Per quanto mi riguarda,
tutti questi anni passati a inseguire un me migliore sono stati molto faticosi
e hanno ottenuto poco o niente, nel tentare di indicare la responsabilità degli
altri. Tanto valeva affrontare le cose dalla strada opposta: ammettere chi ero,
da dove venivo - tutti i miei limiti; era questo il sollievo che avevo provato liberandomi
della purezza, come se la tensione a essere come i miei simili mi avesse
debilitato, impegnando tutte le mie forze in uno sforzo gigantesco; e alla
fine, non ci ero nemmeno riuscito.
È meglio rendersene conto:
se come si è, e come si dovrebbe essere, non riescono a coincidere, allora la
sincerità è più fruttuosa del senso di giustizia. Perché ti fa cercare le cose
che non funzionano in te, in qualche modo ti fa imparare ad accettarle e
conviverci. Il senso di giustizia ti spinge di continuo a ignorare i tuoi
difetti fondanti e a tendere verso il bene. E chi non ha la propensione alla
purezza, non ce la fa; o ce la fa inciampando di continuo, guardandosi di
continuo allo specchio perché i vestiti che indossa non sono i suoi, sono
quelli che vorrebbe indossare, quelli che desiderava. Ma non sono i suoi.
Se riesco a
percepire il buio che c’è dentro di me, le somiglianze con ciò che non mi
piace; se riesco a concepire un’affinità con chi è lontano; se riesco a
comprendere quanto sono coinvolto con ciò che non amo, che non mi piace, che di
solito accuso come non mi appartenesse - quella è la strada concreta, reale,
per combattere con limpidezza ed efficacia. L’abitudine è quella di sentirsi
estranei agli errori, estranei alle brutture del Paese. L’estraneità rende
impermeabile la conoscenza, e senza conoscere le ragioni degli altri, non si
può combatterle.
F. Piccolo, Il desiderio
di essere come tutti
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