domenica 15 giugno 2014

Salgado


"Adoro la fotografia, adoro fotografare, tenere in mano la fotocamera, giocare con le inquadrature e con la luce. Adoro vivere con la gente, osservare le comunità e ora anche gli animali, gli alberi, le  pietre. E un'esigenza che proviene dal profondo di me stesso. È il desiderio di fotografare che mi spinge di continuo a ripartire. Ad andare a vedere altrove. A realizzare sempre e comunque nuove immagini."

Sebastião Salgado


“Per me, l'estetica è un linguaggio costante, non una variabile. Non a caso, mi hanno spesso rimproverato la dimensione troppo estetizzante delle mie foto, specie di fronte alla violenza e alla miseria. Questa però è la mia forma di scrittura, il mio stile. Cambiano i soggetti, non il mio linguaggio fotografico, che nasce sempre da una forma di partecipazione spirituale. Una foto, prima di essere uno sguardo critico, è capacità di materializzare questa partecipazione in un'immagine. Certo, poi, è anche una forma di comunicazione che si rivolge agli altri. Le mie fotografie però non nascono dal desiderio di comunicazione, ma dall'istinto


"Nelle fotografie a colori c'è già tutto. Una foto in bianco e nero invece è come un'illustrazione parziale della realtà. Chi la guarda, deve ricostruirla attraverso la propria memoria che è sempre a colori, assimilandola a poco a poco. C'è quindi un'interazione molto forte tra l'immagine e chi la guarda. La foto in bianco e nero può essere interiorizzata molto di più di una foto a colori, che è un prodotto praticamente finito".


"Ci sono molte cose che una foto non riesce a trasmettere. Ad esempio certi paesaggi grandiosi. Quando mi rendo conto che non riesco a cogliere quello che vorrei, allora lascio la macchina fotografica e mi limito a guardare, a vivere. In altre situazioni, invece, il dilemma è tra agire e fotografare. Davanti al dolore e alla sofferenza, mi è capitato spesso di non riuscire a fotografare, perché troppo scosso dalle emozioni. Mi sembrava più importante prendere in braccio un bambino morente e correre a cercare un medico. Altre volte di fronte alla violenza e all'umiliazione mi sono vergognato di appartenere al genere umano e mi sono messo a piangere. Tutte le volte che una foto rischiava di ledere la dignità delle persone, ho preferito non scattare".







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