Non
c’è viaggio senza che si attraversino frontiere – politiche, linguistiche,
sociali, culturali, psicologiche, anche quelle invisibili che separano un
quartiere da un altro nella stessa città, quelle tra le persone, quelle
tortuose che nei nostri inferi sbarrano la strada a noi stessi. Oltrepassare
frontiere; anche amarle – in quanto definiscono una realtà, un’individualità,
le danno forma, salvandola così dall'indistinto – ma senza
idolatrarle, senza farne idoli che esigono sacrifici di sangue. Saperle flessibili,
provvisorie e periture, come un corpo umano, e perciò degne di essere amate;
mortali, nel senso di soggette alla morte, come i viaggiatori, non occasione e
causa di morte, come lo sono state e lo sono tante volte. Viaggiare non vuol dire soltanto
andare dall'altra parte della frontiera, ma anche scoprire di
essere sempre pure dall'altra parte.
C. Magris, L’infinito viaggiare
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