C'era
però anche un quinto membro della famiglia, il quale non aveva mai
furia e ignorava tutto quel finimondo. Se ne stava sdraiato sulla
mensola sopra il calorifero, con gli occhi socchiusi, dando appena in
qualche sbadiglio di quando in quando.
Erano
sbadigli enormi, offensivi. La bocca si spalancava rivelando una
bella lingua rosa e quando finalmente tornava a chiudersi, il corpo
intero, dal baffo alla punta della coda, era percorso da un fremito
pigro: William, il gatto, si preparava a vivere un'altra giornata.
Quando
Peter afferrava la cartella e si dava ancora un'occhiata intorno
prima di uscire di casa di corsa, era sempre William l'ultima cosa
che vedeva. Teneva la testa appoggiata a una zampa, mentre
quell'altra ciondolava molle dal bordo della mensola, e si godeva
l'aria calda che saliva. Una volta liberatosi di quei ridicoli esseri
umani, il gatto avrebbe potuto sonnecchiare in pace per qualche ora.
L'immagine del micio sonnolento non mancava di torturare Peter ogni
volta che, uscendo di casa, riceveva il benvenuto di una raffica
gelida di tramontana.
Nei
pomeriggi d’inverno, di ritorno da scuola, non c’è cosa che
Peter ama di più che sfilarsi con un calcio le scarpe e sdraiarsi
davanti al fuoco del tinello accanto al gatto William. Gli piace
mettersi giù all’altezza di William e poi andargli vicino vicino
con la faccia a guardare la sua, quella faccia straordinaria diversa
e bellissima. Appena gli si avvicina, incomincia il ronzio
soddisfatto delle sue fusa, talmente basso e potente da far vibrare
anche il pavimento. E Peter sa di essere gradito.
Ian McEwan, L'inventore di sogni
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