Da
qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale,
telaio, vetri.
Un’apertura e nulla più,
ma spalancata.
Non
devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per
osservare il cielo.
L’ho dietro me, sottomano e sulle
palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva
dal basso.
Perfino
le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle
valli più profonde.
In nessun luogo ce n’è più
che in
un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente
come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo
che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da
cielo a cielo.
Friabili,
fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo,
briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è
onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.
Mangio
cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un
abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in
risposta a una domanda.
La
divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di
pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a
un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se
dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e
disperazione.
Wislawa Szymborska
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