sabato 23 maggio 2015

Casa



Nessuno lascia la propria casa a meno che
casa sua non siano le mandibole di uno squalo
verso il confine ci corri solo
quando vedi tutta la città correre
i tuoi vicini che corrono più veloci di te
il fiato insanguinato nelle loro gole
il tuo ex-compagno di classe
che ti ha baciato fino a farti girare la testa dietro alla fabbrica di lattine
ora tiene nella mano una pistola più grande del suo corpo
lasci casa tua
quando è proprio lei a non permetterti più di starci.

Nessuno lascia casa sua a meno che non sia proprio lei a scacciarlo
fuoco sotto ai piedi
sangue che ti bolle nella pancia
non avresti mai pensato di farlo
fin quando la lama non ti marchia di minacce incandescenti
il collo
e nonostante tutto continui a portare l’inno nazionale
sotto il respiro
soltanto dopo aver strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando ad ogni boccone di carta
ti è risultato chiaro il fatto che non ci saresti più tornata.

dovete capire
che nessuno mette i suoi figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra
nessuno va a bruciarsi i palmi
sotto ai treni
sotto i vagoni
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion
nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse
non significhino più di un qualsiasi viaggio.

nessuno striscia sotto ai recinti
nessuno vuole essere picchiato
commiserato
nessuno se li sceglie i campi profughi
o le perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo pieno di dolori
o il carcere,
perché il carcere è più sicuro
di una città che arde
e un secondino
nella notte
è meglio di un carico
di uomini che assomigliano a tuo padre
nessuno ce la può fare
nessuno lo può sopportare
nessuna pelle può resistere a tanto

Il
andatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani aperte
hanno un odore strano
selvaggio
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro
le parole
gli sguardi storti
come fai a scrollarteli di dosso?

forse perché il colpo è meno duro
che un arto divelto
o le parole sono più tenere
che quattordici uomini tra
le cosce
o gli insulti sono più facili
da mandare giù
che le macerie
che le ossa
che il corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.

a casa ci voglio tornare,
ma casa mia sono le mandibole di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare la propria casa
a meno che non sia stata lei a inseguirti fino all’ultima sponda
a meno che casa tua non ti abbia detto
affretta il passo
lasciati i panni dietro
striscia nel deserto
sguazza negli oceani
annega
salvati
fatti fame
chiedi l’elemosina
dimentica la tua dignità
la tua sopravvivenza è più importante.

Nessuno lascia casa sua se non quando essa diventa una voce sudaticcia
che ti mormora nell’orecchio
Vattene,
scappatene da me adesso
non so cosa io sia diventata
ma so che qualsiasi altro posto
è più sicuro che qui.


Warsan Shire, Casa (Traduzione di Pina Piccolo

Warsan Shire è una poetessa britannica di origine somala, nata in Kenya nel 1988 da genitori somali. Vive a Londra dove i suoi genitori si sono rifugiati per scappare alla guerra civile in Somalia negli anni ottanta. È considerata una spoken word artist, un’artista che recita. Fa parte del movimento letterario dei Black British Poets, immigrati di diverse nazionalità e paesi che usano la poesia come espressione identitaria per non dimenticare la propria lingua e le proprie origini. Con i suoi versi dà voce ai rifugiati, agli immigrati, ai respinti, ai tanti uomini, donne e bambini in fuga e alla ricerca della salvezza. 



 

giovedì 14 maggio 2015

martedì 5 maggio 2015

Mostri







Solo-noi


Tutti noi abbiamo piccole illusioni solipsistiche, spaventose intuizioni di una nostra assoluta singolarità: crediamo di essere gli unici della casa a riempire il contenitore dei cubetti di ghiaccio, gli unici a svuotare la lavastoviglie dai piatti puliti, gli unici a fare ogni tanto pipì nella doccia, gli unici ad avere un piccolo tic alle palpebre al primo appuntamento; di essere gli unici a prendere la nonchalance tremendamente sul serio; di essere solo noi a dare alle suppliche l'aspetto della cortesia; di essere solo noi a sentire il gemito patetico nello sbadiglio di un cane, il sospiro senza tempo nell'apertura di un barattolo ermeticamente sigillato, la risata sputacchiata qua e là in un uovo che frigge, il lamento in re minore nel rombo di un aspirapolvere; di essere solo noi a provare quando il sole tramonta lo stesso tipo di panico che un bimbo al primo giorno di scuola prova quando la mamma si allontana. Di essere solo noi ad amare i solo-noi. Di essere solo noi ad aver bisogno dei solo-noi. Il solipsismo ci tiene insieme (...)


David Foster Wallace, Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso


lunedì 4 maggio 2015

sabato 2 maggio 2015