E questi pomeriggi immensi, che hanno continuato per dei giorni di seguito senza requie a cascarmi sulla schiena e nella testa, hanno fiaccato tutto quel che c’era di fiaccabile. Silenzio completo nel mondo. Tutto è diventato una lunga stasi in movimento, una stasi da subire, un sistema di traslazione necessitata di un corpo morto a mondo morto e a vita morta. In mezzo a detti pomeriggi, troppo immensi e di fatto sterminati, già verso l’una o l’una e mezzo, che mi fossi alzato presto o tardi nulla cambia, mi coglieva la paura del nuovo pomeriggio da subire. Anche se, in generale, va detto che l’idea che uno debba subire dei pomeriggi è veramente incredibile. Non si sa neanche bene che cosa voglia dire subire un pomeriggio. Però in tutto il mondo non c’è una persona, neanche una, che prima o poi non abbia subito almeno una domenica pomeriggio e tutta la sua bieca infernalità che verso le dieci di sera si attenua lasciandoti respirare.
Ugo Cornia, Quasi amore
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