Il
primo giorno di scuola, il maestro ha appoggiato sulla cattedra una
scatola di legno. Poi ha sollevato il coperchio, ci ha guardato
dentro, e una dopo l’altra ha cominciato a tirare fuori le lettere
dell’alfabeto. Erano pezzi di legno colorati, ciascuno con una sua
forma. Senza respirare, abbiamo lasciato i banchi e siamo scivolati
verso di lui, come limature di ferro richiamate dalla calamita. In
pochi minuti eravamo raccolti intorno alla cattedra. Quando ha
estratto l’ultima lettera – era la G e il maestro l’ha lasciata
insieme alle altre sulla fòrmica del tavolo – ci ha chiesto di
fare silenzio. Quindi ci ha spiegato che le lettere dell’alfabeto
sono ventuno. Possono sembrare poche, ha detto, ma con queste
lettere, d’ora in poi dovrete fare tutto. Con ventuno lettere –
ha detto prendendole tutte nelle mani e poi passandole sotto i nostri
nasi – si può costruire e distruggere il mondo, nascere e morire,
amare, soffrire, minacciare, aiutare, chiedere, ordinare, supplicare,
consolare, ridere, domandare, vendicarsi, accarezzare.
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