Lotti
contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di
accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico
eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno
simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e
corazze d'acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo
volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di
sconvolgere il terreno con i cingoli, e l'affronti con larghezza di
vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e
tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il
cervello di un carro armato. La capisci male prima di incontrarla,
mentre pregusti il momento in cui l'incontrerai; la capisci male
mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro
dell'incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché
la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta
la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di
fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come
dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante,
la storia degli altri, che si rivela priva del significato che
secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato
grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l'intimo
lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene
e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori
solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con
le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più
vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo
con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire
bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e
male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come
sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe
dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi
semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.
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