giovedì 10 novembre 2016

R.I.P.




Considero il vegetarianesimo una conquista culturale e un segno di civiltà. Chi è vegetariano si sente cittadino 
della Terra, perché non deve uccidere e massacrare i suoi abitanti per rispondere al suo primordiale bisogno di cibo. L’orgoglio vegetariano è analogo a quello che provavano i greci che appartenevano alle prime scuole filosofiche e infatti i vegetariani convinti, a partire da Leonardo da Vinci fino ai Beatles, hanno fatto della loro scelta una bandiera, che indica una certa visione del mondo: con meno violenza, meno morte, più coscienza 
e più senso di responsabilità individuale.
Einstein fu probabilmente il primo a definire il vegetarianesimo anche come una necessità per la sopravvivenza dell’ umanità, collegando le scelte alimentari personali all’equilibrio delle risorse del pianeta.
Oggi la nostra sopravvivenza è minacciata in modo molto più evidente rispetto ai tempi del grande fisico. Siamo sette miliardi sulla Terra e si prevede che saremo 9 miliardi nel 2050. Agli esseri umani, bisogna poi aggiungere 4 miliardi di capi di bestiame, che servono a nutrire una minoranza della popolazione già sovralimentata, togliendo cibo a chi ancora muore di fame.
Se già oggi abbiamo difficoltà a soddisfare 
11 miliardi di bocche da sfamare e dissetare, dobbiamo domandarci qual 
è il limite oltre il quale si scatenerà la catastrofica lotta per acqua e cibo. Certo possiamo avere fiducia nella scienza 
e nella sua capacità di aumentare la quantità e la qualità di risorse idriche 
e alimentari, ma comunque si arriverà 
a un limite e il mondo civile dovrebbe impegnarsi a pensarci ora per assicurare un futuro alle prossime generazioni. E poi che faremo? Possiamo limitare le nascite, come già sta accadendo nei Paesi occidentali per altri motivi. Ma un mondo senza bambini non è forse un incubo peggiore? Esiste una soluzione più accettabile e ad effetto immediato: evitare il consumo di carne, la soluzione di Einstein.
La carne non è un alimento sostenibile: per ottenere un chilo di carne occorrono 15 o 20 mila litri di acqua, mentre ne occorrono 1000 per ottenere un chilo di cereali. Senza contare che 
i capi di bestiame sono 4 miliardi 
di macchine che producono anidride carbonica e consumano ossigeno , oltre a sottrarre alla Terra campi coltivabili 
o intere foreste, sorgenti di aria pura.
Mucche. Pesci, polli, maiali. Prodotti in batteria 
e trasportati per miglia. Fino alle nostre tavole. Ecco le conseguenze del cibo prodotto in maniera intensiva. 
Sulla nostra salute. E quella del pianeta
Quindi il vegetarianesimo è una scelta 
di rispetto per l’ambiente e di responsabilità nei confronti del futuro dell’uomo. Ma è soprattutto una scelta 
di amore per la vita e per gli animali. 
Mi rendo conto che è difficile pensare 
al dolore terribile degli animali quando 
si mangia carne: come immaginare che quella fettina sottile e ben cucinata che 
ci presentano nel piatto era pochi giorni prima un vitellino che scorrazzava nei prati accanto alla mamma? Ancor meno facile è visualizzare le torture che ha subito nel macello. Per questo consiglio 
a tutti il libro che è ormai il cult del vegetarianesimo : “Se niente importa. Perché mangiamo gli animali?” 
di Jonathan Safran Foer, in cui l’autore americano racconta perchè da carnivoro 
è diventata vegetariano. Il tema centrale è la violenza perpetrata quotidianamente agli animali di allevamento e la riflessione delle conseguenze che questo dolore tremendo ha sulla vita dell’uomo.
Già Tolstoj scriveva: «Se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo tutti vegetariani».
Noi vegetariani abbiamo già preso coscienza di questa realtà. E ne siamo felici e orgogliosi.

Umberto Veronesi
  





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