantesca cupola di cementro costruita sopra il materiale radioattivo dei test nucleari condotti dagli USA nel Pacifico, inizia a mostrare preoccupanti crepe e i contaminanti si stanno già riversando nell’ambiente circostante. C’è il rischio di una catastrofe ambientale, resa più pericolosa dai cambiamenti climatici.
L'enorme cupola messa a protezione dei detriti radioattivi provocati dai test atomici statunitensi nelle Isole Marshall non solo sta già facendo fuoriuscire i pericolosissimi contaminanti, ma è a rischio crollo perché si stanno formando numerose crepe nei pannelli di cemento. La minaccia per la salute degli abitanti dell'isola Runit dell'atollo Enewetak è concreta, così come quella di una catastrofe ambientale, resa ancor più probabile dagli effetti nefasti dei cambiamenti climatici.
Il cosiddetto Runit Dome o Cactus Dome, che si estende per ben 9mila metri quadrati ed è spesso 45 centimetri, fu costruito dall'esercito americano negli anni '70 del secolo scorso, circa 20 anni dopo la fine dei catastrofici test nucleari condotti in mare, sulle lagune, in cielo e sotto terra negli splendidi atolli delle Isole Marshall. Tra il 1946 e il 1958 il governo USA fece esplodere in loco ben 67 ordigni nucleari, tra i quali la devastante bomba a idrogeno “Bravo”, mille volte più potente di quella sganciata su Hiroshima. La cupola fu costruita sopra il cratere di 115 metri generato dal test “Cactus”, che sprigionò un'energia di 18 chilotoni. Al suo interno gli americani vi misero dentro 84mila metri cubi di materiale radioattivo prelevato dai vari siti dei test, e lo richiusero con la gigantesca cupola, un lavoro durato 3 anni e costato 250 miliardi di dollari al governo a stelle e strisce. Assicurarono che il rischio radioattivo fosse contenuto, pagarono un indennizzo alle Isole Marshall e permisero il ritorno degli abitanti in quel paradiso trasformato in un inferno.
Ma all'interno del cratere non fu messo alcun rivestimento, e i contaminanti radioattivi hanno iniziato a riversarsi lentamente all'esterno, passando attraverso la porosa roccia corallina nel terreno e nelle falde acquifere. Ora anche la cupola di cemento sta cedendo, e la situazione potrebbe peggiorare drammaticamente per la popolazione locale e l'ambiente, anche se secondo alcuni ormai è già come se non ci fosse. 
 













domenica 2 giugno 2019

Tentare l'impossibile




La nostra vita è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare.
Dobbiamo tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare –senza poterci basare su previsioni affidabili e tanto meno certe– di riuscire prima o poi, con uno sforzo lungo e lancinante, a eguagliare quegli standard e a raggiungere quegli obiettivi, dimostrandoci così all'altezza della sfida. L'incertezza è l'habitat naturale della vita umana, sebbene la speranza di sfuggire ad essa sia il motore delle attività umane.
Sfuggire all'incertezza è un ingrediente fondamentale, o almeno il tacito presupposto, di qualsiasi immagine composita della felicità. È per questo che una felicità «autentica, adeguata e totale» sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci a esso.

Zygmunt Bauman, L'arte della vita