Mise
il corpo in posizione verticale.
Alzando
lo sguardo alle gelide stelle del cielo svuotò i polmoni dell'aria.
Quindi con un colpo rapido e vigoroso dei piedi e delle mani sollevò
le spalle e la parte superiore del busto per guadagnare forza nella
spinta verso il basso.
Si
lasciò quindi andare sott'acqua, una bianca statua che precipita nel
mare.
Una volta immerso respirò deliberatamente con forza come si fa quando si deve andare in anestesia. La sensazione di soffocamento lo costrinse però a muovere involontariamente braccia e gambe su fino alla superficie, alla chiara presenza delle stelle.
Una volta immerso respirò deliberatamente con forza come si fa quando si deve andare in anestesia. La sensazione di soffocamento lo costrinse però a muovere involontariamente braccia e gambe su fino alla superficie, alla chiara presenza delle stelle.
"Volontà
di vivere", pensò di nuovo con sdegno, cercando invano di non
immettere aria nei polmoni che gli scoppiavano. Bene, avrebbe dovuto
fare in un altro modo. Decise di immagazzinare nel petto quanta più
aria poteva e di scendere in profondità. Si immerse a testa in giù
e prese a inabissarsi sempre di più nuotando con grande forza.
Tenendo gli occhi aperti notò le forme spettrali e fosforescenti dei
velocissimi squali. Si augurò che non lo assalissero perchè ciò
poteva fiaccare la sua determinazione. Non lo fecero e trovò il
tempo di ringraziare la vita per quest'ultima cortesia che gli aveva
concesso.
Andò
giù, sempre più giù finchè la stanchezza delle braccia e delle
gambe fu tale che non riusciva quasi a muoversi. Capì di essere
sceso molto perchè sentiva una pressione dolorosa alle orecchie e un
ronzio alla testa. Stava per cedere, ma costrinse gli arti a portarlo
ancora più sotto fino a quando la capacità di resistenza venne meno
e l'aria gli uscì dai polmoni con la violenza di un'esplosione,
avvolgendogli le guance in mille bollicine che salivano rapidamente.
Quando cominciò il dolore e il soffocamento pensò che non era
ancora la morte. La morte non faceva male. Era la vita con i suoi
spasimi, con le sue terribili sensazioni; e quello era l'ultimo colpo
che gli dava.
Ostinatamente
mani e piedi cominciarono a vorticare frenetici, ma con un movimento
sempre più debole: era riuscito astutamente a sconfiggere la loro
volontà di vivere. Era sceso troppo e non sarebbero più stati
capaci di riportarlo in superficie. Gli parve di essere languidamente
alla deriva in un mare di visioni fantastiche, che lo circondavano
cullandolo e accarezzandolo. Dov'era?
Gli
sembrò di trovarsi in un faro; era invece il suo cervello che
emanava una luce bianca, accecante, che roteava sempre più veloce.
Seguì un suono cupo e rombante che lo precipitò giù per una
smisurata tromba di scale, al fondo della quale, a un certo punto,
cadde nella tenebra. Questo solo capì. Di essere caduto nella
tenebra. E nell'istante in cui seppe, cessò di sapere.
Jack
London, Martin Eden
Nessun commento:
Posta un commento