Sono
anni che ormai viaggio da solo. Conosco l’infinita pena del
viaggiatore solitario che in un qualunque scompartimento di un treno
deve chiamare il controllore per andare alla toilette e non lasciare
i bagagli incustoditi; conosco la seccatura un po’ umiliante del
dover pranzare da solo in un ristorante sotto gli occhi irritati di
squallide coppiette che, in fila, ti guardano come se fosse un loro
dovere avere il tuo tavolo, di cui sei soltanto uno sfigato
usurpatore; conosco la fatica fisica, gli imbarazzi, i dubbi di chi
viaggia solo con se stesso. Conosco la stupidità delle “camere
singole” in cui i letti sono piccolissimi, i lavabi minimi e i
soffitti bassi, come se ogni viaggiatore solitario fosse un nano e
non una persona come le altre, con braccia, gambe e bisogno di
spazio. Conosco la scortesia e il tono pietoso degli altri compagni
di viaggio che ti si rivolgono con quel garbo ipocrita che si riserva
a un vedovo, a una persona che ha perso la propria metà. Ma io
conosco anche l’immensa completezza di questa mia solitudine, le
orecchie attente, gli occhi sempre presenti, la concentrazione, le
illuminazioni interiori quando non hai nessuno all’infuori di te da
mettere al corrente di una scoperta, e allora, seduto su una pietra
di una qualsiasi isola greca, chiedendoti perché quel sole debba
essere così forte e quel mare così azzurro e la terra così nera,
ti guardi dentro, e dentro puoi rivedere i soli, le mareggiate, le
burrasche e gli approdi della tua vita. Fin quando avrò fiato in
gola e forza nelle gambe, e le mie braccia riusciranno a trascinare
un sacco, difenderò questo mio diritto di essere solo – uno come
tanti – nella mia completezza. Nei viaggi solitari esiste una
pienezza diversa di sé. La possibilità di vivere in territori
neutri, in mezzo a persone che abitualmente parlano una lingua
diversa, il fatto di adattarsi a un’architettura e a un paesaggio
stranieri, producono uno spiazzamento delle nostre certezze e, se si
è veramente onesti e sinceri, permettono di scoprire chi si è. In
sostanza, tutti i viaggi che si fanno sono solo la figura di
quell’altro viaggio all’interno di noi stessi che inizia nel
momento in cui nasciamo e finisce quando dio vorrà. Non c’è
viaggio più avvincente di quello che ognuno può fare alla scoperta
di sé. E ci sono, naturalmente, molti modi per fare questo viaggio.
Amare una persona, per esempio. Vivere insieme a lei. Essere
abbandonati da quella stessa persona. Oppure ritirarsi in un deserto
e abbracciare l’esperienza mistica. Per quelli come me, troppo
amanti del mondo per abbandonarlo, troppo scorticati dall’amore per
cercarne un altro, c’è una sola strada: la scoperta della
solitudine.
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