Tutti conoscono la vecchia leggenda
dei Prossimani del diluvio. Secondo questa bella tradizione, il diluvio non
devastò l’intero pianeta, ma solo una parte, la più prospera, ampia e fittamente
popolata. Quando prese a piovere e i fiumi si ingrossarono e la gente prima
inumidita, poi seccata, poi travolta si diede alla fuga pei campi, le tribù
viciniori presero a deplorare la situazione. In ciò agevolati dal clima ragionevolmente
sereno, gli uomini migliori di quelle razze si raccolsero in luoghi aprichi;
erano uomini colti, intellettuali, fondatori delle arti, smaliziati
manipolatori di sintassi. Si misero in capo di redigere un documento: il che
essi fecero presto e bene. In quel testo, costoro, rivolgendosi alla Nuvole -
giacché rivolgere direttamente la parola all’iracondo Dio diluviante poteva
prestarsi a interpretazioni che poi sarebbe stato difficile rettificare - ‘fecero
notare’ come fosse contrario ad ogni consuetudine piovere così a lungo, tanto e
in un posto solo; ‘deplorarono’ la devastazione dei campi e delle greggi; e inserirono
un bel pezzo sui bambini annegati, che era cosa di grande e semplice bellezza.
Proseguendo, ed anzi via via incanagliendosi le piogge, i valentuomini si
riunirono di nuovo, e - mentre un comitato di femminette preste di dita e
conocchie si davano a far golfini - elaborarono un secondo documento, che era
senza alcun dubbio accorato. In questo ‘si denunciava’ l’indifferenza delle
piove alla pubblica opinione e si ‘reclamava’ a) l’immediata cessazione del
diluvio, b) la restaurazione del ciel sereno, «inalienabile diritto di tutti i
cittadini», c) l’impegno a non piovere più, se non nelle forme e nei limiti
consacrati dalla tradizione. Il diluvio continuò, e le brave donne allungarono
i golfini adattandoli a comodi sudari, qualche dabbene scrisse una lettera
aperta sulla «inutile strage», che ancora si legge nelle scuole. Si narra anche
che mentre l’incaricato banditore a gran voce leggeva alle Nuvole il messaggio,
più su il Numinoso Caprone si rotolasse sui bronzei planciti dell’empireo, percotendoli
con la latitudine delle arcaiche chiappe, e traendone un clangore di aureolata
letizia.
(G.Manganelli, Alcune
ragioni per non firmare gli appelli, da Lunario dell’orfano
sannita, Einaudi 1973)
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