Ricevetti
una telefonata in ufficio; era mio padre. Accadde non molto dopo il
mio divorzio, quando da poco lavoravo all'agenzia immobiliare. I
ragazzi erano tutti e due a scuola. Era una giornata piuttosto calda,
di settembre. Mio padre era talmente cortese, anche in famiglia. Ebbe
cura di domandarmi come stavo. Maniere contadine. Se ti telefonano
per dirti che hai la casa in fiamme, prima ti chiedono come stai.
- Bene - dissi - E tu?
- Bene - dissi - E tu?
Non
tanto, direi, - rispose mio padre con il tono di sempre, riservato e
dignitoso - La mamma se ne è andata, credo.
Sapevo
che «andata» voleva dire «morta». Lo sapevo. Ma per un paio di
secondi vidi mia madre con il suo cappellino di paglia nera avviarsi
sul viottolo di casa. La parola «andata» traboccava solo di
sollievo e perfino di euforia, quell'euforia che proviamo quando la
porta si chiude e casa nostra sprofonda nella normalità e possiamo
prendere libero possesso di tutto lo spazio vuoto intorno a noi. Lo
diceva anche la voce di mio padre, un suono strano, una specie di
sospiro trattenuto, mascherato dal tono di scuse. Eppure mia madre
non era stata di peso - mai malata, neanche un giorno - perciò, ben
lungi dal provare sollievo alla sua morte, per mio padre, era stato
un duro colpo. Diceva di non essersi mai abituato a vivere da solo.
Aveva accettato di ritirarsi nella casa di riposo Netterfield
abbastanza di buon grado.
Mi
disse di aver trovato mia madre sul divano in cucina, tornando a casa
a mezzogiorno. Aveva raccolto dei pomodori e li stava mettendo a
maturare sul davanzale della finestra; probabilmente si era sentita
cedere le gambe e si era coricata. Ora, mentre lo raccontava, a mio
padre mancò un po’ la voce per lo sbigottimento, come c'era da
aspettarsi. Mentalmente, immaginai il divano, la vecchia trapunta che
lo foderava, proprio sotto il telefono.
Allora
ho pensato che facevo meglio a chiamarti, - disse mio padre, e
aspettò che fossi io a dirgli che cosa fare a quel punto.
Mia
madre pregava in ginocchio a mezzogiorno, la sera e appena sveglia la
mattina. Ogni giorno si apriva per lei allo scopo di vedervi
realizzata la volontà di Dio. Tutte le sere sommava quello che aveva
fatto, detto e pensato di fare, i conti con Lui. Una vita spaventosa,
secondo i più, che però non ne afferrano il punto. Prima di tutto,
una vita del genere non conosce la noia. E poi non succede mai niente
che tu non possa mettere a frutto. Anche perseguitato dai guai, e
malato e povero e brutto, hai sempre la tua anima da portare a
destinazione, come un tesoro su un vassoio. Quando saliva in camera a
pregare dopo pranzo mia madre era piena di energia e di aspettative,
e sorrideva sul serio.
La
sua salvezza si era compiuta in un campeggio estivo all’età di
quattordici anni. La stessa estate in cui morì sua madre, mia nonna.
Per qualche anno mia madre partecipò a raduni con molte altre
persone salvate, alcune delle quali salvate più e più volte,
fervidi ex peccatori. Aveva un mucchio di aneddoti riguardo a quei
raduni, storie di canti, strepiti e furore. Ci raccontò di un
vecchio che si era alzato urlando: «Scendi, Signore, scendi in mezzo
a noi, adesso! Scendi pure dal tetto, che pago io le scandole!»
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