mercoledì 31 luglio 2019












Fusa



La bioacustica è una scienza multidisciplinare che fonde componenti di biologia e di acustica e, solitamente, indaga sulla produzione, dispersione e ricezione del suono negli animali e negli esseri umani. Si indaga, dunque, anche su quale sia la relazione tra i segnali acustici e il mezzo attraverso il quale si disperdono. Negli ultimi 20 anni la ricerca in questo senso si è intensificata, avvalorando la tesi che le vibrazioni che ogni essere vivente emette, indipendentemente dal fatto che siano udibili o meno, sono intese a bilanciare lo stato emotivo e fisico. In questo senso, i gatti ricorrono alle proprie fusa quando hanno la necessità di riprendersi da un particolare dolore fisico o dopo aver sofferto per qualche incidente. Allo stesso modo le fusa del nostro gatto possono influenzarci. Ma in che modo precisamente?
La risposta è nelle vibrazioni che il suono produce: le fusa di un gatto oscillano tra i 20 e i 140 Hz. In questo range le vibrazioni prodotte influenzano positivamente alcune aree del cervello. Da un lato, attivano i neuroni che rilasciano serotonina, aiutandoci in questo modo a ridurre il dolore e lo stress; queste frequenze, inoltre, favoriscono la crescita delle ossa, la guarigione delle ferite e la crescita muscolare. Il campo di vibrazioni prodotto dal suono delle fusa avrebbe, dunque, un "potere" nella ripresa della nostra salute ― ciò significa che il suono deve necessariamente essere prodotto vicino a noi e non filtrato da qualche dispositivo o ascoltato in lontananza.
Se il tuo gatto domestico fa le fusa su di te, sta cercando di contribuire alla tua salute e al tuo benessere ― soprattutto se le fa proprio dove fa più male: ti sta aiutando a rivelare un punto doloroso cercando di invertire questa tendenza con la propria dimostrazione d'affetto. 






In due



Lo dico sempre anch’io, in due è il massimo,
per stare insieme, se vuoi stare insieme, in dieci, in venti,
come fai a stare insieme?
la gente invece gli piace d’essere in tanti,
“Eravamo una trentina,
senza contare i bambini” e sono contenti,
“Stiamo insieme”,
che non vuol dir niente, starai attaccato, non insieme,
più siete e peggio è,
stare insieme è un’altra cosa, non te n’accorgi?
no, non se n’accorgono,
per loro, essere in pochi è come non esserci, loro
hanno bisogno d’essere in molti, in cento, in mille,
in diecimila, in centomila,
che io, ci sono stato anch’io,
per San Martino, alla festa della Pieve,
mangiare, bere, canti, ridi, urli,
perché devi urlare, è tutto un urlio,
se no non ti senti, e per loro è allegria,
che era un casino, e io lì zitto in mezzo,
cosa vuoi che ti dica, mi pareva, ma davvero,
d’essere solo,
invece in due, tu e lei, la sera, in casa,
a un certo momento spegni la televisione,
chiacchieri un po’, lei va di là, torna,
sorpresa! due gelati,
vuoi crema o cioccolato?
poi ogni tanto si esce, si va nei posti,
a mangiar fuori, al cinema,
il cinema è una roba,
come da bambini le favole,
stanno tutti seduti, zitti, incantanti,
se ti viene delle volte da dir qualcosa,
dietro c’è sempre uno che protesta: ssst! silenzio!
poi Fine, si accendono le luci,
è come svegliarsi, ti alzi, e basta un niente,
che le tieni il cappotto, che se l’infila,
che la stringi, non molto, solo sentirla.


Raffaello Baldini, da “Intercity” 









domenica 28 luglio 2019

venerdì 26 luglio 2019

Warming
















Cambiamenti climatici



Le alte temperature in Svizzera hanno portato alla scioglimento del ghiacciaio sotterraneo che alimenta il torrente Triftbach. Il torrente è uscito dagli argini dando vita a un’alluvione di fango che ha creato disagi su disagi: case allagate, persone sfollate, ponti chiusi e vigili del fuoco che hanno lavorato per ore e ore.
Trentotto gradi, una temperatura record per Zermatt, località turistica situata ai piedi del Cervino, sulle Alpi, che ha portato a un’eccezionale “alluvione senza pioggia” dovuta ai cambiamenti climatici.




















mercoledì 24 luglio 2019

Malattia



La distanza che si crea fra i sani e i malati mette alla prova i rapporti fra le persone. La malattia rompe un ordine, ma ne crea uno suo e con quel passaporto l'ammalato entra in un altro mondo, dove la logica dei sani, del mondo di fuori, diventa irrilevante, assurda, a volte anche offensiva.
Una delle belle conseguenze dell'essere malato è il recedere dei desideri, quell'inconsapevole sapere che davvero non vale la pena comprarsi ancora un paio di scarpe o andare a un'asta di tappeti. Chi è sano non può capire chi è malato ed è giusto che sia così. 
Fra i malati c'è un'immediata fratellanza. L'"io", che altrove ha sempre bisogno di affermarsi, di difendersi, lì in ospedale era tranquillo. Una volta varcata la soglia e la zaffata d'aria calda che tiene fuori il freddo mondo degli altri, non c'è più bisogno di dire chi si è, o meglio chi si era, il mestiere che si fa o si faceva. La malattia è il grande equalizzatore. 
 
T.Terzani, Un altro giro di giostra



 

Topi

























martedì 23 luglio 2019

A life



Posso fare quello che mi pare adesso, la notte
tenere accesa la luce fino all’una, alle due,
e nessuno che protesta,
tirare le coperte tutte dalla mia parte,
e nessuno che brontola, sull’autostrada in macchina
ai centoquaranta, ai centocinquanta e più,
che prima se superavo i centodieci,
al cinema ogni tanto,
ma è un po’ che mi piace anche stare in casa,
il mio lavoro, il giorno sono sempre in giro,
dopo sono stanco, ecco, no, ci sono delle sere
che vorrei andare a mangiare una pizza a Rimini,
ma da solo, sta’ buono, a proposito di mangiare,
anche il grana, una roba, tutte le volte,
ma quanto ne metti? Che sono goloso, io, il grana,
pastasciutta o minestra, non basta mai, e adesso
ne posso mettere finché voglio,
adesso non dice più niente nessuno, adesso
ma cosa faccio, piango?            

Raffaello Baldini,  Adesso (da La Nàiva, Furistír, Ciacri)
         







domenica 21 luglio 2019

sabato 20 luglio 2019

Il birraio di Preston




La scena rappresentava il cortiglio di una fabbrica di birra a Preston in Inghilterra, secondo quanto diceva un foglietto che era stato dato a tutti al momento della trasuta in teatro. A mano mancina c'era la facciata di una casa a due piani con una scala di fora, a mano dritta c'era un cancello grande di ferro, in fondo un muro ammattunato con in mezzo una porta. Si vedevano carriole, sacchi pieni di non si sa che cosa, pale e cannestri messi alla sanfasò.
La musica attaccò e spuntò uno con una parannanza grigia, inteso, come da foglietto, Bob il capoperaio. Era tutto allegro, si mise a sonare una campana. Subito da darrè il cancello trasirono sei persone con la stessa parannanza, ma invece di mettersi a travagliare si sistemarono in fila avanti alla gente che stava in teatro. Dalle facce e dai gesti che facevano parevano persone più felici ancora del loro capo. Questi li taliò, allargò le vrazza e attaccò.

Amici, alla fabbrica allegri corriamo!

I sei operai parsero toccare il cielo con un dito.

Allegri corriamo!

fecero tutti assieme, isando le vrazza.

Con biade e luppoli la birra facciamo!

I sei con le parannanze si misero a satare di gioia.

La birra facciamo!

Il caposquadra Bob si esibì in una girata torno torno il cortiglio, facendo mostra degli attrezzi.

Il nostro è il migliore d'ogni altro mestier.

I sei si abbracciarono, si diedero grandi manate darrè la schina.

D'ogni altro mestier.

E Bob, correndo da una carriola a un sacco, da un sacco a una pila di cannestri.

Facciamo un liquore che arreca piacer.

«A tia piace!» esclamè a voce alta uno che stava assittato nei posti proprio sotto al soffitto. «A mia la birra pare pisciazza, a mia mi piace il vino!».
La voce aveva sovrastato magari la musica. Ma il coro non si lasciò stunare, proseguì.

Che arreca piacer.

A questo punto, ad arrabbiarsi per davvero, fu don Gregorio Smecca, commerciante di mandorle e trita, ma soprattutto omo di puntiglio.
«Ma perchè questi sei stronzi ripetono sempre le cose? Che credono, che siamo zulù? Noi quello che c'è da capire lo capiamo a prima botta, senza bisogno di ripetizione!».
Ne approfittò Lollò Sciacchitano, che stava assittato in loggione ma distante dal suo amico Sciaverio, quello che aveva proclamato che la birra non gli piaceva.
«Sciavè, ma pirchì sunnu accussì allegri?» spiò con la sua voce che in mare si sentiva magari sopra la tempesta.
«Perchè vanno a travagliare» fu la risposta di Sciaverio.
«Ma non dire minchiate!».
«E tu allora spialo a loro».
Sciacchitano si susì, si rivolse ai sette ch'erano in palcoscenico.
«Domando pirdonanza, ma me la volete contare giusta? Perchè siete tanto contenti di ire a travagliare?».
Questa volta sulla scena ci fu un certo sbandamento. Due del coro si misero la mano a pampèra sugli occhi per pararli dai lumi di scena e taliàre verso il loggione, ma la bacchetta del direttore li rimise subito in riga.
Nel palco reale, il prefetto Bortuzzi, vista la mala parata, sentì che gli acchianava il sangue alla testa. Fece rabbiosa 'nzinga al delegato Puglisi che aveva alle spalle.
«Arresti queste teste di 'azzo! Subito!».
Puglisi non se la sentiva d'eseguire l'ordine, sapeva che a quel punto bastava un biz per fare succedere il quarantotto.
«Guardi, Eccellenza, mi perdoni, ma non c'è assolutamente cattivo animo o intenzione in quello che fanno. Non sono disturbatori, io li conosco uno per uno. Brava gente, mi creda, rispettosa. Solo che non hanno mai visto un teatro e non sanno come starci».
Ce la fece: il prefetto, che era tutto sudato, non insistette.
Intanto dalla scaletta a mancina era comparso Daniele Robinson, il padrone della birreria. Lui, poi, era più allegro degli altri e spiegò finalmente che quel giorno era festa perchè si maritava con una certa Effy. La notizia a momenti fece svenire tutti dalla contentezza. Attaccò Bob:

Chi miglior poteva sceglierla chi più buona e chi più bella?

I sei con la parannanza non fallarono manco questa volta, furono pronti a ripetere.

Chi più buona e chi più bella?

Don Gregorio Smecca non ce la fece più a resistere. «Arrè, sta camurria! Io me ne vado, buonanotte». Si susì e se ne andò, lasciando in tridici sua moglie.
Intanto quelli sulla scena descrivevano Effy come «gemma preziosissima» e come «emblema dell'amor». Daniele Robinson allora si mise a regalare soldi a tutti mentre ordinava che si facesse una grande festa.

Cercate, trovate in tutti i contorni i flauti, i timballi, i pifferi, i corni.

«I corni non hai bisogno di cercarli, vengono da soli» disse una voce dal solito loggione. Qualcuno rise.
«Ma il timballo non è quello che mi fai col riso, la carne e i piselli?» spiò seriamente Gammacurta alla moglie.
«Sì».
«E allora che ci accucchia coi pifferi e i flauti?».
Nel teatro si fece finalmente tanticchia di silenzio. Gli operai se ne erano nisciuti tutti a cercare gli strumenti e ad invitare i vicini. Daniele, magari se allato a lui non c'era più nisciuno, si mise a fare gesti misteriosi a Bob come per dirgli una cosa segreta. Bob si avvicinò e il padrone gli rivelò che in giornata sarebbe arrivato un suo fratello gemello, che era da due anni che non si vedeva da quelle parti. Di nome faceva Giorgio, era un militare, ma non era tanto quieto di carattere. Bob si mostrò dubbioso:

Ed ei verrà?

Daniele si fece pensoso, poi arrispose.

Lo spero, se quel brutto mestiero di
stare tra le palle...

A sentire il perlomeno curioso mestiero dei gemello Giorgio, la latata mascolina degli spettatori trattenne il fiato, a qualcuno parse di non avere capito bene e s'informò col vicino. Daniele, come voleva la musica, ripetè l'occupazione del fratello in tono più alto.

Se quel brutto mestiero
di stare tra le palle...

Le risate esplosero questa volta immediate, percorrendo tutto l'arco dalla a alla u e poi ci furono magari quelle a raschio di gola, a stranuto, a fontanella, a singhiozzo soffocato, ad avvio di motore, a verso di porco e via dicendo. Sicchè la spiegazione cantata dello strano mestiero di Giorgio si perse completamente:

... di stare tra le palle e la mitraglia.

La risata che il cavaliere Mistretta tentò di trattenere fu quella che fece maggiore scarmazzo. Il cavaliere era asmatico, l'aria gli venne a mancare e per ripigliarla tirò un respiro che sonò preciso a un corno da nebbia. Malgrado la sonata, il fiato non gli tornò e cominciò ad annaspare, dando grandi e convulse manate a chi gli stava attorno. La moglie si scantò e si mise a fare voci, altri corsero allato al cavaliere e uno, più pronto degli altri, se lo carricò sulle spalle e se lo portò nell'atrio con la signora darrè che faceva come una maria.
In un primo momento, il dottor Gammacurta si era congratulato con il cavaliere, pensando che quella rappresentazione fosse stata messa in piedi da Mistretta per disturbare, secondo gli accordi, lo spettacolo. Poi capì che quello invece faceva sul serio.
Sul palcoscenico intanto era spuntata lei, Effy, la zita settebellizze. Era un fimminone di due metri e passa, con certe mani che parevano pale e un naso che uno ci si poteva saldamente afferrare se tirava vento forte. E sotto questo naso c'era un'ombra scura di baffi che il belletto generosamente cosparso non riusciva a nascondere. Si muoveva inoltre a larghe falcate, battendo rumorosamente i talloni.
La moglieri di Giosuè Zito, signora Filippa, stava serena. Essendo nata completamente sorda, non aveva sentito niente di quello che dicevano tanto in platea quanto in palcoscenico. Tutto, per lei, si stava svolgendo nella pace degli angeli. Gli venne però curiosità alla vista della fimminona.
«Giosuè, cu è?».
Giosuè Zito, all'apparire di Effy in scena, si era messo in allarme.
«Non me la contano giusta» aveva pensato. «Qua sotto c'è qualcosa che fete, questa non è una fimmina, ma un omo».
«È Giorgio, il fratello gemello» arrisponnì convinto e la risposta, naturalmente, la dovette gridare per superare la surdìa della moglieri.
Esplose un'altra risata, ma il contributo di Giosuè Zito all'affossamento dell'opera era stato del tutto involontario.
Evidentemente in preda al panico per tutto quello che stava capitando in sala e per quello che aveva avuto modo di sentire mentre si approntava per entrare in scena, la cantante che faceva Effy con la faccia, con gli occhi, con l'arravuglìo convulso delle mani, con certi scatti improvvisi della stazza, mostrava tutto l'opposto di quello che doveva esprimere, la contentezza per il prossimo sposalizio. Al gesto imperioso dei maestro, principiò con una voce che pareva un lumino senza più stoppaglio.

L'arte anch'io conosco un poco delle tenere smorfiette,
so alternare tempo e loco occhiatine e parolette:
mille amanti-spasimanti ho veduto delirar.

A questo punto, dal loggione, si udì la voce di Lollò Sciacchitano. «Sciavè, tu saresti capace di spasimare per una fìmmina accussì?». Stentorea la risposta di Sciaverio:
«Manco dopu trent'anni di carzaro duro, Lollò».
Il dottor Gammacurta provò pena per quella donna che in palcoscenico continuava coraggiosamente a cantare, sentì che non era giusto, che quella povirazza che si guadagnava il pane non c'entrava per niente coi vigatesi, coi montelusani, con quello stronzo di prefetto.
«Vado a vedere come si sente il cavaliere Mistretta» disse alla moglieri. Si susì dalla poltrona, fece susìre le quattro persone che gl'impedivano d'arrivare al corridoio e se n'andò nell'atrio.

Andrea Camilleri, Il birraio di Preston







venerdì 19 luglio 2019

Signori si nasce / 2



Una poesia su Twitter per rispondere alle offese razziste di Donald Trump: lo ha fatto Ilhan Omar, deputata Usa, rifugiata dalla Somalia e americana dal 2000, presa di mira dal presidente per le sue origini e invitata ad abbandonare il Paese. La deputata, ha deciso di replicare con i versi della poetessa afroamericana Maya Angelou.
Omar, nata a Mogadiscio nel 1981, scappata all’età di 10 anni con la famiglia dalla guerra civile, è una delle quattro deputate americane che l’inquilino della Casa Bianca ha definito anti-americane invitandole a tornare “nei paesi corrotti e infestati dal crimine da cui sono venute”. 
Nel 2016 è diventata, con l’elezione alla Camera dei rappresentanti del Minnesota, la prima donna di origini somale musulmana eletta in una carica negli Usa.


 









Signori si nasce...










Blu







giovedì 18 luglio 2019

Luglio




Il nove luglio, una domenica,
doveva essere verso le cinque del pomeriggio,
a Ciola, proprio in cima,
alla casa di Baròus,
ma di dietro, nell’ombra,
tra la siepe, che di là cala giù dritto
nel fondo di Lasagna,
e il muro, che era tutta una verdura,
con un venticello che faceva ogni tanto
un po’ di tramestío tra le canne,
a un tavolino giocavano a tressette
e tenevano i sassi sulle carte
perché non volassero via.
E quando a quello di mano
gli è venuta la cricca di coppe
e tre tre senza danari,
s’è gonfiato un po’, ma zitto, non s’è fatto capire,
s’è accomodato sulla sedia,
poi è uscito con l’asso, e non diceva ancora niente,
ma dalla contentezza
ha dato una botta sul legno
che nei bicchieri il vino ha tremato tutto,
e la cicala sul ciliegio
si è zittita di botto dalla paura.
L’aria allora è diventata così leggera
che sul crocicchio s’è sentito tintinnare
il campanello arrugginito di una bicicletta,
e laggiù, ma lontano,
volare un aeroplano sopra il mare.

Raffaello Baldini, Lói (Luglio), in La nàiva

















mercoledì 17 luglio 2019

L’ultima panchina




Avranno avuto quattordici anni, 
lui quattordici, lei dodici, tredici, al viale della Fossa,
seduti sull’ultima panchina, non m’hanno sentito,
verso sera, pieno d’uccelli per aria, un chiasso,
stavano lì, si guardavano,
in silenzio, senza toccarsi,
si guardavano, si guardavano, come incantati,
e io pian piano, sull’erba, sono tornato indietro.


Raffaello Baldini, L'ultima panchina, da Ad nòta








Ai posteri












































martedì 16 luglio 2019

L'odio



Guardate com'è sempre efficiente,
come si mantiene in forma
nel nostro secolo l'odio.
Con quanta facilità supera gli ostacoli.
Come gli è facile avventarsi, agguantare.
Non è come gli altri sentimenti.
Insieme più vecchio e più giovane di loro.
Da solo genera le cause
che lo fanno nascere.
Se si addormenta, il suo non è mai un sonno eterno.
L'insonnia non lo indebolisce ma lo rafforza.
Religione o non religione –
purché ci si inginocchi per il via
Patria o no -
purché si scatti alla partenza.
Anche la giustizia va bene all'inizio.
Poi corre tutto solo.
L'odio. L'odio.
Una smorfia di estasi amorosa
gli deforma il viso.
Oh, quegli altri sentimenti –
malaticci e fiacchi!
Da quando la fratellanza
può contare sulle folle?
La compassione è mai
arrivata per prima al traguardo?
Il dubbio quanti volenterosi trascina?
Lui solo trascina, che sa il fatto suo.
Capace, sveglio, molto laborioso.
Occorre dire quante canzoni ha composto?
Quante pagine ha scritto nei libri di storia?
Quanti tappeti umani ha disteso
su quante piazze, stadi?
Diciamoci la verità:
sa creare bellezza
Splendidi i suoi bagliori nella notte nera
Magnifiche le nubi degli scoppi nell'alba rosata.
Innegabile è il pathos delle rovine
e l'umorismo grasso
della colonna che vigorosa le sovrasta.
È un maestro del contrasto
tra fracasso e silenzio
tra sangue rosso e neve bianca.
E soprattutto non lo annoia mai
il motivo del lindo carnefice
sopra la vittima insozzata.
In ogni istante è pronto a nuovi compiti.
Se deve aspettare aspetterà.
Lo dicono cieco. Cieco?
Ha la vista acuta del cecchino
e guarda risoluto al futuro.
– lui solo.

Wislawa Szymborska, L'odio

 






Io non ti conosco, io non so chi sei






































lunedì 15 luglio 2019

A zonzo










Vittime






 
12/07/2019
Impressionante incendio devasta un'azienda agricola di Santa Margherita d'Adige, sollevando un'immensa nube nera visibile fino al Polesine. In pochi minuti il tremendo rogo ha divorato le strutture e incenerito almeno 200mila polli dei 270mila allevati nella struttura zootecnica.








domenica 14 luglio 2019

venerdì 12 luglio 2019

Mares












Disobbedienza civile




Io penso che dovremmo essere innanzitutto uomini e poi sudditi. Non è desiderabile coltivare il rispetto per la legge, quanto quello per la giustizia. Il solo dovere che ho il diritto di praticare è di compiere in ogni occasione ciò che ritengo giusto. Si è abbastanza nel vero quando si dice che un gruppo non ha coscienza; ma un gruppo composto da persone rispettose degli altri è un gruppo con una coscienza. La legge non ha mai reso la gente più giusta nemmeno di un millesimo; anzi, attraverso l’osservanza della legge, persino individui disposti al bene sono resi quotidianamente agenti di ingiustizia. […] Leggi ingiuste esistono: dovremmo essere contenti di obbedire ad esse, o dovremmo cercare di modificarle, e obbedirvi solo quando siamo riusciti nel nostro intento, o dovremmo trasgredire ad esse alla prima occasione? In genere, le persone sotto un governo come questo, pensano che dovrebbero attendere fino a quando hanno convinto la maggioranza a modificarle. Essi ritengono che, se opponessero resistenza, il rimedio sarebbe peggiore del male. Ma è colpa proprio del governo che il rimedio sia peggiore del male. Esso lo rende tale. Perché non è più capace di prevenire il male e provvedere alle riforme? Perché non ha a cuore la sua saggia minoranza? Perché urla e resiste prima ancora di ricevere una critica? Perché non incoraggia i cittadini a mettere in luce i suoi errori, e non agisce meglio dei suoi cittadini?

Henry David Thoreau






giovedì 11 luglio 2019

sabato 6 luglio 2019

Fratelli migranti




File di uomini attraverso la nebbia, le pietraie, i deserti, le tempeste, i fili spinati, i muri e le recinzioni, si spingono a toccare il cielo, a scavare l’inferno. Non si spostano seguendo il magnetismo terrestre o il movimento delle merci, ma i segni di un’intuizione che li porta verso un orizzonte.
Clandestini espulsi esiliati desolati viaggiatori rifugiati espatriati rimpatriati globalizzati e de-globalizzati, arsi dal sale o annegati, richiedenti asilo, richiedenti di tutto quello che manca al mondo, richiedenti di un’altra cartografia del mondo. Contro gli stati di diritto parlano di umanità del diritto.
Persone, milioni di persone, non alghe o meduse, persone, piccole grandi vecchie giovani, che deperiscono e periscono, e muoiono nelle garrote delle frontiere, ai margini delle nazioni, delle città e degli stati di diritto.
Il mondo e le sue miserie sono la nostra terra.
Fare paese di questo mondo, fare coraggio di queste paure, fare incontro di queste fughe, è la nostra terra.
Fare minareto di asilo, cattedrale di rifugio, tempio di benevolenza, è la nostra dignità.


Patrick Chamoiseau, Fratelli migranti 

 

 

 


Sirene




In mezzo al mare l'acqua è azzurra come i petali dei più bei fiordalisi e trasparente come il cristallo più puro; ma è molto profonda, così profonda che un'anfora non potrebbe raggiungere il fondo; bisognerebbe mettere molti campanili, uno sull'altro, per arrivare dal fondo fino alla superficie. Laggiù abitano le genti del mare.
Non si deve credere che ci sia solo sabbia bianca, no! Crescono alberi stranissimi, e piante con gli steli e i petali così sottili che si muovono al minimo movimento dell'acqua, come fossero esseri viventi. Tutti i pesci, grandi e piccoli, nuotano tra i rami, proprio come fanno gli uccelli nell'aria. Nel punto più profondo si trova il castello del re del mare. Le mura sono di corallo e le alte finestre a arco sono fatte con ambra chiarissima, il tetto è formato da conchiglie che si aprono e si chiudono secondo il movimento dell'acqua; sono proprio belle, perché contengono perle meravigliose; una sola di quelle basterebbe alla corona di una regina.
 
Andersen, La sirenetta







 

giovedì 4 luglio 2019

martedì 2 luglio 2019

Un appunto



La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
 Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla
nel vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.

 
    Wislawa Symborska, Un appunto




















lunedì 1 luglio 2019

Segnali di vita



Il tempo cambia molte cose nella vita,
il senso, le amicizie, le opinioni
che voglia di cambiare che c'è in me
Si sente il bisogno di una propria evoluzione
sganciata dalle regole comuni, da questa falsa personalità
  







Art.54