mercoledì 17 aprile 2019

Casa



Adesso abito quassù
in una casa di montagna
e passo il tempo con delle foglie secche
che metto in fila sopra uno scalino;
o vado a toccare quei fili d’acqua
che saltellano giù da una fessura di sassi
dove le trote stanno accovacciate al fresco
e Silvestro le prende con le mani
come fanno i gatti con le farfalle.
Mi piace anche fare dei conti
con un’aritmetica elementare:
due e due quattro sei e sei dodici
se vai a comprare sette uova e tre cadono
a terra, quante ne restano sane?
O altrimenti faccio delle righe sulla sabbia
del cortile, delle aste una dopo l’altra
per ricordare la sveltezza
delle gambe di una volta e l’aria
piena di lucciole e la bicicletta
e la fionda, gli aquiloni
e laggiù per ogni Ferragosto
il mare che stava disteso dietro montagne
di sabbia come una bestia buona
sotto le carezze del padrone.
Il pomeriggio sto seduto a guardare
la valle e la montagna in fondo
con tutti i campi che sembrano stracci
ad asciugare al sole e ogni tanto le strisce
rosse dei papaveri, dei mucchietti di case
come dei nidi di rondini appoggiati a terra
e la gente piegata a lavorare
piccola come la polvere e io seduto
con tutta ’sta roba dentro gli occhi
e con la memoria che è diventata bianca
e su questo lenzuolo ogni tanto passa
la voce della mia povera mamma
e l’odore delle mele cotogne
che stavano in cima all’armadio.

Tonino Guerra, La mia casa a Pennabilli 









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