Nella
città in cui vivo, anzi in tutte le città in cui potrei vivere, sta
arrivando il Natale. Alcuni dicono, il Santo Natale. Sebbene la mia
vita sia distratta e disorientata, da molti segni, come gli animali,
mi accorgo dell’imminenza del Natale. L’irrequietezza agita i miei
simili; una sorta di inedita tristezza che si accompagna ad una
smania, una torbida cupezza, una litigiosità capziosa, non di rado
violenta, ma soprattutto aspramente angosciosa. Quando il Natale si
approssima, l’infelicità si scatena su tutta la terra, invade gli
interstizi, ci si sveglia il mattino con quel sentimento, discontinuo
durante tutto l’anno, che vivere a questo modo pare intollerabile,
forse disonesto, una bestemmia. Strano che abbia scelto questa
parola, sostanzialmente pia, per descrivere l’infelicità
natalizia. E infatti questo avverto, che a differenza della
desolazione che direi privata, attraverso la quale passiamo in vari
momenti dell’anno, questa è una tetraggine che ha
dell’astronomico, come a dire che gli astri sono coinvolti, e forse
la tristezza che suppongo mia in realtà è un affetto che tocca gli
estremi dell’universo, e oltre, se si dà un oltre.
[…]
Vien fatto di chiedersi se non basterebbe por fine al Natale per sfuggire a questo elaborato, ingegnoso, maestoso malessere. Ma si sa che al Natale non si dà fuga; in nessun modo.
Vien fatto di chiedersi se non basterebbe por fine al Natale per sfuggire a questo elaborato, ingegnoso, maestoso malessere. Ma si sa che al Natale non si dà fuga; in nessun modo.
Giorgio
Manganelli, Il presepio
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