martedì 8 marzo 2016

Women



Ha vissuto, Lucia Berlin. È stata insegnante, donna delle pulizie, centralinista, infermiera, ha avuto quattro figli da tre uomini diversi, ha abitato in camper, nella New York dei musicisti jazz, in una comune hippie a Berkeley. È stata ricchissima, poverissima, alcolizzata e infine sobria e seria professoressa universitaria. (…) 
Ha pubblicato per riviste e piccoli editori, e negli ultimi anni ha insegnato a Boulder, all’università del Colorado, adorata dai suoi allievi e dagli amici poeti ma sconosciuta alla maggior parte dei lettori. È morta nel 2004, a 68 anni, e l’anno scorso è diventata uno degli scrittori più importanti del Novecento americano. Grazie all’amore e la passione di Stephen Emerson e Lydia Davis, che hanno voluto ostinatamente e poi curato "A manual of cleaning woman", pubblicato da Farrar, Straus and Giroux. Quarantatré racconti, quarantatré piccoli capolavori. (…) È un libro sontuoso, stracolmo di meraviglie, vale la pena tenerlo vicino al comodino e leggerlo lentamente, una storia ogni tanto. Centellinarlo, come una cosa buonissima. È una raccolta di storie ma è soprattutto il romanzo di un’esistenza, con tutte le sue sfumature, le battaglie vinte e perse. (…)
 Negli ultimi anni della sua vita Lucia Berlin dovette convivere con la bombola di ossigeno, imposta dal collasso di un polmone, conseguenza della scoliosi di cui aveva sofferto fin da bambina. All’epoca, intorno al 2002, viveva in un camper, in uno di quei parcheggi che nascono vicino alle città, perché la malattia l’aveva ridotta in bancarotta. Lo racconta Elizabeth Geoghegan, scrittrice, che andò a trovarla e la intervistò per The Paris Review. Quando arrivò, Lucia le chiese se poteva farle la cortesia di andarle a comprare un paio di sigarette, che si vendevano sfuse nella drogheria del paese. Prendi le più forti, le chiese. Le fumò entrambe, con gusto, scostandosi dal naso i tubicini della bombola. Era una splendida conversatrice, parlava molte lingue, amava il gossip e Cechov, ridere e vivere fino in fondo (…)

 Dopo il periodo trascorso in Texas da bambina, al ritorno del padre Lucia Berlin di trasferisce a Santiago del Cile con tutta la famiglia. E diventa una giovane ereditiera, frequenta il jet set, permette al principe Ali Khan di accenderle la prima sigaretta. Ma in quel periodo sua madre inizia a bere pesantemente, a passare le sue giornate a letto. Lo racconta più avanti, nelle storie che riguardano la sorella malata di cancro. Che morì nel 1992 a Città del Messico. Lucia la assistette per due anni. I racconti di queste due donne adulte, che fanno i conti col passato, non rinunciano alla seduzione tra una seduta di chemio e l’altra e si amano ferocemente, sono magnifici. Fool to cry, per esempio, dove scorre una gran quantità di amore esagerato, sgangherato, commovente. (...)
 
Elena Stancanelli su D.Repubblica, 10 febbraio 2016 
 


La solitudine è un concetto anglosassone. A Città del Messico, se una persona sale su un autobus e tu sei l’unico passeggero, non solo viene a sedersi vicino a te, ma ti appoggia anche la testa sulla spalla. 

(da Fool to cry)




 

Nessun commento:

Posta un commento