Noi siamo un paese senza memoria. Il che equivale a dire senza storia. L’Italia rimuove il suo passato prossimo, lo perde nell'oblio dell’etere televisivo, ne tiene solo i ricordi, i frammenti che potrebbero farle comodo per le sue contorsioni, per le sue conversioni. Ma l’Italia è un paese circolare, gattopardesco, in cui tutto cambia per restare com’è. In cui tutto scorre per non passare davvero. Se l’Italia avesse cura della sua storia, della sua memoria, si accorgerebbe che i regimi non nascono dal nulla, sono il portato di veleni antichi, di metastasi invincibili, imparerebbe che questo Paese è speciale nel vivere alla grande, ma con le pezze al culo, che i suoi vizi sono ciclici, si ripetono incarnati da uomini diversi con lo stesso cinismo, la medesima indifferenza per l’etica, con l’identica allergia alla coerenza, a una tensione morale.
mercoledì 30 novembre 2016
BelPaese
Spese militari
64 milioni al giorno: lo shopping record per le spese militari
Ecco
come emerge la spesa quotidiana che il nostro Paese sosterrà per il
2017: 64
milioni di euro al giorno
(2,7 milioni di euro all’ora), un maxi-assegno da 23
miliardi e 377 milioni,
con una crescita dello 0,7 per cento rispetto al 2016. In questo
enorme calderone il personale rimane voce di spesa più onerosa per
lenta applicazione della riforma Di Paola e si traduce in più
comandanti che comandati, un’esercito di 90 mila ufficiali senza
però una truppa che esegue gli ordini, appena 81mila i ranghi più
bassi.
Il
costo degli armamenti segue lo stesso trend e salgono a
5 miliardi e 600 milioni per
l’aumento dei contributi del Ministero dello Sviluppo economico che
decide di destinare l’89 per cento degli incentivi per le imprese
proprio a chi produce tecnologia, radar e missili.
«Urgenza e dimensione del budget militare è determinato non da reali esigenze di sicurezza nazionale ma da logiche industrial-commerciali che hanno come effetto programmi sproporzionati rispetto alle necessità», spiegano gli autori del dossier Enrico Piovesana e Francesco Vignarca: «Programmi giustificati gonfiando le necessità stesse, come nel caso dei caccia F-35 o delle navi da rimpiazzare con le nuove, oppure ricorrendo alla retorica del doppio uso militare e civile: la nuova portaerei Trieste è stata presentata come nave umanitaria per il soccorso nel Mediterraneo».
«Urgenza e dimensione del budget militare è determinato non da reali esigenze di sicurezza nazionale ma da logiche industrial-commerciali che hanno come effetto programmi sproporzionati rispetto alle necessità», spiegano gli autori del dossier Enrico Piovesana e Francesco Vignarca: «Programmi giustificati gonfiando le necessità stesse, come nel caso dei caccia F-35 o delle navi da rimpiazzare con le nuove, oppure ricorrendo alla retorica del doppio uso militare e civile: la nuova portaerei Trieste è stata presentata come nave umanitaria per il soccorso nel Mediterraneo».
l'Espresso
lunedì 28 novembre 2016
Dilapidatore
Vedi,
Michele, non si è mai abbastanza morbosi, perché per quanto si viva
del passato c’è sempre qualcosa di ineludibile, nel presente, che
ci plagia e ci umilia. Distrazioni, pulsioni, scuse buone per
scrollarsi di dosso un po’ di coperte, così quell’aria chiusa in
cui consistevi riceve aria nuova, ciao consistenza, nuove scuole,
nuove case, nuove luci e noi intanto abbiamo dato il culo a chiunque,
a furia di darlo ci siamo persi… Ma basta che ci capiti in mano una
nostra fotografia di quando avevamo sette o dieci anni per
scioglierci di commozione come ulissidi che rivedan la patria, ecco
chi sono gridiamo, quello lì sono, volevo ben dire, io sono sempre
quello. Ma intanto, hai dilapidato. Se hai venti giochi e ne conservi
diciotto sei già fritto. Se un certo coltellino con il manico di
madreperla, una certa calamita smaltata di rosso incominci a metterli
lievemente da parte (statevene qui per un po’ dici affettuoso
mentre li adagi in un cassetto), ecco, sei fritto. Sei diventato un
dilapidatore.
Michele
Mari, L'uomo che uccise Liberty Valance (in Tu, sanguinosa infanzia)
domenica 27 novembre 2016
Ipotesi
Oggi
che la mia vita è cambiata così tanto, ci sono momenti in cui
ripenso agli anni della mia prima infanzia e mi ritrovo a dire: Non
era poi chissà quale tragedia. E forse non lo era. Ma ci sono anche
momenti in cui, all’improvviso, mentre percorro un marciapiede
assolato, o guardo la chioma di un albero piegata dal vento, o vedo
il cielo di novembre calare sull’East River, mi sento invadere
dalla consapevolezza di un buio talmente abissale che potrei urlare,
e allora entro nel primo negozio di vestiti e mi metto a
chiacchierare con una sconosciuta dei modelli di maglioni appena
arrivati. Deve essere il sistema che adottiamo quasi tutti per
muoverci nel mondo, sapendo e non sapendo, infestati dai ricordi che
non possono assolutamente essere veri.
Eppure,
quando vedo gli altri incedere sicuri per la strada, come se non
conoscessero per niente la paura, mi accorgo che non so cos'hanno
dentro. La vita sembra spesso fatta di ipotesi.
Elizabeth
Strout, Mi chiamo Lucy Barton
sabato 26 novembre 2016
Animal Equality
Quello
che nessuno ti vuole raccontare
No,
raccontare la realtà degli allevamenti intensivi non è mai
semplice. Vorremmo non fosse necessario, ma non farlo vorrebbe dire
abbandonare gli animali a loro stessi. E noi abbiamo promesso che non
li avremmo mai più lasciati soli.
Per questo, ogni giorno gli investigatori di Animal Equality fanno quello che avrebbero preferito evitare: entrano in quel mondo fatto di sofferenza e crudeltà e documentano attraverso le telecamere (ed i propri occhi) quello a cui preferirebbero non assistere.
Per questo, ogni giorno gli investigatori di Animal Equality fanno quello che avrebbero preferito evitare: entrano in quel mondo fatto di sofferenza e crudeltà e documentano attraverso le telecamere (ed i propri occhi) quello a cui preferirebbero non assistere.
Non
è una cosa semplice, sia dal punto di vista pratico che,
soprattutto, dal punto di vista emotivo.
Ma
qualcuno lo deve fare: mostrare la sofferenza costante di queste
creature è il modo più diretto che abbiamo per smascherare
l'industria della carne. Parallelamente,
è anche il più potente mezzo per scatenare domande e riflessioni ed
iniziare a far germogliare empatia verso gli animali. Ecco perchè
importante mostrare quello che nessuno vuole far vedere: perchè
tutta questa violenza cessi il prima possibile. Quello che hai visto
è la routine all'interno degli allevamenti. Benchè
i nostri investigatori abbiano documentato violenze di ogni tipo,
abbiamo volutamente scelto le immagini meno cruente.
ANIMAL
EQUALITY
sabato 12 novembre 2016
Qui e ora
Non
ha senso rimpiangere ora vie non percorse. Tormentarsi immaginando
che la vita avrebbe potuto essere più ricca. Avevo questa idea:
vivere la pace e la serenità emancipandomi dal volere sempre di più,
dal bramare ogni cosa. Era un ideale di frugalità, di opposizione
all’avidità dominante. Desideravo un mondo meno lacerato da
conflitti, ove si imparasse a sentirsi felici di quanto si ha,
assaporarlo, apprezzarlo. Questa continua a sembrarmi un’aspirazione
degna. Se vacilla, è perché di fronte alla paura, alla palpabilità
di un imminente non esserci più, l'anima è aggredita da fantasmi,
tentazioni, dubbi. La dissoluzione coinvolge, oltre al corpo, il
pensiero e la fede e la forza d'animo. (...)
Suppongo capiti, nel rendersi conto di tutto quello che non si potrà sperimentare mai più, di chiedersi se non c’era qualcosa di sbagliato. Mentre me lo chiedo tuttavia vedo anche svaporare la forza attrattiva di quel che non è stato? Non c'è risposta, non c'è risposta. Solo questa, forse: dimorare per quanto possibile tranquilla nella contemplazione di quanto perturba la mente, attenuare per quanto possibile l'identificazione con simili pensieri tormentosi, proseguire lungo la via già intrapresa. Accettare il qui e ora, e questo significa: non sprecare energie nell’anelito vano di mutare ciò che è stato, sperarlo diverso. Abbracciando per quanto possibile con tenerezza quest’anima tremebonda che teme di aver sbagliato tutto.
Pia Pera, Al giardino ancora non l'ho detto
venerdì 11 novembre 2016
giovedì 10 novembre 2016
R.I.P.
Considero
il vegetarianesimo una conquista culturale e un segno di civiltà.
Chi è vegetariano si sente cittadino
della Terra, perché non
deve uccidere e massacrare i suoi abitanti per rispondere al suo
primordiale bisogno di cibo. L’orgoglio vegetariano è analogo a
quello che provavano i greci che appartenevano alle prime scuole
filosofiche e infatti i vegetariani convinti, a partire da Leonardo
da Vinci fino ai Beatles, hanno fatto della loro scelta una bandiera,
che indica una certa visione del mondo: con meno violenza, meno
morte, più coscienza
e più senso di responsabilità individuale.
Einstein
fu probabilmente il primo a definire il vegetarianesimo anche come
una necessità per la sopravvivenza dell’ umanità, collegando le
scelte alimentari personali all’equilibrio delle risorse del
pianeta.
Oggi
la nostra sopravvivenza è minacciata in modo molto più evidente
rispetto ai tempi del grande fisico. Siamo sette miliardi sulla Terra
e si prevede che saremo 9 miliardi nel 2050. Agli esseri umani,
bisogna poi aggiungere 4 miliardi di capi di bestiame, che servono a
nutrire una minoranza della popolazione già sovralimentata,
togliendo cibo a chi ancora muore di fame.
Se
già oggi abbiamo difficoltà a soddisfare
11 miliardi di bocche
da sfamare e dissetare, dobbiamo domandarci qual
è il limite
oltre il quale si scatenerà la catastrofica lotta per acqua e cibo.
Certo possiamo avere fiducia nella scienza
e nella sua capacità
di aumentare la quantità e la qualità di risorse idriche
e
alimentari, ma comunque si arriverà
a un limite e il mondo civile
dovrebbe impegnarsi a pensarci ora per assicurare un futuro alle
prossime generazioni. E poi che faremo? Possiamo limitare le nascite,
come già sta accadendo nei Paesi occidentali per altri motivi. Ma un
mondo senza bambini non è forse un incubo peggiore? Esiste una
soluzione più accettabile e ad effetto immediato: evitare il consumo
di carne, la soluzione di Einstein.
La
carne non è un alimento sostenibile: per ottenere un chilo di carne
occorrono 15 o 20 mila litri di acqua, mentre ne occorrono 1000 per
ottenere un chilo di cereali. Senza contare che
i capi di bestiame
sono 4 miliardi
di macchine che producono anidride carbonica e
consumano ossigeno , oltre a sottrarre alla Terra campi coltivabili
o intere foreste, sorgenti di aria pura.
Mucche.
Pesci, polli, maiali. Prodotti in batteria
e trasportati per
miglia. Fino alle nostre tavole. Ecco le conseguenze del cibo
prodotto in maniera intensiva.
Sulla nostra salute. E quella del
pianeta
Quindi
il vegetarianesimo è una scelta
di rispetto per l’ambiente e di
responsabilità nei confronti del futuro dell’uomo. Ma è
soprattutto una scelta
di amore per la vita e per gli animali.
Mi
rendo conto che è difficile pensare
al dolore terribile degli
animali quando
si mangia carne: come immaginare che quella fettina
sottile e ben cucinata che
ci presentano nel piatto era pochi
giorni prima un vitellino che scorrazzava nei prati accanto alla
mamma? Ancor meno facile è visualizzare le torture che ha subito nel
macello. Per
questo consiglio
a tutti il libro che è ormai il cult del
vegetarianesimo : “Se niente importa. Perché mangiamo gli
animali?”
di Jonathan Safran Foer, in cui l’autore americano
racconta perchè da carnivoro
è diventata vegetariano. Il tema
centrale è la violenza perpetrata quotidianamente agli animali di
allevamento e la riflessione delle conseguenze che questo dolore
tremendo ha sulla vita dell’uomo.
Già
Tolstoj scriveva: «Se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo
tutti vegetariani».
Noi
vegetariani abbiamo già preso coscienza di questa realtà. E ne
siamo felici e orgogliosi.
Umberto
Veronesi
DFW / 4
Ormai
è una parola abusata e banale, “disperato”, ma è una parola
seria, e la sto usando seriamente. Per me indica una semplice
combinazione – uno strano desiderio di morte, mescolato a un
disarmante senso di piccolezza e futilità che si presenta come paura
della morte. Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore e
angoscia. Ma non è neanche questo. È più come avere il desiderio
di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere
coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati
senza alcun dubbio alla morte.
David
Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più
mercoledì 9 novembre 2016
domenica 6 novembre 2016
sabato 5 novembre 2016
God
In
me l'ateismo non é nè una conseguenza, nè tanto meno un fatto
nuovo: esso esiste in me per istinto. Sono troppo curioso, troppo
incredulo, troppo insolente per accontentarmi di una risposta così
grossolana. Dio é una risposta grossolana, un'indelicatezza contro
noi pensatori: anzi, addirittura, non é altro che un grossolano
divieto contro di noi: non dovete pensare [...]
Il
concetto di Dio fu trovato come antitesi a quello di vita, in esso fu
riunito in una terribile unità tutto ciò che vi era di dannoso, di
velenoso, di calunnioso, tutto l'odio mortale contro la vita. Il
concetto dell'al di là, del vero mondo, fu creato per disprezzare
l'unico mondo che ci sia, per non conservare più alla nostra realtà
terrena alcuno scopo, alcuna ragione, alcun compito. I concetti di
anima, di spirito, e, infine, anche quello di anima immortale, furono
inventati per insegnare a disprezzare il corpo, a renderlo malato
-cioè santo- per opporre a tutte le cose che meritano di essere
trattate con serietà nella vita.
Nietzsche, Ecce homo
giovedì 3 novembre 2016
L'uomo è la bestia
Le
mucche negli allevamenti intensivi vengono trattate
come merci.
Le mucche da latte vengono separate dai loro vitellini poco tempo
dopo il parto. Vengono maltrattate, non hanno lo spazio sufficiente
per vivere e difficilmente ricevono il rispetto che meritano.
Purtroppo
questo tipo di trattamento può riguardare non soltanto i
grandi allevamenti dell’industria lattiero-casearia
ma anche realtà di dimensioni più piccole. Purtroppo quella di
trattare gli animali solo come merci è una tendenza che può
riguardare qualsiasi tipo di allevamento.
Safe,
un’organizzazione che difende i diritti degli animali in
Nuova Zelanda,
ha girato questo video nella reione di Waikato. La mucca è insieme
al suo vitellino ormai morto che giace a pochi metri da lei.
La
mucca non può muoversi, è costretta a rimanere ferma con un metodo
doloroso e straziante che è considerato illegale
e che solo in caso di necessità può essere utilizzato per non più
di 10 minuti per sollevare e spostare gli animali. Appena possibile
deve essere allentato e rimosso.
Le
mucche sono animali molto
intelligenti ed emotivi, in grado di percepire il
dolore proprio come qualsiasi altro animale o essere umano.
mercoledì 2 novembre 2016
Per ascoltare bisogna aver fame
Dunque,
per ascoltare
avvicina all’orecchio
la conchiglia della mano
che ti trasmetta le linee sonore
del passato, le morbide voci
e quelle ghiacciate,
e la colonna audace del futuro,
fino alla sabbia lenta
del presente, allora prediligi
il silenzio che segue la nota
e la rende sconosciuta
e lesta nello sfuggire
ogni via domestica del senso.
avvicina all’orecchio
la conchiglia della mano
che ti trasmetta le linee sonore
del passato, le morbide voci
e quelle ghiacciate,
e la colonna audace del futuro,
fino alla sabbia lenta
del presente, allora prediligi
il silenzio che segue la nota
e la rende sconosciuta
e lesta nello sfuggire
ogni via domestica del senso.
Accosta
all’orecchio il vuoto
fecondo della mano,
vuoto con vuoto.
Ripiega i pensieri
fino a riceverle in pieno
petto risonante
le parole in boccio.
fecondo della mano,
vuoto con vuoto.
Ripiega i pensieri
fino a riceverle in pieno
petto risonante
le parole in boccio.
Per
ascoltare bisogna aver fame
e anche sete,
sete che sia tutt’uno col deserto,
fame che è pezzetto di pane in tasca
e briciole per chiamare i voli,
perché è in volo che arriva il senso
e non rifacendo il cammino a ritroso,
visto che il sentiero,
anche quando è il medesimo,
non è mai lo stesso
dell’andata.
e anche sete,
sete che sia tutt’uno col deserto,
fame che è pezzetto di pane in tasca
e briciole per chiamare i voli,
perché è in volo che arriva il senso
e non rifacendo il cammino a ritroso,
visto che il sentiero,
anche quando è il medesimo,
non è mai lo stesso
dell’andata.
Dunque,
abbraccia le parole
come fanno le rondini col cielo,
tuffandosi, aperte all’infinito,
abisso del senso.
come fanno le rondini col cielo,
tuffandosi, aperte all’infinito,
abisso del senso.
Chandra
Livia Candiani, Mappa per
l’ascolto
martedì 1 novembre 2016
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