lunedì 12 marzo 2012

L'isolamento coperto dai libri


Esistono solitudini oceaniche, desertiche, montuose. Per il mio caso evito la parola solitudine, per un sospetto di romanticismo, e preferisco dire isolamento. 

È stata la mia pratica d'infanzia. Intorno avevo la più fitta densità umana d'Europa, Napoli era sotto morso di tarantola e non serviva a niente chiudere finestre. L'insonnia di strilli, voci, suoni non aveva orario. Ma nella stanzetta dei libri, sotto gli spalti e gli scaffali dove c'era il mio letto, si stava in un'ovatta di quiete. Ho saputo da bambino che i libri sono il miglior materiale isolante e li ho amati per questo. Dietro le loro pagine non potevo essere raggiunto. Dovevano strapparmele di mano, perché non sentivo i richiami ch'era pronto a tavola. 
Mi accorsi poi che funzionava anche fuori di lì. Con un libro davanti agli occhi potevo traversare la città come se fosse vuota. Muovevo appena le labbra leggendo, a modo di preghiera, e ascoltavo nitide le sillabe al mio interno, come se fosse muta la città accalcata. Mi portavano dove volevano loro, lontano dal posto e dall'ora. Mi hanno aiutato a staccarmi da tutto. Un marinaio ha bisogno di una barca, un alpinista di cime, un monaco si arrocca nel suo eremo. Io mi sono procurato la distanza con righe di vari alfabeti. Mi sono trovato al lavoro dentro grandi officine, al chiasso delle macchine utensili e anche lì il distacco funzionava, con dei versi che ripetevo a mente. Nei turni al martello pneumatico in cantiere mi bastava un pensiero, un ricordo per chiudermi dentro. Ero diventato uno specialista. Ho abitato in un piccolo alloggio con altri otto operai e lì il libro diventava mansarda, attico, suite. Ho sospeso gli isolamenti nel decennio 70. 
Nei miei vent' anni ho fatto parte dell' ultima generazione rivoluzionaria del 1900, secolo delle rivoluzioni. Correvano quegli anni, quell'ordine del giorno in giro per il mondo e io ero uno dei suoi minuti secondi. Era il tempo di un vasto pronome "noi", nessun posto e ragione per l' isolamento. Dice un proverbio russo: "Tagliano il bosco, volano le schegge". Mi riconosco in uno dei frammenti. 
Quando si sciolse la comunità nella quale ho avuto parte, diritto e ricordo, sono tornato a separarmi. Ho usato i libri come mio imballaggio. Andrebbero trattati con maggiore riguardo. Oggi sfoglio ingiallite le pagine che hanno la mia età, per effetto di degenerazione del polimero chiamato lignina. Le costole che uniscono le pagine hanno allentato la presa. Succede pure a me. Mi fa contento essere stato in loro buona compagnia per la durata degli isolamenti, ma è facile augurarne, a chi legge, di migliori.

Erri De Luca, da La Repubblica

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