In
qualche modo anche noi in Occidente cominciamo a renderci conto che
qualcosa non funziona nel nostro modo di comportarci con la natura. A
volte abbiamo persino l'impressione che la nostra vantata civiltà,
tutta fondata sulla ragione, sulla scienza e sul dominio di ciò che
ci circonda, ci abbia portati in un vicolo cieco, ma tutto sommato
pensiamo ancora che proprio la ragione e la scienza ci aiuteranno a
uscirne. Così continuiamo imperterriti a tagliare foreste, inquinare
fiumi, seccare laghi, spopolare oceani, allevare e massacrare ogni
sorta di animali perché questo -ci dicono gli scienziati economisti-
produce benessere. E col miraggio che più benessere vuol dire più
felicità, investiamo tutte le nostre energie nel consumare, come se
la vita fosse un eterno banchetto romano in cui si mangia e si vomita
per poter rimangiare.
Quel
che è sorprendente è che facciamo ormai tutto questo con grande
naturalezza, ognuno convinto che quello è il suo diritto. Non ci
sentiamo in alcun modo parte del tutto. Al contrario. Ognuno si vede
come un'entità separata, a sé; ognuno si sente forte del proprio
ingegno, delle proprie capacità e soprattutto della propria libertà.
Ma è proprio questo sentirci liberi, disgiunti dal resto del mondo,
a causarci un gran senso di solitudine e di tristezza. Diamo per
scontato solo quel poco che abbiamo attorno e con questo limitato
punto di vista non riusciamo a sentire la grandezza del resto di cui
siamo pur parte.
Tiziano Terzani, Un altro giro di giostra
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