Per
esempio, Marte si rivela al telescopio un pianeta più perplesso di quanto non
sembri ad occhio nudo: pare abbia tante cose da comunicare di cui si riesce a
mettere a fuoco solo una piccola parte, come in un discorso farfugliato e
tossicchiante. Un alone
scarlatto sporge intorno all’orlo; si può cercare di rincalzarlo regolando la
vite, per far risaltare la crostina di ghiaccio del polo inferiore; macchie
affiorano sulla superficie come nuvole o squarci fra le nuvole
(…)
Tutto il contrario è il rapporto che egli stabilisce con Saturno, il
pianeta che più dà emozione a chi lo guarda attraverso un telescopio: eccolo
nitidissimo, bianchissimo, esatti i contorni della sfera e dell’anello; una
leggera rigatura di paralleli zebra la sfera; una circonferenza più scura
separa il bordo dell’anello; questo telescopio non capta quasi altri dettagli e
accentua l’astrazione geometrica dell’oggetto; il senso di una lontananza
estrema anziché attenuarsi risalta più che a occhio nudo. Che in cielo stia
ruotando un oggetto così diverso da tutti gli altri, una forma che raggiunge il
massimo di stranezza col massimo di semplicità e di regolarità e d’armonia, è
un fatto che rallegra la vista e il pensiero. Se avessero potuto vederlo come
ora lo vedo io, - pensa il signor Palomar, - gli antichi avrebbero creduto
d’aver spinto il loro sguardo nel cielo delle idee di Platone, o nello spazio
immateriale dei postulati di Euclide; invece quest’immagine, per chissà quale
disguido, arriva a me che temo che sia troppo bella per essere vera, troppo
accetta al mio universo immaginario per appartenere al mondo reale. Ma forse è
proprio questa diffidenza verso i nostri sensi che ci impedisce di sentirci a
nostro agio nell’universo.
Italo Calvino, Palomar
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