L’apocalisse è culturale, non ontologica. È politica perché è l’effetto dell’organizzazione di un mondo, della vita e della produzione che ha sconvolto il pianeta, l’aria e la terra, la vegetazione e l’atmosfera. L’apocalisse capitalista dice: oltre questo mondo non può esistere un altro. Dunque: rassegnatevi all’agonia di ciò che è destinato a finire comunque. Lo scenario è quello visto in un film come Elysium (2013) con Matt Damon e Jodie Foster: i ricchi vivranno su una stazione orbitante, mentre i poveri sulla Terra tossica e inabitabile. Il film è la storia di una rivoluzione riuscita, ma questa resta, come già detto in precedenza, un apologo. Non riuscire oggi a distinguere la fine di un mondo dalla fine del mondo in quanto tale significa perdere il senso di una differenza fondamentale e vivere in un mondo rovesciato dove è considerato più facile lanciarsi nei trasbordi intergalattici dei miliardari della Silicon Valley per sfuggire all’estinzione invece di cimentarsi con il superamento del capitalismo che distrugge il pianeta e avvelena la vita.
Roberto Ciccarelli, Generare mondi, liberare la vita, Il Manifesto
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