mercoledì 14 novembre 2012

Diluvio



Tutti conoscono la vecchia leggenda dei Prossimani del diluvio. Secondo questa bella tradizione, il diluvio non devastò l’intero pianeta, ma solo una parte, la più prospera, ampia e fittamente popolata. Quando prese a piovere e i fiumi si ingrossarono e la gente prima inumidita, poi seccata, poi travolta si diede alla fuga pei campi, le tribù viciniori presero a deplorare la situazione. In ciò agevolati dal clima ragionevolmente sereno, gli uomini migliori di quelle razze si raccolsero in luoghi aprichi; erano uomini colti, intellettuali, fondatori delle arti, smaliziati manipolatori di sintassi. Si misero in capo di redigere un documento: il che essi fecero presto e bene. In quel testo, costoro, rivolgendosi alla Nuvole - giacché rivolgere direttamente la parola all’iracondo Dio diluviante poteva prestarsi a interpretazioni che poi sarebbe stato difficile rettificare - ‘fecero notare’ come fosse contrario ad ogni consuetudine piovere così a lungo, tanto e in un posto solo; ‘deplorarono’ la devastazione dei campi e delle greggi; e inserirono un bel pezzo sui bambini annegati, che era cosa di grande e semplice bellezza. Proseguendo, ed anzi via via incanagliendosi le piogge, i valentuomini si riunirono di nuovo, e - mentre un comitato di femminette preste di dita e conocchie si davano a far golfini - elaborarono un secondo documento, che era senza alcun dubbio accorato. In questo ‘si denunciava’ l’indifferenza delle piove alla pubblica opinione e si ‘reclamava’ a) l’immediata cessazione del diluvio, b) la restaurazione del ciel sereno, «inalienabile diritto di tutti i cittadini», c) l’impegno a non piovere più, se non nelle forme e nei limiti consacrati dalla tradizione. Il diluvio continuò, e le brave donne allungarono i golfini adattandoli a comodi sudari, qualche dabbene scrisse una lettera aperta sulla «inutile strage», che ancora si legge nelle scuole. Si narra anche che mentre l’incaricato banditore a gran voce leggeva alle Nuvole il messaggio, più su il Numinoso Caprone si rotolasse sui bronzei planciti dell’empireo, percotendoli con la latitudine delle arcaiche chiappe, e traendone un clangore di aureolata letizia.

(G.Manganelli, Alcune ragioni per non firmare gli appelli, da Lunario dell’orfano sannita, Einaudi 1973)

 

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