Quel
gran condottiero di mio padre partì per la caccia alla volpe insieme
a certi amici suoi.
Avevo
12 anni e nessuna voglia di partecipare. Ho sempre amato le volpi. È
vero, sono furbe, "ma mettiamo le reti più spesse", dissi
più volte al babbo. Ma lui voleva sgranchirsi le gambe ed il
grilletto e si diresse alla collina del Mezzadro.
Si
erano divisi in gruppi da 5, coi cani e quei sorrisi cattivi che ho
visto solo ai grandi. Non ce l'hanno le iene quei sorrisi. Isolarono
il bosco della Faraona, in lontananza i fragori delle bombette e le
urla.
Dal
limitar del bosco sentivo i rumori della fuga di migliaia di animali.
Sembrava che venissero tutti a me: i cinghiali, un istrice, due
daini, gli uccelli scurirono una quercia immensa in pieno giorno.
E
poi una piccola volpe. Non aveva paura. In fondo ero un bambino,
silenzioso e disarmato. Ci guardammo per quasi un minuto.
In
vicinanza perigliosa giunsero passi concitati e latrati di cani. La
volpe si voltò alla fuga, ma io, senza pensarci, scavalcai il
cancelletto e volli seguirla in un disperato tentativo.
Saltellava
terrorizzata, così, senza criterio. Io a lei dietro, rapido come non
mai, scorticato dai rovi, ma con in testa un motivo di orgoglio che
mi teneva alto il cuore.
Qualcuno
gridò: "Attenti c'è un bambino!", "Cazzo ci fa
qui?", "Ma è il figlio di sor Augusto". Io guadagnai
ancora qualche decina di metri.
La
volpe trovò il passo bloccato dalla muta dei cani giù a valle, e si
intrufolò dentro ad un buco piccino, nel tufo e radici.
Tempo
immantinente, i cani a braccare da sotto, i cacciatori da sopra. In
mezzo, accanto alla tana, unico baluardo di salvezza un bambino.
Non
ci pensai mica tanto. Entrai di soppiatto, a fatica nel buio. Mi
sentii mordere la mano e la faccia, ma non piansi e me ne restai lì
accanto ad una massa di peli caldi. Non venni più morso, la volpe
capì.
Davanti
alla tana i cani già pronti ad entrare, i petardi, annusavo dei
fumi.
Qualcuno
avvisò il gruppo: "C'è un bambino qui dentro, è Giannino del
sor Augusto". "Ma sarà matto!? ".
Giunse
mio padre con la torcia: "Giannino cosa fai là dentro, ma sei
fuori!!?". Io trovai una battuta: "Babbo mettiti d'accordo
col cervello, o sto dentro o sto fuori!".
Mio
padre era incazzato, ma solo per la figura coi suoi amici, che vi
pensate! Lunghe furono le trattative, mi passarono pure un panino,
ch'io divisi con la volpe.
Quand'era
il tramonto, portarono via i cani, i pochi rimasti se ne andarono
alla spicciolata. Chiesi a mio padre di lasciare in pace la volpe e
di tornarcene a casa senza le botte, altrimenti -giurai- avrei per
sempre vissuto in quel buco.
Mio
padre mi offrì la mano ed un borbottio malcelato: "Cammina,
torniamo a casa, mi hai fatto fare proprio una figura di merda".
Mio padre avrà fatto pure la sua figura di merda, ma io quel giorno
ci provai ad amare la vita.
Andrea
Battantier, Memorie di un animale
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