mercoledì 4 gennaio 2017

Alfabeto





Il primo giorno di scuola, il maestro ha appoggiato sulla cattedra una scatola di legno. Poi ha sollevato il coperchio, ci ha guardato dentro, e una dopo l’altra ha cominciato a tirare fuori le lettere dell’alfabeto. Erano pezzi di legno colorati, ciascuno con una sua forma. Senza respirare, abbiamo lasciato i banchi e siamo scivolati verso di lui, come limature di ferro richiamate dalla calamita. In pochi minuti eravamo raccolti intorno alla cattedra. Quando ha estratto l’ultima lettera – era la G e il maestro l’ha lasciata insieme alle altre sulla fòrmica del tavolo – ci ha chiesto di fare silenzio. Quindi ci ha spiegato che le lettere dell’alfabeto sono ventuno. Possono sembrare poche, ha detto, ma con queste lettere, d’ora in poi dovrete fare tutto. Con ventuno lettere – ha detto prendendole tutte nelle mani e poi passandole sotto i nostri nasi – si può costruire e distruggere il mondo, nascere e morire, amare, soffrire, minacciare, aiutare, chiedere, ordinare, supplicare, consolare, ridere, domandare, vendicarsi, accarezzare.






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