lunedì 29 settembre 2014

Atleti



Ecco una teoria. I grandi atleti sono affascinanti perché incarnano il successo basato sul confronto che noi americani veneriamo - il più veloce, il più forte - e perché lo fanno in modo non ambiguo. La questione di chi sia il miglior idraulico o il miglior ragioniere è impossibile persino da definire, laddove chi sia il miglior lanciatore, il miglior cestista o tennista è, in qualsiasi momento, una questione di record statistici pubblici. I grandi atleti ci affascinano perché fanno presa sulle nostre ossessioni gemelle per superiorità competitiva e numeri.
(...)

Potrebbe essere benissimo che noi spettatori, privi dei doni divini degli atleti, siamo gli unici a essere davvero in grado di vedere, esprimere e animare l’esperienza del dono a noi negato. E che coloro i quali ricevono e mettono in pratica il dono del genio atletico debbano, di necessità, essere ciechi e muti al riguardo, e non perché la cecità e il mutismo siano il prezzo di quel dono, ma perché ne sono l’essenza.


DFW,  Consider the lobster

 


sabato 27 settembre 2014

Animali



 Mentre al cittadino non interessa affatto essere aggiornato su celluliti e flirt dei rappresentanti del Governo, e spererebbe anzi di svegliarsi un giorno  scoprendo che la sostituzione dello star-system con un deprimente surrogato popolato da politici e giornalisti è stata solo un incubo, la superficialità con cui la compagine istituzionale si esprime in merito agli animali preoccupa e dispiace.
A motivare oggi un comunicato colmo di sconcerto dell’Enpa-Ente nazionale protezione animali, sono le dichiarazioni di Maria Elena Boschi, giovane ministro per le Riforme Costituzionali e per i Rapporti con il Parlamento, che in visita a Zagarolo (Roma) avrebbe indugiato in degustazioni alimentari, dichiarando a un quotidiano il proprio rammarico per la scarsa reperibilità di carne di cavallo.
Non si può certo impedire alle persone, in politica o no, di coltivare in privato i gusti più primitivi. Tuttavia, quello stesso Pd che a lungo si è indignato per le ostentazioni sessuali dell’avversario Berlusconi invocando pudore e rispetto della pubblica sensibilità, farebbe bene a considerare che l’amore per gli animali, l’urgenza di una rivoluzionaria armonia con la natura,  percorre con forza sempre maggiore l’Italia. Da noi, vegani e vegetariani sono ormai alcuni milioni e rappresentano fra il sette e il dieci per cento della popolazione (i cacciatori, che grazie agli emendamenti del Pd inaugurano la stagione venatoria con più colpi in canna e potranno sparare ad animali imprigionati dalla neve, sono appena seicentomila).
Eppure, nei confronti della altre specie, il Governo Renzi seguita a manifestare sprezzante incuranza. Neppure sull’incredibile uccisione dell’orsa Daniza e le persecuzioni riservate ai suoi simili – nonché ai lupi – protestate a furor di popolo, il premier ha voluto spendere una parola. La sua presenza è annunciata alla People’s Climate March di New York: non certo un semplice appuntamento mondano.
Il rispetto per gli animali va di pari passo con il concetto di condivisione e salvaguardia dei luoghi e la nostra salvezza, economica e morale. Per esempio, chi adotta uno stile di vita il più possibile cruelty free, oltre a tutelare la propria salute evitando ormoni e medicinali, diventa cliente eccellente dell’agricoltura e contribuisce ad arginare disboscamenti, inquinamento, monocolture, sperpero di risorse energetiche e idriche dovuto agli allevamenti intensivi per carne e pesce. Sarebbero quindi preziosi investimenti sull’educazione dei giovani (dalla raccolta differenziata al concepire il Pianeta non un supermercato, ma risorsa di salute e bellezza), oltre a finanziamenti ai metodi alternativi alla vivisezione (creerebbero opportunità di lavoro e spalancherebbero la porta a uno straordinario progresso della scienza).
Seppur lento, questo profondo mutamento sociale è già in atto, e nulla potrà, sulla lunga durata, l’arretratezza dei nostri amministratori e la loro scarsissima indipendenza dalle grandi lobby industriali. Tuttavia, se quello stesso cambiamento ostentato come soluzione alla crisi includesse la considerazione verso motivazioni ormai popolari, ci sentiremmo un po’ meno malmessi.

Margherita d’Amico


venerdì 26 settembre 2014

Il soccombente

 

Thomas Bernhard era un tipo decisamente strano. Se non bastassero i suoi romanzi, con quelle centinaia di pagine claustrofobiche, prive di qualsiasi punto a capo, e l'ossessività della sua scrittura fatta di continue reiterazioni, sempre attorno al tema del fallimento e della morte, per averne ulteriore conferma si può sempre andare in visita alla casa di Ohlsdorf, nel bel mezzo di quello che passa per essere il Lake District austriaco. (…)


Da figlio illegittimo e rinnegato qual era, Bernhard adorava il lusso e una certa, maniacale ricercatezza: stanno lì a dimostrarlo trecento paia di scarpe perfettamente ordinate e lucidate; i tavolini di legno da lui personalmente disegnati, e svariati ritratti di presunti, fantasmatici antenati. Proverbiale era il suo amore per una misantropica solitudine, come evidenziano due striminziti lettini volti a dissuadere dal pernottamento anche gli ospiti più tenaci e invadenti, oltre a una lunga serie di cartoline - amorevolmente raccolte dietro a una vetrinetta Biedermeier - che il Nostro spediva a se stesso da ogni angolo di mondo. Dopodiché si entra in una biblioteca che sembra assolutamente intonsa e infine nella sala d'ascolto della musica, dove sta in bella mostra un disco delle "Variazioni Goldberg" di Bach suonate da Glenn Gould, il coprotagonista del romanzo "Il soccombente".

 

Pubblicato nel 1983, il libro racconta il rapporto d'amicizia che si stabilisce tra tre uomini: l'io narrante, Wertheimer e per l'appunto Gould. I tre pianisti frequentano in età giovanile un corso di Horowitz a Salisburgo, ma mentre i primi due sono "soltanto" due straordinari talenti, il terzo è semplicemente un genio. Quando i due avranno modo di sentire per la prima volta suonare Glenn Gould capiranno che la musica non fa per loro. Di fronte a quei vertici assoluti qualunque carriera di grande virtuoso è semplicemente ridicola. Ma mentre il narratore sopporterà stoicamente l'abbandono del pianoforte, nella convinzione che o si è i migliori o non si è per niente, per Wertheimer quella rinuncia rappresenterà il primo e decisivo passo di una catastrofe annunciata, l'inizio della rovina del soccombente, conclusasi con l'immancabile suicidio.
Libro terribile, insopportabile e magistrale, "Il soccombente" sembra raccogliere in un solo racconto tutti i temi più cari di Bernhard. E soprattutto porta ad apoteosi la sua particolarissima dote di strumentista della lingua (…) Quanto il romanziere scrive a proposito di Gould, che riprende all'infinito le "Variazioni Goldberg", vale anche per lui, che costruisce invariabilmente i suoi libri attraverso il tema prediletto della variazione, in un canto comprendente tutte le nuances dell'umor nero: "dalla semplice irritazione al suicidio, passando per le innumerevoli modulazioni dell'esasperazione, della collera, del risentimento".

da un articolo di Franco Marcoaldi su Repubblica, 15 aprile 2003




giovedì 25 settembre 2014

Anniversari





 Glenn Gould, 25 settembre 1932 - 4 ottobre 1982

 

 

Lynchiana



Una definizione scientifica di lynchiano potrebbe essere che il termine “si riferisce a un particolare tipo di ironia dove il molto macabro e il molto banale si combinano in maniera tale da rivelare la costante presenza del primo all’interno del secondo”. Ma, come postmoderno o pornografico, lynchiano è una di quelle parole alla Potter Stewart che si possono definire solo ostensivamente, cioè lo capiamo quando lo vediamo.
C’è una cosa che può risultare disturbante, ma è vera: i migliori film di Lynch sono anche i più inquietanti/malati. Il motivo, probabilmente, è che i suoi film migliori, per quanto surreali, tendono a essere ancorati a personaggi principali ben sviluppati. […] Quando i suoi personaggi sono abbastanza caratterizzati e umani da provocare in noi una certa empatia, questo tende a diminuire la distanza e il distacco che possono allontanarci dai film di Lynch, e allo stesso tempo rende i film più inquietanti - ci disturbano molto di più i film disturbanti che hanno personaggi in cui vediamo riflesse parti di noi stessi.
Quasi mai, in un film di Lynch, hai la sensazione che lo scopo sia quello di “divertirti”, e mai che lo scopo sia quello di farti cacciare bei soldi per vederlo. Questa è una delle cose inquietanti dei film di Lynch: non ti sembra di stipulare uno dei taciti/inconsapevoli accordi che in genere stipuli con altri tipi di film. Questo è inquietante perché in assenza di un tale accordo inconsapevole perdiamo alcune delle protezioni psicologiche di cui normalmente (e necessariamente) facciamo uso di fronte a un mezzo di comunicazione potente come il cinema. Ossia, se sappiamo a un certo livello che cosa un film vuole da noi, possiamo innalzare certe difese interne che ci lascino scegliere fin a che punto abbandonarci.  L’assenza di senso o di finalità riconoscibili nei film di Lynch, però, ti spoglia di queste difese subliminali e fa sì che Lynch ti penetri nel cervello come i film normalmente non fanno. Ecco perché gli effetti dei suoi film migliori sono spesso così impressionanti, quasi come incubi (del resto, anche nei sogni siamo privi di difese). Di fatto, questo potrebbe essere il vero e unico obiettivo di Lynch: entrarti nella testa.

David Foster Wallace



… tutti abbiamo visto le facce delle persone assumere espressioni improvvise e grottesche – ad esempio, come quando ricevono notizie traumatizzanti, o danno un morso a qualcosa che si rivela disgustoso, o quando girano intorno ai bambini piccoli e gli fanno facce strane senza nessun motivo – ma ho stabilito che un’espressione facciale improvvisa e grottesca non può essere definita veramente lynchiana se non nel caso in cui l’espressione sia mantenuta per qualche momento in più di quanto le circostanze potrebbero mai giustificare, sia tenuta semplicemente lì, fissa e grottesca, finché non comincia a significare circa diciassette cose diverse allo stesso tempo. (DFW)






mercoledì 24 settembre 2014

At last








Questions



Sono io una brava persona? Nel profondo, voglio poi davvero essere una brava persona, o voglio solo sembrare una brava persona in modo che la gente (incluso me stesso) mi approvi? C’è differenza tra le due cose? Come faccio a sapere davvero se mi sto prendendo per il culo da solo, moralmente parlando?

Ma se decido di decidere che la mia vita ha un senso diverso, meno egoista, meno solitario, il motivo per questa decisione non sarà il mio desiderio di essere meno solo, e cioè di soffrire meno nel complesso? Può la decisione di essere meno egoisti essere mai altro che una decisione egoista?

E’ possibile amare davvero altre persone? Se mi sento solo e sofferente, chiunque al di fuori di me è un potenziale conforto: ne ho bisogno. Ma è possibile amare davvero ciò di cui si ha tanto bisogno? Grossa parte dell’amore non è forse tenere di più ai bisogni dell’altro? Come ci si aspetta che io subordini il mio bisogno soverchiante ai bisogni di un altro che non posso neanche sentire direttamente? Eppure se non riesco a farlo sono condannato alla solitudine, cosa che decisamente non voglio… rieccomi quindi a tentare di superare il mio egoismo per motivi di interesse personale. Esiste una via d’uscita da questa trappola? 





martedì 23 settembre 2014

domenica 21 settembre 2014

Un'altra vita / 1977








Ci sono sere



Ci sono sere che vorrei guardare
da tutte le finestre delle strade
per cui passo, essere tutte le rade
ombre che vedo o immagino vegliare

nei loro fiochi santuari. Abbiamo,
sussurro passando, lo stesso sogno,
cancellare fino a domani il sogno
opaco, cruento del giorno, li amo

anch'io i vostri muri pallidamente
fioriti, i vostri sonnolenti acquari
televisivi dove i lampadari
nuotano come polpi, non c'è niente

che mi escluda tranne la serratura
chiusa che esclude voi dalla paura.

Giovanni Raboni



venerdì 19 settembre 2014

Mi sono distratto




Mi sono distratto – oh, per poco, appena
quaranta, cinquant’anni – e mi ritrovo
di colpo, gli occhi abbarbagliati, in piena
vecchiaia, mia e del mondo. Niente è nuovo,

ora che le vivo, più delle cose
che ho vissuto aspettandole, aspettando
la vita, più delle, ma sì! famose
rose che ho colto come in trance, macchiandomi

spesso e volentieri, di sangue… Eppure
c’ero anch’io quella volta, era il mio cuore,
erano i miei nervi, le mie giunture
a tremare di gioia e di terrore

per la tua venuta, sono sicuro
d’esserci stato – o era già il futuro?


Giovanni Raboni



 



Libertà



Io sono arrivata quando tante cose erano già state conquistate. Intorno a me sono sparsi tesori, basta saperli prendere. Sono libera di vivere dove e come voglio, di leggere ciò che voglio... Sono libera nelle vie delle grandi città, dove nessuno mi vede, mentre cammino sotto la pioggia scrosciante senza un dove né quando; sono libera nel bosco, sulla riva del mare, nella musica che risuona in me, e nella mia stanza, quando chiudo la porta.

Nina Berberova, Il corsivo è mio
 


Consapevolezze


… la ragazza non si era mai provata a scrivere un libro, e non aspirava agli allori letterari. Non aveva talento di scrittrice e possedeva troppo poco la consapevolezza del genio; si limitava genericamente a pensare che si era nel giusto quando la si trattava come un essere superiore.
Fosse o no superiore, la gente che aveva questa opinione di lei faceva bene ad ammirarla; poiché ella aveva spesso l’impressione che la sua mente si muovesse più rapida della loro, e ciò fomentava una insofferenza che poteva essere presa facilmente per superiorità.

H. James, Ritratto di signora






lunedì 15 settembre 2014

Televisione



Se i sottoproletari si sono imborghesiti, i borghesi si sono sottoproletarizzati. La cultura che essi producono, essendo di carattere tecnologico e strettamente pragmatico, impedisce al vecchio "uomo" che è ancora in loro di svilupparsi. Da ciò deriva in essi una specie di rattrappimento delle facoltà intellettuali e morali. La responsabilità della televisione, in tutto questo, è enorme. Non certo in quanto "mezzo tecnico", ma in quanto strumento del potere e potere essa stessa. Essa non è soltanto un luogo attraverso cui passano i messaggi, ma è un centro elaboratore di messaggi. È il luogo dove si concreta una mentalità che altrimenti non si saprebbe dove collocare. È attraverso lo spirito della televisione che si manifesta in concreto lo spirito del nuovo potere. Non c'è dubbio (lo si vede dai risultati) che la televisione sia autoritaria e repressiva come mai nessun mezzo di informazione al mondo. Il giornale fascista e le scritte sui cascinali di slogans mussoliniani fanno ridere: come (con dolore) l'aratro rispetto a un trattore. Il fascismo, voglio ripeterlo, non è stato sostanzialmente in grado nemmeno di scalfire l'anima del popolo italiano: il nuovo fascismo, attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e di informazione (specie, appunto, la televisione), non solo l'ha scalfita, ma l'ha lacerata, violata, bruttata per sempre. 


(Pierpaolo Pasolini, "Corriere della Sera", 9 dicembre 1973) 








Passanti








domenica 14 settembre 2014

Prato



Palomar è già passato ad un altro ordine di pensieri: è “il prato” quello che noi vediamo oppure vediamo un’erba più un’erba più un’erba...? Quello che noi diciamo “vedere il prato” è solo un effetto dei nostri sensi approssimativi e grossolani; un insieme esiste solo in quanto formato da elementi distinti. Non è il caso di contarli, il numero non importa; quel che importa è afferrare in un solo colpo d’occhio le singole pianticelle una per una, nelle loro particolari differenze. E non solamente vederle: pensarle. Invece di pensare il prato. Pensare quel gambo con due foglie di trifoglio, quella foglia lanceolata un po’ ingobbita, quel corimbo sottile...  

Palomar s’è distratto, non strappa più le erbacce, non pensa più al prato: pensa all’universo. Sta provando ad applicare all’universo tutto quello che ha pensato del prato. L’universo come cosmo regolare o come proliferazione caotica. L'universo forse finito ma innumerabile, instabile nei suoi confini, che apre entro di sé altri universi. L’universo, insieme di corpi celesti, nebulose, pulviscolo, campi di forze, intersezioni di campi, insiemi di insiemi...

Italo Calvino, Palomar


Stamattina






sabato 13 settembre 2014

Luna di pomeriggio



La luna di pomeriggio nessuno la guarda, ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse. È un’ombra biancastra che affiora dall’azzurro intenso del cielo, carico di luce solare; chi ci assicura che ce la farà anche stavolta a prendere forma e lucentezza? E così fragile e pallida e sottile; solo da una parte comincia ad acquistare un contorno netto come un arco di falce, e il resto è ancora tutto imbevuto di celeste. È come un’ostia trasparente, o una pastiglia mezzo dissolta; solo che qui il cerchio bianco non si sta disfacendo ma condensando, aggregandosi a spese delle macchie e ombre grigiazzurre che non si capisce se appartengano alla geografia lunare o siano sbavature del cielo che ancora intridono il satellite poroso come una spugna.
In questa fase il cielo è ancora qualcosa di molto compatto e concreto e non si può essere sicuri se è dalla sua superficie tesa e ininterrotta che si sta staccando quella forma rotonda e biancheggiante, d’una consistenza appena più solida delle nuvole, o se al contrario si tratta d’una corrosione del tessuto del fondo, una smagliatura della cupola, una breccia che s’apre sul nulla retrostante. L’incertezza è accentuata dall’irregolarità della figura che da una parte sta acquistando rilievo (dove più le arrivano i raggi del sole declinante), dall’altra indugia in una specie di penombra. E siccome il confine tra le due zone non è netto, l’effetto che ne risulta non è quello d’un solido visto in prospettiva ma piuttosto d’una di quelle figurine delle lune sui calendari, in cui un profilo bianco si stacca entro un cerchietto scuro.   
(…)
La luna è il più mutevole dei corpi dell’universo visibile, e il più regolare nelle sue complicate abitudini: non manca mai agli appuntamenti e puoi sempre aspettarla al varco, ma se la lasci in un posto la ritrovi sempre altrove, e se ricordi la sua faccia voltata in un certo modo , ecco che ha già cambiato posa, poco o molto. 
Comunque, a seguirla passo passo, non t’accorgi che impercettibilmente ti sta sfuggendo. Solo le nuvole intervengono a creare l’illusione d’una corsa e d’una metamorfosi rapide, o meglio, a dare una vistosa evidenza a ciò che altrimenti sfuggirebbe allo sguardo.

Italo Calvino, Palomar




venerdì 12 settembre 2014

New entry / Mizzi









Telefoni / 2



Ci telefoniamo perché solo nel chiamarci a lunga distanza, in questo cercarci a tentoni attraverso cavi di rame sepolti, relais ingarbugliati, vorticare di spazzole di selettori intasati, in questo scandagliare il silenzio e attendere il ritorno d’un eco, si perpetua il primo richiamo della lontananza, il grido di quando la prima grande crepa della deriva dei continenti s’è aperta sotto i piedi d’una coppia d’esseri umani e gli abissi dell’oceano si sono spalancati a separarli mentre l’uno su una riva e l’altra sull’altra trascinati precipitosamente lontano cercavano col loro grido di tendere un ponte sonoro che ancora li tenesse insieme e che si faceva sempre più flebile finché il rombo delle onde non lo travolgeva senza speranza. Da allora a distanza è l’ordito che regge la trama d’ogni storia d’amore come d’ogni rapporto tra viventi, la distanza che gli uccelli cercano di colmare lanciando nell’aria del mattino le arcate sottili dei loro gorgheggi, cosi come noi lanciando nelle nervature della terra sventagliate d’impulsi elettrici traducibili in comandi per i sistemi a relais: solo modo che resta agli esseri umani di sapere che si stanno chiamando per il bisogno di chiamarsi e basta 

I. Calvino, Prima che tu dica “Pronto”