venerdì 16 novembre 2012

Axolotl



Io mi appoggiavo alla sbarra di ferro che corre lungo le vasche e stavo là a guardarli. Non c'è nulla di strano in questo, perché fin dal primo momento compresi che eravamo legati, che qualcosa d'infinitamente perduto e distante continuava nonostante tutto a tenerci uniti. 
Mi era bastato fermarmi quella prima mattina davanti al vetro della vasca dove alcune bolle d'aria scivolavano nell'acqua. Gli axolotl si ammonticchiavano sul meschino e stretto (solo io posso sapere quanto meschino e stretto) pavimento di pietra e muschio dell'acquario. Erano nove esemplari, e quasi tutti poggiavano la testa contro il vetro guardando con i loro occhi d'oro chi si avvicinava. Turbato, quasi vergognoso, provai un sentimento d'impudicizia nell'affacciarmi su quelle figure silenziose e immobili ammucchiate in fondo all'acquario. Mentalmente ne isolai una, a destra e un po' discosta dalle altre, per studiarla meglio. Vidi un corpicino roseo e come traslucido (pensai alle statuine cinesi di cristallo lattiginoso), simile a una piccola lucertola di quindici centimetri che termini in una coda di pesce di una delicatezza straordinaria, la parte piú sensibile del nostro corpo. Lungo la schiena aveva un'aletta trasparente che si fondeva con la coda, ma ciò che mi ossessionò furono le zampe, di una finezza straordinaria, che terminavano in dita minute e in unghie minuziosamente umane. E fu allora che scoprii i suoi occhi, il suo volto. Un volto inespressivo, senza altro ornamento che gli occhi, due orifizi come punte di spillo, interamente d'oro trasparente, privi in modo assoluto di vita, ma che guardavano e si lasciavano penetrare dal mio sguardo che pareva attraversare il punto aureo e perdersi in un diafano mistero interiore. Un sottilissimo alone nero circondava l'occhio e lo iscriveva nella carne rosa, nella pietra rosa della testa vagamente triangolare, ma con lati curvi e irregolari che la rendevano in tutto simile a una statuina corrosa dal tempo. La bocca era nascosta dal piano triangolare del volto, solo di profilo s'indovinava la sua grandezza considerevole; di fronte, una sottile fenditura incrinava appena la pietra senza vita. Sui due lati della testa, dove avrebbero dovuto esserci le orecchie, gli crescevano tre rametti rossi come di corallo, una escrescenza vegetale, le branchie, suppongo. Ed erano l'unica cosa viva in lui, ogni dieci o quindici secondi i rametti si drizzavano rigidi e si riabbassavano. Qualche volta una zampa si muoveva impercettibilmente, io vedevo le piccole dita posarsi con leggerezza sul muschio. 
È che a noi non piace muoverci molto, l'acquario è cosí stretto; appena avanziamo un tantino ci urtiamo l'un l'altro con la coda o con la testa; nascono difficoltà, liti, fatica. Si sente meno il tempo se stiamo quieti.

(Julio Cortazar, Axolotl, in Fine del gioco)



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