lunedì 30 gennaio 2017
Kon
Un
prete.
Cosa,
di più, non saprei (si accettano suggerimenti).
Lavoro
in un posto dove ogni giorno muore qualcuno, di solito piuttosto
male, a causa di questa fissazione tanto 1950 di dover far campare la
gente inscheletrita, piena di tubi e piaghe da decubito. Ma si fa
quello che si deve fare.
Tengo in ambulatorio i bimbi dei rifugiati mentre i genitori sono dagli assistenti sociali (credevate che Mr.Buffo Pallo fosse un invenzione?)
Mi fermo sempre con la macchina se vedo che qualcuno litiga/sta male ha bisogno di aiuto e un giorno troverete il mio cadavere in un fosso.
Sto ad ascoltare i regazzetti e le regazzette che mi telefonano disperati la sera perché la vita non ha significato e/o credono di essere incinta/avere l’aids.
Abbiamo accolto una ragazzina in casa per una settimana e la madre l’ha abbandonata. Da noi. In casa nostra. L’ha lasciata a noi.
Vado nella grande città (Milano) e vedo gente sotto i portici che non ha nemmeno la forza di alzarsi da terra. Gli compro il pranzo da McDonald, pur sapendo che sarà uno solo su 364.
Porto i sacchi di sabbia durante l’alluvione e prendo su perché indosso la stessa cerata degli operai del comune che non si sono fatti vedere.
E copro con un sacchetto gli altrui finestrini lasciati aperti quando minaccia di piovere e mi fermo a prendere i cani in mezzo alla strada e ogni mattina faccio la spola per portare i ragazzi extracomunitari appiedati a montare in turno in prosciuttificio e catturo e libero topi/faine/volpi e raccatto la sporcizia sui bordi delle strade quando porto Cthulhu a spasso e infine sono diventato pure vegetariano perché, salvo suggerimenti, non mi viene in mente cosa potrei fare più di così senza prendere e andarmene con Medici Senza Frontiere (cosa che avrei già fatto anni fa se allora non avessi avuto una figlia che aveva bisogno di me).
Tengo in ambulatorio i bimbi dei rifugiati mentre i genitori sono dagli assistenti sociali (credevate che Mr.Buffo Pallo fosse un invenzione?)
Mi fermo sempre con la macchina se vedo che qualcuno litiga/sta male ha bisogno di aiuto e un giorno troverete il mio cadavere in un fosso.
Sto ad ascoltare i regazzetti e le regazzette che mi telefonano disperati la sera perché la vita non ha significato e/o credono di essere incinta/avere l’aids.
Abbiamo accolto una ragazzina in casa per una settimana e la madre l’ha abbandonata. Da noi. In casa nostra. L’ha lasciata a noi.
Vado nella grande città (Milano) e vedo gente sotto i portici che non ha nemmeno la forza di alzarsi da terra. Gli compro il pranzo da McDonald, pur sapendo che sarà uno solo su 364.
Porto i sacchi di sabbia durante l’alluvione e prendo su perché indosso la stessa cerata degli operai del comune che non si sono fatti vedere.
E copro con un sacchetto gli altrui finestrini lasciati aperti quando minaccia di piovere e mi fermo a prendere i cani in mezzo alla strada e ogni mattina faccio la spola per portare i ragazzi extracomunitari appiedati a montare in turno in prosciuttificio e catturo e libero topi/faine/volpi e raccatto la sporcizia sui bordi delle strade quando porto Cthulhu a spasso e infine sono diventato pure vegetariano perché, salvo suggerimenti, non mi viene in mente cosa potrei fare più di così senza prendere e andarmene con Medici Senza Frontiere (cosa che avrei già fatto anni fa se allora non avessi avuto una figlia che aveva bisogno di me).
Immaginatemi
come un prete ma senza la cazzata dell’astinenza sessuale e del
nvlla salvs extra ecclesiam; una via di mezzo tra Obi Wan Kenobi,
David Carradine in Kung Fu e Morgan di The Walking Dead ma per
autodifesa anche un po’ Don Zauker, quindi fatemi il grossissimo
favore di NON STRACCIARMI IL CAZZO sbraitandomi dallo
schermo ‘E TU CON I TUOI DISCORSI BUONISTI COSA STAI FACENDO PER
FERMARE I FASCISTI IN ITALIA?!’.
Di
sicuro cerco di evitare di lussarmi le dita a forza di picchiare
proclami sulla mia tastiera, nel buio isterico della mia camera o
nella frustrazione del mio ufficio, perché queste mi servono per
continuare a fare quel po’ che sto facendo contro la mancanza di
empatia, contro la solitudine, l’insensibilità, l’ignoranza e,
visto che il termine vi è molto caro, contro il ‘fascismo’
(che è un po’ più che fare il saluto romano e urlare DVX MEA
LVX!)
Con
la mano sul cuore: potete dire la stessa cosa?
Caro
Kon, ho letto il suo post "Un prete", non posso che
chiederle di abbracciarsi forte da parte mia per ringraziarla e per
regalarle una piccola manifestazione concreta di umanità in questo
marasma liquido.
Anonimo
Guarda,
mi sono riletto e mi sento pure in colpa perché sembra che mi sia
voluto ergere a chissà chi.
Mi
cadesse un occhio nel tritadocumenti se penso di essere minimamente
migliore o più profondo di una qualsiasi altra persona che mi abbia
letto.
Vado
avanti nella mia quotidianità in una maniera così faticosa che per
ogni cosa buona che sento di aver fatto, parimenti penso di non
essere riuscito ad evitare una mia meschinità o una mia mancanza di
azione.
Ognuno
fa quello che il tempo, la sensibilità e la forza d’animo gli
permettono di poter fare e nemmeno con un coltello alla gola mi
permetterei di giudicare o insegnare con supponenza ad altri cosa
fare del tempo loro concesso.
Era
il semplice sfogo di una persona che sente tanto peso addosso ma
tutto sommato mai così tanto da crollare.
La
vita mi ha preso in ostaggio e io pago il riscatto volentieri.
Comunque
grazie :)
martedì 24 gennaio 2017
Giardini che vorrei
Un
giardino riverbera la qualità del sentimento di chi se ne occupa.
C'è amore e amore. Un certo tipo di amore uccide oppure esprime
l'aspirazione al controllo assoluto. L'amore di cui necessita un
giardino è d'altro genere, in nulla diverso da quello di cui sono
assetati gli esseri senzienti: è fatto di attenzione,
partecipazione, cura, rispetto. E, naturalmente, di gioioso stupore
di fronte al miracolo della presenza.
Il
mio punto di partenza è l'amore per le piante, il paesaggio e la
natura, spesso ridotti a poveri brandelli, percepiti talvolta
sull'orlo dell'estinzione. Un giardino allevierà, almeno un poco, il
senso di impotenza se ne faremo un luogo protetto dove concedere
asilo a specie amate o minacciate nel loro ambiente d'origine, piante
ma anche animali.
Per
chi abbia care le piante, il giardino è anche il luogo dove
ospitarle al meglio, in modo che non abbiano a deperire o ammalarsi.
Quella che per noi è bellezza, per le piante è salute, mi disse una
volta un giardiniere.
Pia
Pera, Il giardino che vorrei
lunedì 23 gennaio 2017
Quindi...
-“Quindi
i ragazzi stupidi vanno con le ragazze stupide, e i ragazzi
intelligenti vanno con le ragazze stupide? E alle ragazze
intelligenti cosa rimane?”
-“I
gatti, di solito.”
venerdì 20 gennaio 2017
martedì 17 gennaio 2017
Erba curativa
Larry
Smith
è un ex
poliziotto
del Sud Dakota, da vent’anni affetto dal morbo
di Parkinson.
I tremori
alle mani e gli spasmi
gli impediscono di avere una vita normale, influendo anche sulla sua
possibilità
di parlare,
cosa comune a molte persone affette da questa patologia. Un
altro paziente affetto dal morbo di Parkinson, che usa l’estratto
di cannabis
per curarsi, si reca da Larry per spiegargli
come assumerlo.
lunedì 16 gennaio 2017
I costi della Chiesa
Inchiesta UAAR sui fondi pubblici e le esenzioni di cui gode la Chiesa cattolica
L’Uaar
parte dall’assunto che le religioni (tutte) dovrebbero essere
sostenute da chi le professa. Ciò non accade, quantomeno in Italia,
grazie a un numero considerevole di leggi e normative emanate in
favore delle comunità di fede. Nessuno è al corrente dell’entità
dei fondi pubblici e delle esenzioni di cui, annualmente, beneficia
la religione che ne gode incomparabilmente più delle altre, la
Chiesa cattolica nelle sue articolazioni (Santa Sede, Cei, ordini e
movimenti religiosi, associazionismo, eccetera). Non la rendono nota
né la Conferenza Episcopale Italiana, né lo Stato. È per questo
motivo che l’Uaar ha deciso di dar vita alla piattaforma I
costi della Chiesa:
l’obiettivo è di presentare una stima di massima che sia la più
attendibile e accurata possibile, citando estesamente le fonti e
utilizzando metodologie trasparenti.
Per
approfondimenti:
La
stima aggiornata dei costi annui della Chiesa è
Euro 6.448.569.808
[Tabella riepilogativa vers. 4.01 (7/1/2017)]
sabato 14 gennaio 2017
Disegnare una terra
È
dall’infanzia che cerco
di raffigurare il mio paese.
Ho disegnato case
ho disegnato tetti
ho disegnato volti.
E minareti dorati ho disegnato
e strade deserte
dove sdraiarsi per lenire la stanchezza.
Ho disegnato una terra chiamata metafora,
la terra degli arabi.
È dall’infanzia che cerco di disegnare una terra
che mi tratti con gentilezza
se infrango il vetro della luna
e mi ringrazi se scrivo versi d’amore
e se inseguo l’amore mi lasci fare
come un uccello, sugli alberi.
Cerco di disegnare una terra
nella quale gli uomini ridano… e piangano come gli altri uomini.
Cerco di liberarmi dai miei modi di dire
e dalla maledizione del soggetto e del complemento oggetto,
di scrollarmi la polvere dalle spalle
di lavarmi il viso con acqua piovana.
Cerco con l’autorità della sabbia di abbandonare il campo…
Addio Quraish
Addio Kulayb
Addio Mudar.
Cerco di disegnare una terra
con un parlamento di gelsomini
con un popolo schiavo del gelsomino
le cui colombe si addormentino sul mio capo
i cui minareti piangano nei miei occhi.
Cerco di disegnare una terra
che sia amica della mia poesia
e non si intrometta tra me i miei pensieri
nella quale non marcino gli eserciti
sulla mia fronte.
Cerco di disegnare una terra
che mi ricompensi se brucio i miei abiti
e mi perdoni
se straripa il fiume della mia follia.
Cerco di disegnare una città dell’amore
priva di vincoli
dove le donne non vengano immolate
e il loro corpo addomesticato.
Ho viaggiato a sud
ho viaggiato a nord
ma inutilmente.
Il caffé di tutti i locali ha lo stesso aroma
tutte le donne quando si spogliano
hanno lo stesso profumo.
Tutti gli uomini della tribù non masticano il cibo
ma inghiottono le donne
in un solo boccone.
Ho cercato sin dall’inizio
di non somigliare ad alcuno.
Ho sempre respinto i discorsi in scatola
e rifiutato qualsiasi idolo.
Ho tentato di bruciare tutte le parole di cui mi sono rivestito:
a volte le poesie sono una tomba
e le lingue un sudario.
Ho disegnato l’emorragia dei bar
ho disegnato la tosse delle città
e ho preso appuntamento con l’ultima donna
e tuttavia… sono arrivato a tempo scaduto.
Cerco di disegnare una terra
dove il mio letto sia solido
e solida la mia testa
perché possa dalle navi avvistare la costa.
Ma loro… mi hanno requisito la scatola dei colori
e non mi permettono
di raffigurare il volto del mio paese.
di raffigurare il mio paese.
Ho disegnato case
ho disegnato tetti
ho disegnato volti.
E minareti dorati ho disegnato
e strade deserte
dove sdraiarsi per lenire la stanchezza.
Ho disegnato una terra chiamata metafora,
la terra degli arabi.
È dall’infanzia che cerco di disegnare una terra
che mi tratti con gentilezza
se infrango il vetro della luna
e mi ringrazi se scrivo versi d’amore
e se inseguo l’amore mi lasci fare
come un uccello, sugli alberi.
Cerco di disegnare una terra
nella quale gli uomini ridano… e piangano come gli altri uomini.
Cerco di liberarmi dai miei modi di dire
e dalla maledizione del soggetto e del complemento oggetto,
di scrollarmi la polvere dalle spalle
di lavarmi il viso con acqua piovana.
Cerco con l’autorità della sabbia di abbandonare il campo…
Addio Quraish
Addio Kulayb
Addio Mudar.
Cerco di disegnare una terra
con un parlamento di gelsomini
con un popolo schiavo del gelsomino
le cui colombe si addormentino sul mio capo
i cui minareti piangano nei miei occhi.
Cerco di disegnare una terra
che sia amica della mia poesia
e non si intrometta tra me i miei pensieri
nella quale non marcino gli eserciti
sulla mia fronte.
Cerco di disegnare una terra
che mi ricompensi se brucio i miei abiti
e mi perdoni
se straripa il fiume della mia follia.
Cerco di disegnare una città dell’amore
priva di vincoli
dove le donne non vengano immolate
e il loro corpo addomesticato.
Ho viaggiato a sud
ho viaggiato a nord
ma inutilmente.
Il caffé di tutti i locali ha lo stesso aroma
tutte le donne quando si spogliano
hanno lo stesso profumo.
Tutti gli uomini della tribù non masticano il cibo
ma inghiottono le donne
in un solo boccone.
Ho cercato sin dall’inizio
di non somigliare ad alcuno.
Ho sempre respinto i discorsi in scatola
e rifiutato qualsiasi idolo.
Ho tentato di bruciare tutte le parole di cui mi sono rivestito:
a volte le poesie sono una tomba
e le lingue un sudario.
Ho disegnato l’emorragia dei bar
ho disegnato la tosse delle città
e ho preso appuntamento con l’ultima donna
e tuttavia… sono arrivato a tempo scaduto.
Cerco di disegnare una terra
dove il mio letto sia solido
e solida la mia testa
perché possa dalle navi avvistare la costa.
Ma loro… mi hanno requisito la scatola dei colori
e non mi permettono
di raffigurare il volto del mio paese.
Nizār
Tawfīq Qabbānī, Raffigurazione del tempo grigio
(Aleppo)
mercoledì 11 gennaio 2017
Un corpo solo
L'uomo
ha un corpo solo,
solo come la solitudine.
L'anima è stanca
di questo involucro senza connessure,
fatto d'orecchi e d'occhi,
quattro soldi di grandezza
e di pelle, cicatrice su cicatrice,
tirata sulle ossa.
Dalla cornea vola dunque via
nel pozzo spalancato del cielo,
sulla ruota di ghiaccio,
sulle ali d'un uccello,
e sente dalle inferriate
della sua vivente prigione
il sussurrare dei boschi e dei campi,
il rombo dei sette mari.
Senza corpo l'anima si vergogna,
come un corpo svestito.
Né pensieri né azione né progetti né scritti,
un enigma senza soluzione.
Chi ritorna sui suoi passi
dopo aver ballato sul palco
dove nessuno ballò?
E io sogno un'anima diversa,
in una nuova veste,
che arde passando
solo come la solitudine.
L'anima è stanca
di questo involucro senza connessure,
fatto d'orecchi e d'occhi,
quattro soldi di grandezza
e di pelle, cicatrice su cicatrice,
tirata sulle ossa.
Dalla cornea vola dunque via
nel pozzo spalancato del cielo,
sulla ruota di ghiaccio,
sulle ali d'un uccello,
e sente dalle inferriate
della sua vivente prigione
il sussurrare dei boschi e dei campi,
il rombo dei sette mari.
Senza corpo l'anima si vergogna,
come un corpo svestito.
Né pensieri né azione né progetti né scritti,
un enigma senza soluzione.
Chi ritorna sui suoi passi
dopo aver ballato sul palco
dove nessuno ballò?
E io sogno un'anima diversa,
in una nuova veste,
che arde passando
dal
timore alla speranza
come fiamma che s'alimenta nell'alcool,
priva d'ombra,
che vaghi per la terra
lasciando a suo ricordo, sul tavolo,
un lillà.
Corri, bambino,
non piangere sulla misera Euridice.
Con la tua piccola asta,
per le vie del mondo,
sospingi ancora il tuo cerchio di rame.
Anche se udibile
solo per un piccolo quarto,
in risposta ad ogni tuo passo,
allegra ed asciutta,
la Terra ti mormora nelle orecchie.
come fiamma che s'alimenta nell'alcool,
priva d'ombra,
che vaghi per la terra
lasciando a suo ricordo, sul tavolo,
un lillà.
Corri, bambino,
non piangere sulla misera Euridice.
Con la tua piccola asta,
per le vie del mondo,
sospingi ancora il tuo cerchio di rame.
Anche se udibile
solo per un piccolo quarto,
in risposta ad ogni tuo passo,
allegra ed asciutta,
la Terra ti mormora nelle orecchie.
Arsenij
Tarkovskij, Euridice
martedì 10 gennaio 2017
Il percorso dell'amore
Ricevetti
una telefonata in ufficio; era mio padre. Accadde non molto dopo il
mio divorzio, quando da poco lavoravo all'agenzia immobiliare. I
ragazzi erano tutti e due a scuola. Era una giornata piuttosto calda,
di settembre. Mio padre era talmente cortese, anche in famiglia. Ebbe
cura di domandarmi come stavo. Maniere contadine. Se ti telefonano
per dirti che hai la casa in fiamme, prima ti chiedono come stai.
- Bene - dissi - E tu?
- Bene - dissi - E tu?
Non
tanto, direi, - rispose mio padre con il tono di sempre, riservato e
dignitoso - La mamma se ne è andata, credo.
Sapevo
che «andata» voleva dire «morta». Lo sapevo. Ma per un paio di
secondi vidi mia madre con il suo cappellino di paglia nera avviarsi
sul viottolo di casa. La parola «andata» traboccava solo di
sollievo e perfino di euforia, quell'euforia che proviamo quando la
porta si chiude e casa nostra sprofonda nella normalità e possiamo
prendere libero possesso di tutto lo spazio vuoto intorno a noi. Lo
diceva anche la voce di mio padre, un suono strano, una specie di
sospiro trattenuto, mascherato dal tono di scuse. Eppure mia madre
non era stata di peso - mai malata, neanche un giorno - perciò, ben
lungi dal provare sollievo alla sua morte, per mio padre, era stato
un duro colpo. Diceva di non essersi mai abituato a vivere da solo.
Aveva accettato di ritirarsi nella casa di riposo Netterfield
abbastanza di buon grado.
Mi
disse di aver trovato mia madre sul divano in cucina, tornando a casa
a mezzogiorno. Aveva raccolto dei pomodori e li stava mettendo a
maturare sul davanzale della finestra; probabilmente si era sentita
cedere le gambe e si era coricata. Ora, mentre lo raccontava, a mio
padre mancò un po’ la voce per lo sbigottimento, come c'era da
aspettarsi. Mentalmente, immaginai il divano, la vecchia trapunta che
lo foderava, proprio sotto il telefono.
Allora
ho pensato che facevo meglio a chiamarti, - disse mio padre, e
aspettò che fossi io a dirgli che cosa fare a quel punto.
Mia
madre pregava in ginocchio a mezzogiorno, la sera e appena sveglia la
mattina. Ogni giorno si apriva per lei allo scopo di vedervi
realizzata la volontà di Dio. Tutte le sere sommava quello che aveva
fatto, detto e pensato di fare, i conti con Lui. Una vita spaventosa,
secondo i più, che però non ne afferrano il punto. Prima di tutto,
una vita del genere non conosce la noia. E poi non succede mai niente
che tu non possa mettere a frutto. Anche perseguitato dai guai, e
malato e povero e brutto, hai sempre la tua anima da portare a
destinazione, come un tesoro su un vassoio. Quando saliva in camera a
pregare dopo pranzo mia madre era piena di energia e di aspettative,
e sorrideva sul serio.
La
sua salvezza si era compiuta in un campeggio estivo all’età di
quattordici anni. La stessa estate in cui morì sua madre, mia nonna.
Per qualche anno mia madre partecipò a raduni con molte altre
persone salvate, alcune delle quali salvate più e più volte,
fervidi ex peccatori. Aveva un mucchio di aneddoti riguardo a quei
raduni, storie di canti, strepiti e furore. Ci raccontò di un
vecchio che si era alzato urlando: «Scendi, Signore, scendi in mezzo
a noi, adesso! Scendi pure dal tetto, che pago io le scandole!»
lunedì 9 gennaio 2017
Nulla di rilevante
Si è arrivati a questo: siedo sotto un albero,
sulla sponda d’un fiume
in una mattina assolata.
È un evento futile
e non passerà alla storia.
Non si tratta di battaglie e patti
di cui si studiano le cause,
né di tirannicidi degni di memoria.
Tuttavia siedo su questa sponda, è un fatto.
E se sono qui,
da qualche parte devo pur essere venuta,
e in precedenza
devo essere stata in molti altri posti,
esattamente come i conquistatori di terre lontane
prima di salire a bordo.
Anche l'attimo fuggente ha un ricco passato,
il suo venerdì prima del sabato,
il suo maggio prima di giugno.
Ha i suoi orizzonti non meno reali
di quelli nel cannocchiale dei capitani.
Quest'albero è un pioppo radicato da anni.
Il fiume è la Raba, che scorre non da ieri.
Il sentiero è tracciato fra i cespugli
non dall'altro ieri.
Il vento per soffiare via le nuvole
prima ha dovuto spingerle fin qui.
E anche se nulla di rilevante accade intorno,
non per questo il mondo è più povero di particolari,
peggio fondato, meno definito
di quando lo invadevano i popoli migranti.
Il silenzio non accompagna solo i complotti,
né il corteo delle cause solo le incoronazioni.
Possono essere tondi gli anniversari delle insurrezioni,
ma anche i sassolini in parata sulla sponda.
Fitto e intricato è il ricamo delle circostanze.
Il punto della formica nell'erba.
L'erba cucita alla terra.
Il disegno dell'onda in cui si infila un fuscello.
Si dà il caso che io sia qui e guardi.
Sopra di me una farfalla bianca sbatte nell'aria
ali che sono solamente sue
e sulle mani mi vola un'ombra,
non di un'altra, non di altri, ma solo sua.
A tale vista mi abbandona sempre la certezza
che ciò che è importante
sia più importante di ciò che non lo è.
Wisława Szymborska, Non occorre titolo
Misure
Normalmente
si misura la tenuta di un ponte a partire dalla solidità del suo
pilastro più piccolo. La qualità umana di una società dovrebbe
essere misurata a partire dalla qualità della vita dei più deboli
tra i suoi membri. E poiché l'essenza di ogni morale è data dalla
responsabilità nei confronti dell'umanità degli altri, questa è
anche l'unità di misura degli standard morali di una società. È
questo, a mio avviso, l'unico tipo di misura che un sistema di
welfare si possa permettere, ma è anche l'unico di cui abbia davvero
bisogno. È una misura che può non bastare a garantirgli il sostegno
sociale dal quale dipende la sua sopravvivenza; ma è anche l'unico
tipo di misura che parli, in modo perentorio e privo di ambiguità, a
favore del welfare state.
Zygmunt
Bauman
Poznań,
19 novembre 1925 – Leeds, 9 gennaio 2017
domenica 8 gennaio 2017
Break free
Uno
studente di cinema moldavo di 26 anni, Eugen Merher, ha
ideato e prodotto uno spot di un minuto e mezzo per una
possibile nuova campagna pubblicitaria della celebre marca sportiva
Adidas. Quando ha deciso di proporlo al reparto pubblicitario di
Adidas, Merher non ha ricevuto alcuna risposta dai creativi, che non
hanno preso in considerazione la sua proposta.
Il
video viene pubblicato in rete e conquista il web. Oggi ha quasi 500mila visualizzazioni su YouTube.
Tutta pubblicità indiretta per la Adidas, che non sa apprezzare i
giovani talenti ma ne usufruisce nonostante tutto
mercoledì 4 gennaio 2017
Alfabeto
Il
primo giorno di scuola, il maestro ha appoggiato sulla cattedra una
scatola di legno. Poi ha sollevato il coperchio, ci ha guardato
dentro, e una dopo l’altra ha cominciato a tirare fuori le lettere
dell’alfabeto. Erano pezzi di legno colorati, ciascuno con una sua
forma. Senza respirare, abbiamo lasciato i banchi e siamo scivolati
verso di lui, come limature di ferro richiamate dalla calamita. In
pochi minuti eravamo raccolti intorno alla cattedra. Quando ha
estratto l’ultima lettera – era la G e il maestro l’ha lasciata
insieme alle altre sulla fòrmica del tavolo – ci ha chiesto di
fare silenzio. Quindi ci ha spiegato che le lettere dell’alfabeto
sono ventuno. Possono sembrare poche, ha detto, ma con queste
lettere, d’ora in poi dovrete fare tutto. Con ventuno lettere –
ha detto prendendole tutte nelle mani e poi passandole sotto i nostri
nasi – si può costruire e distruggere il mondo, nascere e morire,
amare, soffrire, minacciare, aiutare, chiedere, ordinare, supplicare,
consolare, ridere, domandare, vendicarsi, accarezzare.
martedì 3 gennaio 2017
lunedì 2 gennaio 2017
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