Considero
il vegetarianesimo una conquista culturale e un segno di civiltà.
Chi è vegetariano si sente cittadino
della Terra, perché non
deve uccidere e massacrare i suoi abitanti per rispondere al suo
primordiale bisogno di cibo. L’orgoglio vegetariano è analogo a
quello che provavano i greci che appartenevano alle prime scuole
filosofiche e infatti i vegetariani convinti, a partire da Leonardo
da Vinci fino ai Beatles, hanno fatto della loro scelta una bandiera,
che indica una certa visione del mondo: con meno violenza, meno
morte, più coscienza
e più senso di responsabilità individuale.
Einstein
fu probabilmente il primo a definire il vegetarianesimo anche come
una necessità per la sopravvivenza dell’ umanità, collegando le
scelte alimentari personali all’equilibrio delle risorse del
pianeta.
Oggi
la nostra sopravvivenza è minacciata in modo molto più evidente
rispetto ai tempi del grande fisico. Siamo sette miliardi sulla Terra
e si prevede che saremo 9 miliardi nel 2050. Agli esseri umani,
bisogna poi aggiungere 4 miliardi di capi di bestiame, che servono a
nutrire una minoranza della popolazione già sovralimentata,
togliendo cibo a chi ancora muore di fame.
Se
già oggi abbiamo difficoltà a soddisfare
11 miliardi di bocche
da sfamare e dissetare, dobbiamo domandarci qual
è il limite
oltre il quale si scatenerà la catastrofica lotta per acqua e cibo.
Certo possiamo avere fiducia nella scienza
e nella sua capacità
di aumentare la quantità e la qualità di risorse idriche
e
alimentari, ma comunque si arriverà
a un limite e il mondo civile
dovrebbe impegnarsi a pensarci ora per assicurare un futuro alle
prossime generazioni. E poi che faremo? Possiamo limitare le nascite,
come già sta accadendo nei Paesi occidentali per altri motivi. Ma un
mondo senza bambini non è forse un incubo peggiore? Esiste una
soluzione più accettabile e ad effetto immediato: evitare il consumo
di carne, la soluzione di Einstein.
La
carne non è un alimento sostenibile: per ottenere un chilo di carne
occorrono 15 o 20 mila litri di acqua, mentre ne occorrono 1000 per
ottenere un chilo di cereali. Senza contare che
i capi di bestiame
sono 4 miliardi
di macchine che producono anidride carbonica e
consumano ossigeno , oltre a sottrarre alla Terra campi coltivabili
o intere foreste, sorgenti di aria pura.
Mucche.
Pesci, polli, maiali. Prodotti in batteria
e trasportati per
miglia. Fino alle nostre tavole. Ecco le conseguenze del cibo
prodotto in maniera intensiva.
Sulla nostra salute. E quella del
pianeta
Quindi
il vegetarianesimo è una scelta
di rispetto per l’ambiente e di
responsabilità nei confronti del futuro dell’uomo. Ma è
soprattutto una scelta
di amore per la vita e per gli animali.
Mi
rendo conto che è difficile pensare
al dolore terribile degli
animali quando
si mangia carne: come immaginare che quella fettina
sottile e ben cucinata che
ci presentano nel piatto era pochi
giorni prima un vitellino che scorrazzava nei prati accanto alla
mamma? Ancor meno facile è visualizzare le torture che ha subito nel
macello. Per
questo consiglio
a tutti il libro che è ormai il cult del
vegetarianesimo : “Se niente importa. Perché mangiamo gli
animali?”
di Jonathan Safran Foer, in cui l’autore americano
racconta perchè da carnivoro
è diventata vegetariano. Il tema
centrale è la violenza perpetrata quotidianamente agli animali di
allevamento e la riflessione delle conseguenze che questo dolore
tremendo ha sulla vita dell’uomo.
Già
Tolstoj scriveva: «Se i macelli avessero le pareti di vetro saremmo
tutti vegetariani».
Noi
vegetariani abbiamo già preso coscienza di questa realtà. E ne
siamo felici e orgogliosi.
Umberto
Veronesi
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