lunedì 30 marzo 2020

giovedì 26 marzo 2020

martedì 24 marzo 2020

Confini



Vedo gente in gran forma cerebrale che sapeva cosa bisognava fare. Lo sapeva adesso, ovviamente. Ora piovono critiche a governi, governanti e governatori. Che se le meritano, non tanto per il loro agire: a fare si sbaglia sempre tanto o poco, ma piuttosto per la spocchia con cui tutti i giorni ci ricordano che sanno fare ogni cosa quale che sia. E meno hanno un’idea più hanno voce.
Credo che se una cosa si possa individuare nella politica contemporanea è il premio alla spocchia che sempre gli elettori concedono, la gente ama chi sputa sui concorrenti, c’è tutta una sinistra che ama gli snob e tutta una destra che ama gli arroganti. Sono due facce della stessa cultura, la merda umana che ci ha portati dove ci ha portati, la deriva del prima noi che ora ci fa frignare come scolarette perché i vicini ci fregano le mascherine, brutti cattivi! Hanno detto “prima noi” prima di noi, non è giusto!
E mentre in Germania per solidarietà cantano “Bella Ciao” dai balconi, in Italia, dove la sinistra ha bandito “Bella ciao” per non offendere i suoi elettori di destra, si canta l’Inno di Novaro-Mameli, uno dei componimenti più ipocriti che l’ipocrisia del patriottismo abbia prodotto, che racconta il falso mito di un popolo che in realtà è pronto solo alla morte degli altri, che si stringe a Corte e non a coorte, che ammazza anche i fratelli pur di avere i soldi per la discoteca, un’Italia che non si desta neanche con gli sberloni.
L’eterna lotta tra guelfi e ghibellini prosegue nei contagi e nelle convalescenze, nei morti per altre malattie che ormai non esistono più, negli ospedali che saranno ancora depauperati, dopo questa emergenza, da una ripresa che vedrà di nuovo il cemento, il petrolio e la stessa merda che ora ci mette in difficoltà farla da padrona.
Già, capiremo che il virus è roba da ridere in quanto a retorica rispetto a poi, quando tutti parleranno di ripresa. E solo perché nessuno ci sta pensando adesso, questo dovrebbe essere mestiere dei politici; perché non esiste mica solo il ministero della medicina, per ora l’unica cosa che vedo partorire dal genio dell’italico pensiero è chiedere soldi, spendere soldi, farsi dare soldi, senza minimamente pensare a che fare. Fare, semplicemente fare.
C’è in corso una devastazione, piccola, ma enorme per la nostra spocchia contemporanea; nel secolo scorso, senza scomodare la spagnola coi suoi 50 milioni di morti, o l’asiatica con qualche milione nel mondo, solo nel 69 c’è stata una piccola influenza di cui nessuno si ricorda, che ha provocato 1 milione di morti. Certo, le ambulanze e gli elicotteri sono l’esibizione rumorosa della nostra sofferenza da paese ricco; non ci sono né ambulanze né elicotteri a volare sulle teste dei 20.000 bambini che ogni giorno muoiono di fame (ma siccome non si tratta dei nostri confini regionali non rivolgiamo a questo l’attenzione che pretendiamo per noi). Tuttavia stiamo vivendo una devastazione alle nostre abitudini, ben più grande dell’austerity o del periodo degli scioperi selvaggi. Ma cercare nell’uomo i motivi delle devastazioni naturali è come sempre sintomo di delirio di onnipotenza. Siamo nella devastazione, non la devastazione.
Pensiamo di essere in grado di risolvere i problemi del mondo, quando il mondo non ha problemi, siamo noi che li abbiamo, e l’errore è come sempre quello di considerarci esseri logici invece di animali che seguono un cieco istinto. È impossibile che chi compra e consuma pacchetti di roba su cui c’è scritto a caratteri cubitali che produce il cancro ai polmoni, possa avere attenzione reale per il pericolo che egli stesso rappresenta per gli altri. È impossibile che chi ha sempre pensato che non pagare le tasse fosse un semplice dispetto a una generica politica, capisca che se ha la febbre non può mettersi in viaggio. È impossibile che una civiltà che raccomanda a tutti di spegnere il riscaldamento in casa e pretende il riscaldamento delle piazze per poter fumare all’aperto, abbia capito che dovrà cambiare strada e inquinare meno per ammalarsi di meno. È tutto dichiarazione d’intenti, è tutto uno stringersi a coorte virtuale, una conferenza stampa continua di cui Casalino è il portavoce ideale.
Dentro i nostri steccati mentali, con le pareti sempre più alte, riconosciamo sempre meno cose, sempre meno diversità, stiamo tra le nostre siepi come uccelli giardinieri, attratti da un solo colore.
Ancora sento gente che esalta il comunismo di Cuba come fosse il trionfo del pensiero, gente che divide il mondo tra quelli che ci aiutano a noi e quelli che non ci aiutano a noi. E noi? Chi aiutiamo noi? Chi abbiamo aiutato? Non dovrebbe essere il normale andazzo? Perché dovrei essere fiero degli aiuti russi, quegli stessi russi che stanno mettendo da 10 anni in ginocchio la Siria con le loro armi?
Chi aiuta il mondo? Questa sarebbe la domanda.
Le fabbriche di armi continuano a lavorare.
Inutile sperare che qualcuno abbia capito che il confine nazionale (non parliamo poi di quello regionale!) è una strettoia che costringe a un pensiero limitato e limitante. Siamo molto meno liberi delle nostre merci. In ogni sito c’è un disclaimer, se vuoi continuare a stare sul sito non devi pigiare NO, ma restare sul sito non significa avere capito che il sito accede alle informazioni del tuo telefono, e a quali informazioni; il mondo funziona allo stesso modo. Non sempre vivere significa capire, non sempre viaggiare significa andare altrove, non sempre leggere significa essere informati. Ci sono confini troppo radicati in noi. Dovremmo avere una visione più larga, più ampia, meno psicopatica.
Il virus, uno degli esseri più stupidi dell’universo, ha capito che i confini si possono superare, l’uomo no.

Natalino Balasso









lunedì 23 marzo 2020

sabato 21 marzo 2020

Adda passà 'a nuttata








Spillover



Abbiamo aumentato il nostro numero fino a sette miliardi e più, arriveremo a nove miliardi prima che si intraveda un appiattimento della curva di crescita. Viviamo in città superaffollate. Abbiamo violato, e continuiamo a farlo, le ultime grandi foreste e altri ecosistemi intatti del pianeta, distruggendo l’ambiente e le comunità che vi abitavano. A colpi di sega e ascia, ci siamo fatti strada in Congo, in Amazzonia, nel Borneo, in Madagascar, in Nuova Guinea e nell’Australia nordorientale. Facciamo terra bruciata, in modo letterale e metaforico. Uccidiamo e mangiamo gli animali di questi ambienti. Ci installiamo al posto loro, fondiamo villaggi, campi di lavoro, città, industrie estrattive, metropoli. Esportiamo i nostri animali domestici, che rimpiazzano gli erbivori nativi. Facciamo moltiplicare il bestiame allo stesso ritmo con cui ci siamo moltiplicati noi, allevandolo in modo intensivo in luoghi dove confiniamo migliaia di bovini, suini, polli, anatre, pecore e capre - e anche centinaia di ratti del bambù e zibetti.
In tali condizioni è facile che gli animali domestici e semidomestici siano esposti a patogeni provenienti dall’esterno (come accade quando i pipistrelli si posano sopra le porcilaie) e si contagino tra di loro. In tali condizioni i patogeni hanno molte opportunità di evolvere e assumere nuove forme capaci di infettare gli esseri umani tanto quanto le mucche o le anatre. Molti di questi animali li bombardiamo con dosi profilattiche di antibiotici e di altri farmaci, non per curarli ma per farli aumentare di peso e tenerli in salute il minimo indispensabile per arrivare vivi al momento del macello, tanto da generare profitti. In questo modo favoriamo l’evoluzione di ceppi batterici resistenti. Importiamo ed esportiamo animali domestici vivi, per lunghe distanze e a grande velocità. Lo stesso avviene per certi animali selvatici usati in laboratorio, come i primati, o tenuti come esotici compagni. Commerciamo in pelli, contrabbandiamo carne e piante, che in certi casi portano dentro invisibili passeggeri patogeni.
Viaggiamo in continuazione, spostandoci da un continente all’altro ancora più in fretta di quanto faccia il bestiame. Dormiamo in alberghi dove magari qualcuno prima di noi ha starnutito e vomitato. Mangiamo in ristoranti dove magari il cuoco ha macellato un porcospino prima di pulire i nostri frutti di mare. Visitiamo templi pieni di scimmie in Asia, mercati in India, paesini pittoreschi in Sudamerica, siti archeologici polverosi in Nuovo Messico, fattorie nei Paesi Bassi, grotte piene di pipistrelli in Africa orientale, ippodromi in Australia - e ovunque respiriamo la stessa aria, diamo da mangiare agli animali, tocchiamo tutto, diamo la mano ai simpatici abitanti del luogo. Poi risaliamo su un bell’aeroplano e torniamo a casa.
Siamo punti da zanzare e zecche. Cambiamo il clima del globo con le nostre emissioni di anidride carbonica e spostiamo le latitudini a cui le suddette zanzare e zecche vivono. Siamo tentazioni irresistibili per i microbi più intraprendenti, perché i nostri corpi sono tanti e sono ovunque.
Tutto ciò che ho appena scritto si può rubricare sotto la voce «ecologia e biologia evolutiva delle zoonosi». Le circostanze ambientali forniscono opportunità per gli spillover. L’evoluzione le coglie, esplora le potenzialità e dà gli strumenti per tramutare gli spillover in pandemie.

David Quammen, Spillover. L'evoluzione delle pandemie (2014)


 


C'è tempo











Corna



«Il popolo, la democrazia» disse il vecchio rassettandosi a sedere, un po' ansante per la dimostrazione che aveva dato del suo saper camminare sulle corna della gente «sono belle invenzioni: cose inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parola in culo all'altra e tutte le parole nel culo dell'umanità, con rispetto parlando... Dico con rispetto parlando per l'umanità... Un bosco di corna, l'umanità (...) E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo, tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più gli calcano i piedi sulle corna

Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta








giovedì 19 marzo 2020

La città vuota











Aiuti












Alexa












Progresso



Se credi nel progresso non conoscerai che lacrime, perché la perfezione, una volta raggiunta, deve finire nel freddo, nella tenebra e nel silenzio. Da un punto di vista spassionato l’ardore di riforme e progresso, virtù, conoscenza, e perfino bellezza, è solo un vano aggrapparsi alle apparenze, come preoccuparsi del taglio dei propri vestiti in una comunità di ciechi.
La vita non ci conosce e noi non conosciamo la vita – non conosciamo nemmeno i nostri stessi pensieri. Metà delle parole che usiamo non ha alcun significato, e dell’altra metà ognuno comprende ogni parola secondo il suggerimento della propria follia e presunzione. La fede è un mito e le credenze fluttuano come nebbie sulla costa: i pensieri svaniscono; le parole, una volta pronunciate, muoiono; e la memoria di ieri è altrettanto vaga della speranza di domani

J. Conrad, lettera




Lettura



La prima cosa che la lettura insegna è come stare da soli.

Jonathan Franzen


 






mercoledì 18 marzo 2020

domenica 15 marzo 2020

sabato 14 marzo 2020

Supper's waiting for you











Istruzioni per cantare



Si cominci con lo spaccare gli specchi di casa, si lascino cadere le braccia, si guardi vagamente la parete, e ci si dimentichi. Si emetta una sola nota, la si ascolti di dentro. Se verrà udito (ma ciò avverrà molto più avanti) qualcosa come un paesaggio immerso nella paura, con fuochi fra le pietre, con figure seminude accucciate, credo che l'avvio sarà stato buonino, e egualmente se si sarà udito un fiume lungo il quale scendono barche gialle e nere, e anche se si sarà udito un sapore di pane, un tatto di dita, un'ombra di cavallo.
Dopo, si comperino solfeggi e un frac, e mi raccomando, niente cantare con il naso e che sia lasciato in pace Schumann.

Cortazar, Storie di Cronopios e Famas

 





Indoors

















































giovedì 12 marzo 2020