(...) Il libro è una lettera che
non ha busta, né indirizzo. Riguarda la vita di tutti noi, di ciascuno di noi.
E' nostra, ma anche di persone che non sono più, o non sono ancora. Nulla più
di un libro ci fa consapevoli di appartenere ad una comune umanità, illuminata
e tormentata dalle medesime speranze e angosce. Il libro non sa dove va, chi
incontrerà, come sarà accolto; esso viaggia in mezzo a noi, come un
meraviglioso enigma. Non tutti i libri hanno la stessa vitalità. Molti, la
grande maggioranza, si estinguono; ma quei pochi che sopravvivono sembrano
eterni. Essi sono totalmente umani, e che siano vecchi di una sola, o di trenta
generazioni, pare non avere alcuna importanza. Leggiamo Omero, leggiamo
Leopardi. Tra mille anni, se vi saranno uomini, leggeranno Omero e Leopardi.
Dunque ci sono “grandi”
libri, e ci sono “piccoli” libri. Ma non è facile definirli, né i grandi né i
piccoli. Vi è qualcosa di misterioso attorno a un libro “grande”, e di solito
il mistero avvolge anche il suo autore. Chissà se è esistito Omero. Di Shakespeare
conosciamo data di nascita e morte e il nome della moglie. Di un “grande” libro
possiamo dire che esso viene letto da una generazione dopo l’altra; I
fratelli Karamazov di Dostoevskij ha compiuto cent’anni, e grandi libri
sono stati scritti e si scriveranno sull’autore e su quel grande libro. Un
grande libro racconta contemporaneamente molte storie e ogni lettore vi trova
qualche cosa di diverso. Dunque un grande libro è inesauribile, come
inesauribili sono gli esseri umani, misteriosi a se stessi. Vi sono libri che
restano piccoli per molto tempo, poi, improvvisamente, diventano grandi. Pinocchio
fu un libro per bambini, e solo da pochi anni ci si è accorti che è grande. I
romanzi storici del nostro Ottocento ebbero migliaia di lettori, fecero piangere
e disperare, e ora non si leggono più neppure a scuola, e di regola li leggono
solo professori pagati per farlo. Non avere accesso al libro è dunque non avere
accesso a noi stessi, alle zone più oscure, magiche, enigmatiche, a ciò che in
noi sogna, ama, teme, crede e dispera. Oggetto umile e potente, il libro entra
nella nostra vita con una forza terribile: e non è un caso che quelle parole
siano state così spesso, siano tuttora perseguitate, trattate con diffidenza,
con astio, con ira, giacché esse parlano a tutto ciò che è umano, o debbono
tacere. Ma la totalità dell’uomo, sempre proposta e sempre elusa, è una oscura
minaccia per chiunque abbia una verità in testa, e la forza di imporla.
Ci fu un tempo in cui la
parola scritta era intimidatoria; pochi leggevano, e leggevano poche cose, e ne
scrivevano anche di meno. Poi la parola scritta venne consegnata a tutti:
divenne un privilegio, e insieme un mezzo per dominare. Parole liberatrici si
mescolavano a parole che volevano persuadere all’ubbidienza. Allora qualcuno si
rammentò che il bandito analfabeta imprendibile in mezzo alle montagne, era
libero, assai più libero dell’uomo d’ordine che quotidianamente imparava una
piccola e disonesta verità da un giornale qualsiasi. Ma il tempo passa, e le
cose cambiano. Oggi, nuovamente, l’uomo orecchio, l’uomo palpebra, l’uomo che
si consegna al quotidiano ipnotismo (manifesti, televisione, discorsi di
potenti, immagini, tutto ciò che, apertamente o occultamente, è “propaganda”) è
l’analfabeta che sa leggere, colui che ignora i libri, e soprattutto quello che
i libri possono toccare dentro di lui.
In un mondo di pubblicità e di
imbonimento, di menzogne non di rado confortate da cultura e da ingegnosa
malafede, la possibilità di non essere catturati irreparabilmente, di non
essere strumenti di incomprensibili o fittizie battaglie, sta nella nostra
esperienza di noi stessi, della vastità e della drammaticità della sorte
dell’uomo. Da questo punto di vista, non vi sono libri innocui, e non v’è
cultura “che non fa male a nessuno” e rende migliori. Un grande libro è
terribile, perché la sua storia dentro di noi non si spegnerà mai; e sarà la
storia della nostra libertà. Una biblioteca è molte, strane, inquietanti cose:
è un circo, una balera, una cerimonia, un incantesimo, una magheria, un viaggio
per la terra, un viaggio al centro della terra, un viaggio per i cieli; è
silenzio ed è una moltitudine di voci; è sussurro ed è urlo; è favola, è
chiacchiera, è discorso delle cose ultime, è memoria, è riso, è profezia;
soprattutto è un infinito labirinto, e un enigma che non vogliamo sciogliere,
perché la sua misteriosa grandezza dà un oscuro senso alla nostra vita, quel
senso che la pubblicità va cercando di cancellare.
Giorgio Manganelli
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