— In posti come quello — riprese a raccontare dopo un po’ — gli animali non hanno altro da fare che restare chiusi in gabbia, e in genere sono più portati a pensare che non i loro cugini in libertà. Questo dipende dal fatto che anche il più ottuso non può evitare di intuire che c'è qualcosa di sbagliato in quello stile di vita. Quando sostengo che sono portati a pensare, non voglio dire che acquistino il raziocinio; ma, ciò nonostante, la mente della tigre che percorre nervosamente la gabbia avanti e indietro è senza dubbio assorta in qualcosa che un uomo definirebbe pensiero. E questo pensiero è una domanda: perché? Perché, perché, perché, perché, perché, perché?, chiede la tigre a se stessa ora dopo ora, giorno dopo giorno, anno dopo anno, mentre continua il suo interminabile andirivieni dietro le sbarre. Non può analizzare la domanda né elaborarla. Se potessimo chiederle: perché cosa?, non sarebbe in grado di rispondere. Tuttavia questa domanda brucia nella sua mente come una fiamma perenne, causandole un dolore che non si attenua fino a quando l'animale non cade in quella letargia che i guardiani riconoscono come l'irreversibile rifiuto di vivere. E, com'è ovvio, questa domanda è qualcosa che nessuna tigre affronta nel suo normale habitat.
Daniel Quinn, Ishmael
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