Quando si cominciò a usare il microscopio,
il terrore si fece sentire e continua ancora.
La vita prima era abbastanza folle
nelle sue forme e dimensioni.
Produceva dunque anche esseri piccini,
moscerini, vermetti,
ma almeno li si vedeva
a occhio nudo.
Ed ecco, all’improvviso, sotto il vetrino,
diversi fino all’esagerazione
e già così esigui
che quanto occupano con se stessi nello spazio
solo per pietà si può chiamare posto.
Il vetrino non li comprime affatto,
senza ostacoli si duplicano e triplicano sotto
in completa scioltezza e alla rinfusa.
Dire che ce n’è molti – è dire poco
quanto più potente è il microscopio,
tanto più con zelo e precisione sono multipli.
Non hanno neanche visceri decenti.
Non sanno cosa siano sesso, infanzia, vecchiaia.
Forse non sanno neanche se esistono – o no.
Eppure decidono della nostra vita e morte.
Alcuni si irrigidiscono nell’immobilità di un attimo,
benché non si sappia cosa sia per loro l’attimo.
Essendo così minuti
forse anche il durare per loro
è adeguatamente sminuzzato.
Un granello portato dal vento al confronto è
una meteora che viene dagli abissi del cosmo,
e l’impronta digitale – un vasto labirinto
dove potersi radunare
per le loro sorde parate,
le loro cieche iliadi e upanişad.
È già tanto che volevo scriverne,
ma l’argomento è difficile,
rinviato a dopo di continuo
e, credo, degno d’un miglior poeta,
più di me stupito del mondo.
Ma il tempo incalza. Scrivo.
(Wislawa Szymborska)
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