Dunque
si può. Dire mi dispiace
dire
perdonate e ottenere il perdono,
subito.
Essere del tutto ripuliti.
Nuovi.
Si può. Allora perdonate.
Se
ho sempre favorito me
la
mia persona. Se ho pensato
d’essere
migliore d’ogni altro animale.
d’ogni
altro organismo vegetale.
Se
ho messo me. Se ho messo me
per
prima. Il capriccio di me, l’estetica di me.
Il
sollievo di me.
Perdonate
se non ho guardato
con
la dovuta attenzione tutte le meraviglie
quotidiane.
I passaggi di luce. Le stagioni.
Certe
facce. O musi. Se non ho adorato
la
varietà mutevole del mondo,
se
non l’ho servita, protetta da me stessa,
non
abbastanza cantata, fatta entrare,
appoggiata
sul fondo mio a farmi
più
intonata e vigile. Perdonate
se
ho riso troppo poco. Se poco ho ringraziato
per
le camminate nel bosco, per quell’ebbrezza
di
gambe nell’andare, accordo delle mani
in
ogni semplice fare. Se non ho ringraziato
per
il dolce dormire e tenerci abbracciati
sulla
sponda del buio spaventoso.
Se
mai ho ringraziato perché c’erano gli altri
e
anzi ne ho patito la presenza e spesso
ho
preferito la voce scritta dei morti.
Perdonate
ogni omissione mia, la cecità
che
mi ha fatto sentire di
essere buona, l’ipocrisia
con
cui mi sono assolta, la misura
del
mio volere bene. E se il cane
che
festeggia al mattino la mia entrata in cucina
se
è per mia consolazione inviato
affinché
sia alleggerita, come del resto il sole,
le
arance sul tavolino, il cioccolato, il vino.
Se
tutto questo è disposto e animato
perché
io sia migliore, più lieta-
perdonate
le mattine scure
e
l’umore nero– la testa chiusa murata
nelle
sue tortuose galere, la prigionia
interiore
in cui mi relego, muta e scontrosa
dimentica
dei doni.
Se
non sono del tutto e sempre
innamorata
del mondo, della vita,
sedotta
e vinta dalla rivelazione
d’esserci
d’ogni cosa, e d’altro
non
troppo ben nascosto – dietro l’evidenza.
Questo
più d’ogni altra cosa perdonate.
La
mia disattenzione.
Mariangela
Gualtieri
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