domenica 28 ottobre 2012

Cappuccino



Qualche anno fa, a qualcuno è venuta l’idea di spruzzare della polvere di cacao nel cappuccino. Come se il cappuccino così com’era non bastasse più. L’idea si è diffusa rapidamente. Dopo poco tempo, quando abbiamo ordinato un cappuccino, il barista ha cominciato a chiederci: un po’ di cacao?, con una specie di saliera obesa in mano, già in posizione, e bastava un cenno di assenso per veder ruotare l’angolazione di pochissimo e una spruzzata di cacao sarebbe piovuta sulla schiuma del nostro cappuccino. Io ho sempre risposto: no, grazie. Mi piaceva il cappuccino così com’era (mi bastava, appunto). Ma è evidente che siamo stati in pochi a dire no, visto che questa storia della spruzzata di cacao è dilagata come un’epidemia vertiginosa. A tal punto che è diventata un automatismo. Se vai in un bar e chiedi il cappuccino, te lo fanno e ti spruzzano il cacao dentro. Senza più chiedertelo. Sei tu che devi dire che lo vuoi senza cacao. In poco tempo, l’evoluzione della polvere di cacao nel cappuccino è stata la seguente: prima non la mettevano; poi hanno cominciato a chiederti se potevano metterla; adesso devi essere tu a dire che non la vuoi. Sei costretto a stare in allerta fin dal primo momento, a non parlare più con nessuno fino a quando il cappuccino non sia stato servito senza cacao, come richiesto – altrimenti vale la legge del silenzio-assenso. Non puoi più fare colazione un po’ assonnato, perché ti ritrovi la polvere di cacao nel cappuccino.
Quando accade, me lo faccio sostituire; ma non basta.
Mi innervosisco, la giornata parte male; mi viene una tensione muscolare dovuta al sopruso che fatico a sciogliere nelle ore successive. Chiedo con aria truce se per caso avevo chiesto il cacao, perché non mi sembrava di averlo chiesto. E vorrei dire: siete andati troppo in fretta, non tenete conto di chi fa qualche resistenza. Non tenete conto di me.


(Francesco Piccolo,  La separazione del maschio)






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