domenica 25 settembre 2022
venerdì 23 settembre 2022
mercoledì 21 settembre 2022
martedì 13 settembre 2022
Diamant
Sei bella
come un diamante
bella da guardare
come un diamante
ma per favore lasciami andare
Che potenza, che splendore
bellissima
come un diamante
ma solo una pietra
Illusioni
Tutti noi abbiamo piccole illusioni solipsistiche, spaventose intuizioni di una nostra assoluta singolarità: crediamo di essere gli unici della casa a riempire il contenitore dei cubetti di ghiaccio, gli unici a svuotare la lavastoviglie dai piatti puliti, gli unici a fare ogni tanto pipì nella doccia, gli unici ad avere un piccolo tic alle palpebre al primo appuntamento; di essere gli unici a prendere la nonchalance tremendamente sul serio; di essere solo noi a dare alle suppliche l'aspetto della cortesia; di essere solo noi a sentire il gemito patetico nello sbadiglio di un cane, il sospiro senza tempo nell'apertura di un barattolo ermeticamente sigillato, la risata sputacchiata qua e là in un uovo che frigge, il lamento in re minore nel rombo di un aspirapolvere; di essere solo noi a provare quando il sole tramonta lo stesso tipo di panico che un bimbo al primo giorno di scuola prova quando la mamma si allontana. Di essere solo noi ad amare i solo-noi. Di essere solo noi ad aver bisogno dei solo-noi.
David Foster Wallace, Verso Occidente l'Impero dirige il suo corso
lunedì 12 settembre 2022
venerdì 9 settembre 2022
Tempo grigio
È dall’infanzia che cerco
di raffigurare il mio paese.
Ho disegnato case
ho disegnato tetti
ho disegnato volti.
E minareti dorati ho disegnato
e strade deserte
dove sdraiarsi per lenire la stanchezza.
Ho disegnato una terra chiamata metafora,
la terra degli arabi.
È dall’infanzia che cerco di disegnare una terra
che mi tratti con gentilezza
se infrango il vetro della luna
e mi ringrazi se scrivo versi d’amore
e se inseguo l’amore mi lasci fare
come un uccello, sugli alberi.
Cerco di disegnare una terra
nella quale gli uomini ridano … e piangano come gli altri uomini.
Cerco di liberarmi dai miei modi di dire
e dalla maledizione del soggetto e del complemento oggetto,
di scrollarmi la polvere dalle spalle
di lavarmi il viso con acqua piovana.
Cerco con l’autorità della sabbia di abbandonare il campo …
Addio Quraish
Addio Kulayb
Addio Mudar .
Cerco di disegnare una terra
con un parlamento di gelsomini
con un popolo schiavo del gelsomino
le cui colombe si addormentino sul mio capo
i cui minareti piangano nei miei occhi.
Cerco di disegnare una terra
che sia amica della mia poesia
e non si intrometta tra me i miei pensieri
nella quale non marcino gli eserciti
sulla mia fronte.
Cerco di disegnare una terra
che mi ricompensi se brucio i miei abiti
e mi perdoni
se straripa il fiume della mia follia.
Cerco di disegnare una città dell’amore
priva di vincoli
dove le donne non vengano immolate
e il loro corpo addomesticato.
Ho viaggiato a sud
ho viaggiato a nord
ma inutilmente.
Il caffé di tutti i locali ha lo stesso aroma
tutte le donne quando si spogliano
hanno lo stesso profumo.
Tutti gli uomini della tribù non masticano il cibo
ma inghiottono le donne
in un solo boccone.
Ho cercato sin dall’inizio
di non somigliare ad alcuno.
Ho sempre respinto i discorsi in scatola
e rifiutato qualsiasi idolo.
Ho tentato di bruciare tutte le parole di cui mi sono rivestito:
a volte le poesie sono una tomba
e le lingue un sudario.
Ho disegnato l’emorragia dei bar
ho disegnato la tosse delle città
e ho preso appuntamento con l’ultima donna
e tuttavia … sono arrivato a tempo scaduto.
Cerco di disegnare una terra
dove il mio letto sia solido
e solida la mia testa
perché possa dalle navi avvistare la costa.
Ma loro … mi hanno requisito la scatola dei colori
e non mi permettono
di raffigurare il volto del mio paese.
Nizar Qabbani, Raffigurazione del tempo grigio
giovedì 8 settembre 2022
Dream
La notte del primo gennaio del 1599, mentre si trovava nel letto di una prostituta, Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, pittore e uomo iracondo, sognò che Dio lo visitava. Dio lo visitava attraverso il Cristo, e puntava il dito su di lui. Michelangelo era in una taverna, e stava giocando di denaro. I suoi compagni erano dei furfanti, e qualcuno era ubriaco. E lui, lui non era Michelangelo Merisi, il pittore celebre, ma un avventore qualsiasi, un malandrino. Quando Dio lo visitò stava bestemmiando il nome di Cristo, e rideva. Tu, disse senza dire il dito del Cristo. Io?, chiese con stupore Michelangelo Merisi, io non sono un santo per vocazione, sono solo un peccatore, non posso essere scelto. Ma il volto del Cristo era inflessibile, senza scampo. E la sua mano tesa non lasciava spazio a nessun dubbio. Michelangelo Merisi abbassò la testa e guardò il denaro sul tavolo. Ho stuprato, disse, ho ucciso, sono un uomo con le mani lorde di sangue. Il garzone dell’osteria arrivò portando fagioli e vino. Michelangelo Merisi si mise a mangiare e a bere. Tutti erano immobili, vicino a lui, solo lui muoveva le mani e la bocca come un fantasma. Anche il Cristo era immobile e tendeva la sua mano immobile col dito puntato. Michelangelo Merisi si alzò e lo seguì. Sbucarono in un vicolo sudicio, e Michelangelo Merisi si mise a orinare in un canto tutto il vino che aveva bevuto quella sera. Dio, perché mi cerchi?, chiese Michelangelo Merisi al Cristo. Il figlio dell’uomo lo guardò senza rispondere. Passeggiarono lungo il vicolo e sbucarono su una piazza. La piazza era deserta. Sono triste, disse Michelangelo Merisi. Il Cristo lo guardò e non rispose. Si sedette su una panchina di pietra e si tolse i sandali. Si massaggiò i piedi e disse: sono stanco, sono venuto a piedi dalla Palestina per cercarti. Michelangelo Merisi stava vomitando appoggiato al muro di un cantone. Ma io sono un peccatore, gridò, non devi cercarmi. Il Cristo si avvicinò e gli toccò un braccio. Io ti ho fatto pittore, disse, e da te voglio un dipinto, dopo puoi seguire la strada del tuo destino. Michelangelo Merisi si pulì la bocca e chiese: quale dipinto? La visita che ti ho fatto stasera nella taverna, solo che tu sarai Matteo. D’accordo, disse Michelangelo Merisi, lo farò. E si girò nel letto. E in quel momento la prostituta lo abbracciò russando.
Antonio Tabucchi, Sogno di Michelangelo Merisi
Ipocondria
L’ipocondria è una malattia fondata sull’equivoco. Il corpo dice una cosa: ho una fitta alle costole perché ho preso freddo, e l’io ne intende un’altra: il sospetto di un infarto. Dunque, si tratta di un equivoco che si produce all’interno della stessa persona e possiamo considerarlo come il prototipo di tutti gli equivoci in cui siamo quotidianamente immersi. Tutta la cosiddetta vita amorosa non è altro che un reticolo fittissimo di equivoci. Ovviamente più ne siamo vittime e più cerchiamo di affrancarcene. Qui le strade sono due. Il ritiro dell’investimento emotivo sugli altri secondo un modello narcisistico che espone a tante malattie, tra cui l’ipocondria. Oppure, il reinvestimento su altri oggetti che possano risultare più appaganti. Tale speranza è inesorabilmente esposta a essere delusa, ed ecco che ci ritroviamo in una bizzarra tenaglia: o si dà l’equivoco con noi stessi o si ha l’equivoco con gli altri. E se anche questa tenaglia in determinati momenti dovesse risultare inattiva ecco che emerge quello che potremmo chiamare l’equivoco di fondo, quello con la realtà. La sottile meraviglia della vita quotidiana diventa praticamente impercepibile se non quando ci accade un incidente e osserviamo gli altri che questo incidente non hanno subito. In questo caso ci pare di comprendere che è in funzione un perenne disturbo nel nostro rapporto con la realtà, un disturbo che porta a considerarla come una sorta di sacca da riempire o da svuotare a seconda dei casi. Invece, la realtà è una superficie liscia, ubiqua, a cui semplicemente apparteniamo. Da questo punto di vista l’ipocondria è una forma grossolana di inappartenenza alla realtà. Stiamo davanti a essa come davanti a un vaso di Pandora da cui prima o poi può uscire la sorpresa fatale. L’equivoco consiste nel non considerare che la sorpresa è sempre in essere, che l’apparire del sole o alzare un braccio o ascoltare il canto degli uccelli, sono fusi meravigliosamente in un unico immenso affresco.
Dio e il nulla non sono i padrini della vita e della morte e noi non siamo figli dell’uno o dell’altro. Forse l’uomo dei prossimi decenni è chiamato a fondere in sé l’elemento religioso e quello nichilista dentro la semplice, sottile meraviglia della vita quotidiana. La scrittura è l’ago per cucire l’intreccio, ma il filo dobbiamo metterlo noi; il filo è il nostro corpo e il suo generoso dispendio. Ancora una volta siamo ben lontani dall’ottica ipocondriaca che considera il corpo merce da preservare. L’ipocondriaco si comporta come se volesse costruire una cassaforte intorno al corpo, illudendosi di poterne uscire a piacimento. Ancora un equivoco. Nel momento in cui non facciamo dono di noi stessi, in quel preciso momento siamo perduti. Non c’è bisogno di pensare a perdite future.
Franco Arminio, Circo dell’ipocondria