lunedì 30 marzo 2020
domenica 29 marzo 2020
sabato 28 marzo 2020
venerdì 27 marzo 2020
giovedì 26 marzo 2020
mercoledì 25 marzo 2020
martedì 24 marzo 2020
Confini
Vedo
gente in gran forma cerebrale che sapeva cosa bisognava fare. Lo
sapeva adesso, ovviamente. Ora piovono critiche a governi, governanti
e governatori. Che se le meritano, non tanto per il loro agire: a
fare si sbaglia sempre tanto o poco, ma piuttosto per la spocchia con
cui tutti i giorni ci ricordano che sanno fare ogni cosa quale che
sia. E meno hanno un’idea più hanno voce.
Credo
che se una cosa si possa individuare nella politica contemporanea è
il premio alla spocchia che sempre gli elettori concedono, la gente
ama chi sputa sui concorrenti, c’è tutta una sinistra che ama gli
snob e tutta una destra che ama gli arroganti. Sono due facce della
stessa cultura, la merda umana che ci ha portati dove ci ha portati,
la deriva del prima noi che ora ci fa frignare come scolarette perché
i vicini ci fregano le mascherine, brutti cattivi! Hanno detto “prima
noi” prima di noi, non è giusto!
E
mentre in Germania per solidarietà cantano “Bella Ciao” dai
balconi, in Italia, dove la sinistra ha bandito “Bella ciao” per
non offendere i suoi elettori di destra, si canta l’Inno di
Novaro-Mameli, uno dei componimenti più ipocriti che l’ipocrisia
del patriottismo abbia prodotto, che racconta il falso mito di un
popolo che in realtà è pronto solo alla morte degli altri, che si
stringe a Corte e non a coorte, che ammazza anche i fratelli pur di
avere i soldi per la discoteca, un’Italia che non si desta neanche
con gli sberloni.
L’eterna
lotta tra guelfi e ghibellini prosegue nei contagi e nelle
convalescenze, nei morti per altre malattie che ormai non esistono
più, negli ospedali che saranno ancora depauperati, dopo questa
emergenza, da una ripresa che vedrà di nuovo il cemento, il petrolio
e la stessa merda che ora ci mette in difficoltà farla da padrona.
Già,
capiremo che il virus è roba da ridere in quanto a retorica rispetto
a poi, quando tutti parleranno di ripresa. E solo perché nessuno ci
sta pensando adesso, questo dovrebbe essere mestiere dei politici;
perché non esiste mica solo il ministero della medicina, per ora
l’unica cosa che vedo partorire dal genio dell’italico pensiero è
chiedere soldi, spendere soldi, farsi dare soldi, senza minimamente
pensare a che fare. Fare, semplicemente fare.
C’è
in corso una devastazione, piccola, ma enorme per la nostra spocchia
contemporanea; nel secolo scorso, senza scomodare la spagnola coi
suoi 50 milioni di morti, o l’asiatica con qualche milione nel
mondo, solo nel 69 c’è stata una piccola influenza di cui nessuno
si ricorda, che ha provocato 1 milione di morti. Certo, le ambulanze
e gli elicotteri sono l’esibizione rumorosa della nostra sofferenza
da paese ricco; non ci sono né ambulanze né elicotteri a volare
sulle teste dei 20.000 bambini che ogni giorno muoiono di fame (ma
siccome non si tratta dei nostri confini regionali non rivolgiamo a
questo l’attenzione che pretendiamo per noi). Tuttavia stiamo
vivendo una devastazione alle nostre abitudini, ben più grande
dell’austerity o del periodo degli scioperi selvaggi. Ma cercare
nell’uomo i motivi delle devastazioni naturali è come sempre
sintomo di delirio di onnipotenza. Siamo nella devastazione, non la
devastazione.
Pensiamo
di essere in grado di risolvere i problemi del mondo, quando il mondo
non ha problemi, siamo noi che li abbiamo, e l’errore è come
sempre quello di considerarci esseri logici invece di animali che
seguono un cieco istinto. È impossibile che chi compra e consuma
pacchetti di roba su cui c’è scritto a caratteri cubitali che
produce il cancro ai polmoni, possa avere attenzione reale per il
pericolo che egli stesso rappresenta per gli altri. È impossibile
che chi ha sempre pensato che non pagare le tasse fosse un semplice
dispetto a una generica politica, capisca che se ha la febbre non può
mettersi in viaggio. È impossibile che una civiltà che raccomanda a
tutti di spegnere il riscaldamento in casa e pretende il
riscaldamento delle piazze per poter fumare all’aperto, abbia
capito che dovrà cambiare strada e inquinare meno per ammalarsi di
meno. È tutto dichiarazione d’intenti, è tutto uno stringersi a
coorte virtuale, una conferenza stampa continua di cui Casalino è il
portavoce ideale.
Dentro
i nostri steccati mentali, con le pareti sempre più alte,
riconosciamo sempre meno cose, sempre meno diversità, stiamo tra le
nostre siepi come uccelli giardinieri, attratti da un solo colore.
Ancora
sento gente che esalta il comunismo di Cuba come fosse il trionfo del
pensiero, gente che divide il mondo tra quelli che ci aiutano a noi e
quelli che non ci aiutano a noi. E noi? Chi aiutiamo noi? Chi abbiamo
aiutato? Non dovrebbe essere il normale andazzo? Perché dovrei
essere fiero degli aiuti russi, quegli stessi russi che stanno
mettendo da 10 anni in ginocchio la Siria con le loro armi?
Chi
aiuta il mondo? Questa sarebbe la domanda.
Le
fabbriche di armi continuano a lavorare.
Inutile
sperare che qualcuno abbia capito che il confine nazionale (non
parliamo poi di quello regionale!) è una strettoia che costringe a
un pensiero limitato e limitante. Siamo molto meno liberi delle
nostre merci. In ogni sito c’è un disclaimer, se vuoi continuare a
stare sul sito non devi pigiare NO, ma restare sul sito non significa
avere capito che il sito accede alle informazioni del tuo telefono, e
a quali informazioni; il mondo funziona allo stesso modo. Non sempre
vivere significa capire, non sempre viaggiare significa andare
altrove, non sempre leggere significa essere informati. Ci sono
confini troppo radicati in noi. Dovremmo avere una visione più
larga, più ampia, meno psicopatica.
Il
virus, uno degli esseri più stupidi dell’universo, ha capito che i
confini si possono superare, l’uomo no.
Natalino
Balasso
lunedì 23 marzo 2020
sabato 21 marzo 2020
Spillover
Abbiamo
aumentato il nostro numero fino a sette miliardi e più, arriveremo a
nove miliardi prima che si intraveda un appiattimento della curva di
crescita. Viviamo in città superaffollate. Abbiamo violato, e
continuiamo a farlo, le ultime grandi foreste e altri ecosistemi
intatti del pianeta, distruggendo l’ambiente e le comunità che vi
abitavano. A colpi di sega e ascia, ci siamo fatti strada in Congo,
in Amazzonia, nel Borneo, in Madagascar, in Nuova Guinea e
nell’Australia nordorientale. Facciamo terra bruciata, in modo
letterale e metaforico. Uccidiamo e mangiamo gli animali di questi
ambienti. Ci installiamo al posto loro, fondiamo villaggi, campi di
lavoro, città, industrie estrattive, metropoli. Esportiamo i nostri
animali domestici, che rimpiazzano gli erbivori nativi. Facciamo
moltiplicare il bestiame allo stesso ritmo con cui ci siamo
moltiplicati noi, allevandolo in modo intensivo in luoghi dove
confiniamo migliaia di bovini, suini, polli, anatre, pecore e capre -
e anche centinaia di ratti del bambù e zibetti.
In
tali condizioni è facile che gli animali domestici e semidomestici
siano esposti a patogeni provenienti dall’esterno (come accade
quando i pipistrelli si posano sopra le porcilaie) e si contagino tra
di loro. In tali condizioni i patogeni hanno molte opportunità di
evolvere e assumere nuove forme capaci di infettare gli esseri umani
tanto quanto le mucche o le anatre. Molti di questi animali li
bombardiamo con dosi profilattiche di antibiotici e di altri farmaci,
non per curarli ma per farli aumentare di peso e tenerli in salute il
minimo indispensabile per arrivare vivi al momento del macello, tanto
da generare profitti. In questo modo favoriamo l’evoluzione di
ceppi batterici resistenti. Importiamo ed esportiamo animali
domestici vivi, per lunghe distanze e a grande velocità. Lo stesso
avviene per certi animali selvatici usati in laboratorio, come i
primati, o tenuti come esotici compagni. Commerciamo in pelli,
contrabbandiamo carne e piante, che in certi casi portano dentro
invisibili passeggeri patogeni.
Viaggiamo
in continuazione, spostandoci da un continente all’altro ancora più
in fretta di quanto faccia il bestiame. Dormiamo in alberghi dove
magari qualcuno prima di noi ha starnutito e vomitato. Mangiamo in
ristoranti dove magari il cuoco ha macellato un porcospino prima di
pulire i nostri frutti di mare. Visitiamo templi pieni di scimmie in
Asia, mercati in India, paesini pittoreschi in Sudamerica, siti
archeologici polverosi in Nuovo Messico, fattorie nei Paesi Bassi,
grotte piene di pipistrelli in Africa orientale, ippodromi in
Australia - e ovunque respiriamo la stessa aria, diamo da mangiare
agli animali, tocchiamo tutto, diamo la mano ai simpatici abitanti
del luogo. Poi risaliamo su un bell’aeroplano e torniamo a casa.
Siamo
punti da zanzare e zecche. Cambiamo il clima del globo con le nostre
emissioni di anidride carbonica e spostiamo le latitudini a cui le
suddette zanzare e zecche vivono. Siamo tentazioni irresistibili per
i microbi più intraprendenti, perché i nostri corpi sono tanti e
sono ovunque.
Tutto
ciò che ho appena scritto si può rubricare sotto la voce «ecologia e biologia evolutiva delle zoonosi». Le circostanze
ambientali forniscono opportunità per gli spillover. L’evoluzione
le coglie, esplora le potenzialità e dà gli strumenti per tramutare
gli spillover in pandemie.
David
Quammen, Spillover. L'evoluzione delle pandemie (2014)
Corna
«Il
popolo, la democrazia» disse il vecchio rassettandosi a sedere, un
po' ansante per la dimostrazione che aveva dato del suo saper
camminare sulle corna della gente «sono belle invenzioni: cose
inventate a tavolino, da gente che sa mettere una parola in culo
all'altra e tutte le parole nel culo dell'umanità, con rispetto
parlando... Dico con rispetto parlando per l'umanità... Un bosco di
corna, l'umanità (...) E sai chi se la spassa a passeggiare sulle corna? Primo,
tienilo bene a mente: i preti; secondo: i politici, e tanto più
dicono di essere col popolo, di volere il bene del popolo, tanto più
gli calcano i piedi sulle corna
giovedì 19 marzo 2020
Progresso
Se
credi nel progresso non conoscerai che lacrime, perché la
perfezione, una volta raggiunta, deve finire nel freddo, nella
tenebra e nel silenzio. Da un punto di vista spassionato l’ardore
di riforme e progresso, virtù, conoscenza, e perfino bellezza, è
solo un vano aggrapparsi alle apparenze, come preoccuparsi del taglio
dei propri vestiti in una comunità di ciechi.
La
vita non ci conosce e noi non conosciamo la vita – non conosciamo
nemmeno i nostri stessi pensieri. Metà delle parole che usiamo non
ha alcun significato, e dell’altra metà ognuno comprende ogni
parola secondo il suggerimento della propria follia e presunzione. La
fede è un mito e le credenze fluttuano come nebbie sulla costa: i
pensieri svaniscono; le parole, una volta pronunciate, muoiono; e la
memoria di ieri è altrettanto vaga della speranza di domani
J.
Conrad, lettera
mercoledì 18 marzo 2020
martedì 17 marzo 2020
domenica 15 marzo 2020
sabato 14 marzo 2020
Istruzioni per cantare
Si
cominci con lo spaccare gli specchi di casa, si lascino cadere le
braccia, si guardi vagamente la parete, e ci si dimentichi. Si emetta
una sola nota, la si ascolti di dentro. Se verrà udito (ma ciò
avverrà molto più avanti) qualcosa come un paesaggio immerso nella
paura, con fuochi fra le pietre, con figure seminude accucciate,
credo che l'avvio sarà stato buonino, e egualmente se si sarà udito
un fiume lungo il quale scendono barche gialle e nere, e anche se si
sarà udito un sapore di pane, un tatto di dita, un'ombra di cavallo.
Dopo,
si comperino solfeggi e un frac, e mi raccomando, niente cantare con
il naso e che sia lasciato in pace Schumann.
Cortazar, Storie di Cronopios e Famas
venerdì 13 marzo 2020
giovedì 12 marzo 2020
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