domenica 31 dicembre 2017

Angels




Call a truce, call a war
Everyone is a bastard, everyone is a whore
Everyone is a saint, everyone is redeemed
Everyone is at the mercy of another one’s dream









Bombaroli




Armi fabbricate in Italia e vendute all’Arabia Saudita, che poi le impiega nella guerra in Yemen, anche contro i civili: una video-inchiesta del New York Times punta il dito contro l’azienda sarda RWM Italia Spa, impegnata a fare affari vendendo bombe all’esercito saudita.
Il filmato ricostruisce il percorso del commercio delle armi che vengono utilizzate in Medio Oriente e che conferma le denunce lanciate da diversi anni dalle associazioni pacifiste.
Nella ricostruzione del New York Times, le armi partono dall’aeroporto di Cagliari verso l’Arabia Saudita. Il quotidiano statunitense è riuscito a tracciare diversi carichi che dalla Sardegna arrivano a Gedda, il principale porto saudita.
Dal 2015 a maggio del 2017, l’Italia ha fornito armi, bombe e munizioni all’Arabia Saudita per un giro d’affari pari a circa 40 milioni di euro.
Secondo il New York Times, l’azienda sarda RWM vende all’Arabia Saudita un tipo di bomba che l’esercito saudita impiega nei  raid in Yemen.
La legge italiana e il diritto internazionale vietano severamente di vendere armi a un paese impegnato in un conflitto armato.
Nonostante il governo italiano abbia più volte assicurato che non ci sia nessuna attività illegale dietro la vicenda, il New York Times solleva dubbi circa la possibilità che l’Italia stia violando le leggi nazionali e internazionali.
Esperti europei sostengono che la vendita di queste bombe è illegale”, si afferma nel servizio. “Secondo i trattati internazionali, è proibito esportare armi quando ci si trova di fronte a una situazione di violazione dei diritti umani”.
Il New York Times ipotizza che il governo italiano stia tutelando soprattutto il lavoro e i capitali attratti da RWM: la sua fabbrica si trova infatti nella provincia sarda di Carbonia-Iglesias, una delle più povere d’Italia.
Nel 2016, RWM ha raddoppiato il fatturato e le risorse umane impiegate e, secondo il New York Times, ha ricevuto il permesso dal governo italiano di vendere bombe per quasi mezzo miliardo di euro.



Secondo l’ultimo rapporto dell’Ufficio delle Nazioni Unite per i diritti umani, più di 5mila civili, compresi 1.184 bambini, sono stati uccisi in Yemen a partire da quando è cominciata la guerra civile nel paese.
Il conflitto in corso ha favorito la grave carestia e lo scoppio di un’epidemia di colera che, secondo i dati diffusi dal Comitato internazionale della Croce Rossa, sta per colpire un milione di persone entro la fine del 2017.
Al momento quella in corso in Yemen è la più grande crisi umanitaria del mondo secondo la Croce Rossa internazionale. 

 














sabato 30 dicembre 2017

Greta-Lunghe-Orecchie











Silentia




From the series Silentia by Petros Koublis








venerdì 29 dicembre 2017

mercoledì 27 dicembre 2017

On my videotape



This is my way of saying goodbye
’cause I can’t do it face to face
Or talking to you before
No matter what happens now
You shouldn’t be afraid
because I know today has been the most perfect day
I’ve ever seen







Cedi la strada agli alberi




Pensa che si muore
e che prima di morire tutti hanno diritto
a un attimo di bene.
Ascolta con clemenza.
Guarda con ammirazione le volpi,
le poiane, il vento, il grano.
Impara a chinarti su un mendicante,
coltiva il tuo rigore e lotta
fino a rimanere senza fiato.
Non limitarti a galleggiare,
scendi verso il fondo
anche a rischio di annegare.
Sorridi di questa umanità
che si aggroviglia su se stessa.
Cedi la strada agli alberi.

Franco Arminio, L’entroterra degli occhi


 




domenica 24 dicembre 2017

Natale



Nella città in cui vivo, anzi in tutte le città in cui potrei vivere, sta arrivando il Natale. Alcuni dicono, il Santo Natale. Sebbene la mia vita sia distratta e disorientata, da molti segni, come gli animali, mi accorgo dell’imminenza del Natale. L’irrequietezza agita i miei simili; una sorta di inedita tristezza che si accompagna ad una smania, una torbida cupezza, una litigiosità capziosa, non di rado violenta, ma soprattutto aspramente angosciosa. Quando il Natale si approssima, l’infelicità si scatena su tutta la terra, invade gli interstizi, ci si sveglia il mattino con quel sentimento, discontinuo durante tutto l’anno, che vivere a questo modo pare intollerabile, forse disonesto, una bestemmia. Strano che abbia scelto questa parola, sostanzialmente pia, per descrivere l’infelicità natalizia. E infatti questo avverto, che a differenza della desolazione che direi privata, attraverso la quale passiamo in vari momenti dell’anno, questa è una tetraggine che ha dell’astronomico, come a dire che gli astri sono coinvolti, e forse la tristezza che suppongo mia in realtà è un affetto che tocca gli estremi dell’universo, e oltre, se si dà un oltre.
[…]
Vien fatto di chiedersi se non basterebbe por fine al Natale per sfuggire a questo elaborato, ingegnoso, maestoso malessere. Ma si sa che al Natale non si dà fuga; in nessun modo.
 

 Giorgio Manganelli, Il presepio
























venerdì 22 dicembre 2017

mercoledì 20 dicembre 2017

Asini





Un prato, un asinello
È un sogno che coltivo da tempo
immemorabile: prendermi
un asinello e piazzarlo sopra
il prato. Giusto per omaggiarlo:
sgravato da ogni impegno,
privato di ogni soma, dolcissimo
asinello da sempre maltrattato.
Dell’asino mi incantano la mitezza
e la pazienza, l’occhio umido
e dolce illuminato a tratti
da lampi di furbizia
l’endurance millenaria
travestita da mestizia.
Un giorno ad Addis Abeba
ce n’erano a decine che privi
di padrone correvano
da soli con fare indaffarato.
Svolgevano – mi dissero – la funzione
del postino: mai un pacco
andato perso, tutto recapitato.
Io non avevo dubbi: ché l’asino
è preciso, assennato,
intelligente; e svolge sempre
al meglio l’impegno che l’attende.
Per questo nei miei sogni penso
a un asinello che a nome della specie
sia premiato: non dovrà fare niente,
se ne starà tranquillo a rimirare
il mondo sopra un immenso prato

Franco Marcoaldi

 








martedì 19 dicembre 2017

Global warming



Off the coast of Canada's Baffin Island, polar bears cavort and prowl the ice in search of food. Ice floes are a natural habitat for polar bears, but as the ice melts due to a warming climate, the species faces an uncertain future. Naturalists aboard the National Geographic Explorer share insights about polar bears and their changing habitat. 








lunedì 18 dicembre 2017

domenica 17 dicembre 2017












Alberi




Piante sedentarie o pioniere
 
La maggior parte delle specie ha bisogno di essere educata e protetta dai genitori. In questa categoria rientrano, per esempio, faggi, querce, abeti bianchi e rossi. All'occorrenza, possono andare bene anche dei genitori adottivi. Comunque sia, per crescere sana una pianticella ha bisogno di un vecchio albero sopra di sé.

Le piante sedentarie hanno di regola semi pesanti, che cadono direttamente vicino alla pianta madre, in modo che i piccoli restino da bravi con la mamma. Tuttavia, è auspicabile che una parte dei frutti venga trasportata lontano perché la specie abbia nuove possibilità di diffusione. A rendere possibile tale spostamento, in molti casi, è una struttura aerodinamica del seme, una forma elicoidale che sfrutta i venti forti per migrare, come nel caso dei pinoli di molte conifere ma anche dei semi degli aceri.
Poiché gli alberi non possono spostarsi, sono gli embrioni - i semi non sono altro che questo - a doverlo fare. Il trasporto dei semi più pesanti viene affidato a un corriere del mondo animale: la ghiandaia, secondo gli ultimi studi, nasconde ghiande e faggiole in circa 10.000 posti diversi, ma poi non li sfrutta tutti. La parte del ghiotto bottino che non viene consumata germina in primavera e forma la riserva di base per nuovi boschi di querce o faggi. La maggior parte dei frutti, tuttavia, resta a casa. Raggiungere nuovi orizzonti con l'aiuto di questi corrieri è un processo lungo e difficile. I depositi, infatti, vengono solitamente creati al massimo a qualche chilometro dalla pianta madre.
Il viaggio prosegue dopo un'attesa che va dai 50 ai 100 anni, poiché solo a tal punto i germogli nati dai semi sono in grado di fiorire e moltiplicarsi. Con questi piccolissimi passi, quindi, la velocità di diffusione di faggi e querce non può essere che ridotta: solo 20 chilometri ogni 100 anni.

Per le piante pioniere, la cosa è molto diversa. I loro embrioni sono leggeri come piume, nel vero senso della parola. Affinché si levino in aria al minimo alito di vento, i genitori li dotano di sistemi per volare. I semi pesanti della maggioranza di conifere e aceri possiedono vere e proprie pale da rotore. In questo modo, possono frenare la caduta dall'albero e librarsi nel cielo come elicotteri.
E meglio ancora, questi semi dalle dimensioni di granelli di polvere presentano una riduzione del peso fino a pochi milligrammi e, se sono anche muniti di peli finissimi che si muovono al primo filo d'aria, niente può più fermare il loro viaggio in terre lontane. Così equipaggiati, in caso di bufera possono coprire anche centinaia di chilometri e quindi, altrettanto velocemente, la specie di albero cui appartengono può migrare e conquistare nuovi territori.
Fra i rappresentanti di questa categoria si annoverano betulle, salici e pioppi. La loro prole se ne infischia dell'educazione e della protezione dei genitori, a differenza di quanto succedeva per gli alberi delle origini, ed è allenata a puntare dritto in alto anche nel nuovo posto in cui si trova. Per farlo ha bisogno però di tanta luce a terra, luce che trova in abbondanza nei grandi spazi aperti.
Il termine tecnico per questi tipi di alberi è «specie pioniere», perché sono capaci di insediarsi ovunque non vi siano ancora aree boschive. La crescita rapida le aiuta a sfuggire alla concorrenza di erbe e arbusti.
Tuttavia, il rovescio della medaglia del dinamismo - per non dire fretta - tipico di questi alberi è un'aspettativa di vita molto più breve. Infatti, gli alberi pionieri non superano mai i 150 anni, e sono pochi quelli che arrivano a 100.
Nella buia foresta vergine, le betulle e i loro simili non hanno alcuna probabilità di sopravvivenza, perché i loro germogli muoiono regolarmente di fame in condizioni di semioscurità perenne, perciò possono vivere solo in quelle aree in cui lo sviluppo della foresta vergine viene disturbato, con effetti devastanti, da eventi quali incendi o tempeste.

Peter Wohlleben, La Vita Segreta degli Alberi 

 















venerdì 15 dicembre 2017

giovedì 14 dicembre 2017

E così




E così le popolazioni locali si foggiano un carattere improntato a sentimenti di barbarie. Formano squadre e centurie, e le armano di clave, di gas, di fucili. Il paese è nostro. Guai, se lasciamo questi maledetti Okies prenderci la mano. E gli uomini che vengono armati non sono proprietari, ma si persuadono di esserlo; gli impiegatucci che maneggiano le armi non possiedono nulla, e i piccoli commercianti che brandiscono le clave possiedono solo debiti. Ma il debito è pur qualche cosa, l'impiego è pur qualche cosa. L'impiegatuccio pensa: io guadagno quindici dollari la settimana; mettiamo che un maledetto Okie si contenti di dodici, cosa succede? E il piccolo commerciante pensa: come faccio a sostenere la concorrenza di chi non ha debiti? E i nomadi defluiscono lungo le strade, e la loro indigenza e la loro fame sono visibili nei loro occhi. Non hanno sistema, non ragionano. Dove c'è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell'uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque. Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti. No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici. Io ho bambini, ho i bambini che han fame! io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste, i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po' di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po' di carne per fare il brodo ai miei bambini, e io non chiedo altro. E questo, per taluno, è un bene, perché fa calar le paghe mantenendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati.
Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù.

John Steinbeck, Furore, 1939







mercoledì 13 dicembre 2017

Santa Lucia



Santa Lucia, per tutti quelli che hanno gli occhi 
e un cuore che non basta agli occhi
e per la tranquillità di chi va per mare
e per ogni lacrima sul tuo vestito,
per chi non ha capito 

Santa Lucia, per chi beve di notte  
e di notte muore e di notte legge  
e cade sul suo ultimo metro,
per gli amici che vanno e ritornano indietro
e hanno perduto l'anima e le ali,
per chi vive all'incrocio dei venti ed è bruciato vivo,
per le persone facili che non hanno dubbi mai,
per la nostra corona di stelle e di spine,
e la nostra paura del buio e della fantasia

Santa Lucia, il violino dei poveri è una barca sfondata
è un ragazzino al secondo piano che canta, ride e stona, 
perchè vada lontano
fa che gli sia dolce anche la pioggia nelle scarpe,
anche la solitudine.







lunedì 11 dicembre 2017

sabato 9 dicembre 2017









Photo Contest





Il Siena International Photography Awards è oggi uno dei contest di fotografia con la più alta partecipazione internazionale. All’edizione 2017 hanno concorso quasi 50 mila immagini, inviate da fotografi professionisti, dilettanti e amatori provenienti da 161 Paesi del mondo.

 

Scadenza promozione: Domenica, 31/12/2017











venerdì 8 dicembre 2017

The dying of the light




Do not go gentle into that good night
Rage, rage against the dying of the light









martedì 5 dicembre 2017

lunedì 4 dicembre 2017

Viaggiare soli




Sono anni che ormai viaggio da solo. Conosco l’infinita pena del viaggiatore solitario che in un qualunque scompartimento di un treno deve chiamare il controllore per andare alla toilette e non lasciare i bagagli incustoditi; conosco la seccatura un po’ umiliante del dover pranzare da solo in un ristorante sotto gli occhi irritati di squallide coppiette che, in fila, ti guardano come se fosse un loro dovere avere il tuo tavolo, di cui sei soltanto uno sfigato usurpatore; conosco la fatica fisica, gli imbarazzi, i dubbi di chi viaggia solo con se stesso. Conosco la stupidità delle “camere singole” in cui i letti sono piccolissimi, i lavabi minimi e i soffitti bassi, come se ogni viaggiatore solitario fosse un nano e non una persona come le altre, con braccia, gambe e bisogno di spazio. Conosco la scortesia e il tono pietoso degli altri compagni di viaggio che ti si rivolgono con quel garbo ipocrita che si riserva a un vedovo, a una persona che ha perso la propria metà. Ma io conosco anche l’immensa completezza di questa mia solitudine, le orecchie attente, gli occhi sempre presenti, la concentrazione, le illuminazioni interiori quando non hai nessuno all’infuori di te da mettere al corrente di una scoperta, e allora, seduto su una pietra di una qualsiasi isola greca, chiedendoti perché quel sole debba essere così forte e quel mare così azzurro e la terra così nera, ti guardi dentro, e dentro puoi rivedere i soli, le mareggiate, le burrasche e gli approdi della tua vita. Fin quando avrò fiato in gola e forza nelle gambe, e le mie braccia riusciranno a trascinare un sacco, difenderò questo mio diritto di essere solo – uno come tanti – nella mia completezza. Nei viaggi solitari esiste una pienezza diversa di sé. La possibilità di vivere in territori neutri, in mezzo a persone che abitualmente parlano una lingua diversa, il fatto di adattarsi a un’architettura e a un paesaggio stranieri, producono uno spiazzamento delle nostre certezze e, se si è veramente onesti e sinceri, permettono di scoprire chi si è. In sostanza, tutti i viaggi che si fanno sono solo la figura di quell’altro viaggio all’interno di noi stessi che inizia nel momento in cui nasciamo e finisce quando dio vorrà. Non c’è viaggio più avvincente di quello che ognuno può fare alla scoperta di sé. E ci sono, naturalmente, molti modi per fare questo viaggio. Amare una persona, per esempio. Vivere insieme a lei. Essere abbandonati da quella stessa persona. Oppure ritirarsi in un deserto e abbracciare l’esperienza mistica. Per quelli come me, troppo amanti del mondo per abbandonarlo, troppo scorticati dall’amore per cercarne un altro, c’è una sola strada: la scoperta della solitudine.

Pier Vittorio Tondelli,
Questa specie di patto