venerdì 30 gennaio 2015
Progresso
Non sentirti mai un reietto. Un reietto, fratello mio, è qualcosa
che non esiste, perché a questo mondo forse non esiste nulla, ma proprio nulla
degno di essere desiderato. E tuttavia tu devi avere dei desideri, dei desideri
anche appassionati. Ma per evitarti di arrivare al punto di struggerti, mettiti
bene in testa questo: di altamente desiderabile non c’è nulla, proprio nulla.
Tutto è marcio. Sì, senza dubbio c’è al mondo un cosiddetto progresso, ma non è
che una delle molte bugie messe in giro dagli affaristi per poter spremere
tanto più sfacciatamente e cinicamente denaro dalla massa. Oggi la massa è
diventata lo schiavo, e l’individuo è lo schiavo del grandioso pensiero di
massa. Non c’è più niente di bello né di egregio. Il bello, il buono e il
giusto devono essere il tuo sogno. Dimmi: sai sognare?
Tutto quanto è guasto, è dimezzato, ha perso grazia e
splendore. Le nostre città scompaiono a precipizio dalla crosta terrestre.
Grandi massicci occupano il posto già occupato dalle case d’abitazione e dai
palazzi principeschi. Il pianoforte, fratello caro, e lo strimpellio che fa
tutt’uno con esso! I concerti e il teatro scendono di gradino in gradino verso
un punto sempre più fondo. Sì, c’è sempre qualcosa come una società che dà il
tono, ma i toni della gravità e della finezza, quelli non sa più farli vibrare.
Ci sono dei libri… in una parola, non perderti mai d’animo. Resta povero e
disprezzato, amico mio.
Robert
Walser, Jakob von Gunten
lunedì 26 gennaio 2015
Con-vivere
Si può
morire, restando vivi. Si muore in molti modi, in certi dolori senza nome,
nella morte del prossimo, e soprattutto nella morte di chi si ama e nella solitudine
prodotta dalla totale assenza di possibilità di comunicare, quando non possiamo
raccontare a nessuno la nostra storia. Questo è morire, è morte attraverso il
giudizio di quelli che dovrebbero ascoltare ed entrare senza perché all'interno
della nostra vita.
Vivere è convivere, e
si muore quando la convivenza si fa impossibile perché chi convive interpone e
arrocca il suo giudizio sulla persona viva, sopra tutto ciò che nasce solamente
quando lo si condivide.
domenica 25 gennaio 2015
Pale blue dot
Da questo lontano punto di osservazione, la Terra può non sembrare di
particolare interesse. Ma per noi, è diverso. Guardate ancora quel puntino. È
qui. È casa. È noi. Su di esso, tutti coloro che amate, tutti coloro che
conoscete, tutti coloro di cui avete mai sentito parlare, ogni essere umano che
sia mai esistito, hanno vissuto la propria vita. L’insieme delle nostre gioie e
dolori, migliaia di religioni, ideologie e dottrine economiche, così sicure di
sé, ogni cacciatore e raccoglitore, ogni eroe e codardo, ogni creatore e
distruttore di civiltà, ogni re e plebeo, ogni giovane coppia innamorata, ogni
madre e padre, figlio speranzoso, inventore ed esploratore, ogni predicatore di
moralità, ogni politico corrotto, ogni “superstar”, ogni “comandante supremo”,
ogni santo e peccatore nella storia della nostra specie è vissuto lì, su un
minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole. La Terra è un piccolissimo
palco in una vasta arena cosmica.
Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori
affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento
padroni di una frazione di un puntino. Pensate alle crudeltà senza fine
inflitte dagli abitanti di un angolo di questo pixel agli abitanti scarsamente
distinguibili di qualche altro angolo, quanto frequenti le incomprensioni,
quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente il loro odio. Le nostre
ostentazioni, la nostra immaginaria autostima, l’illusione che noi si abbia una
qualche posizione privilegiata nell’Universo, sono messe in discussione da
questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel
grande, avvolgente buio cosmico. Nella nostra oscurità, in tutta questa
vastità, non c’è alcuna indicazione che possa giungere aiuto da qualche altra
parte per salvarci da noi stessi.
La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora.
Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.
La Terra è l’unico mondo conosciuto che possa ospitare la vita. Non c’è altro posto, per lo meno nel futuro prossimo, dove la nostra specie possa migrare. Visitare, sì. Colonizzare, non ancora.
Che ci piaccia o meno, per il momento la Terra è dove ci giochiamo le nostre carte. È stato detto che l’astronomia è un’esperienza di umiltà e che forma il carattere. Non c’è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo. Per me, sottolinea la nostra responsabilità di occuparci più gentilmente l’uno dell’altro, e di preservare e proteggere il pallido punto blu, l’unica casa che abbiamo mai conosciuto.
Carl Sagan, 1934-1996
Pale
Blue Dot (pallido puntino azzurro) è una
fotografia del pianeta Terra scattata nel 1990 dalla sonda Voyager 1, quando si trovava a sei
miliardi di chilometri di distanza, ai limiti esterni del sistema solare. La Terra e’ quel puntino blu che si vede nella banda
marrone in alto.
sabato 17 gennaio 2015
Verso il sud delle cose
Ieri ho passeggiato per le strade
come una qualsiasi persona.
Ho guardato le vetrine spensieratamente e non ho incontrato amici con i quali parlare. D’improvviso mi sono sentito triste, mortalmente triste, cosi’ triste che mi e’ parso di non poter vivere un altro giorno ancora, e non perche’ potessi morire o uccidermi, ma solo perche’ sarebbe stato impossibile vivere il giorno dopo e questo e’ tutto.
Ho guardato le vetrine spensieratamente e non ho incontrato amici con i quali parlare. D’improvviso mi sono sentito triste, mortalmente triste, cosi’ triste che mi e’ parso di non poter vivere un altro giorno ancora, e non perche’ potessi morire o uccidermi, ma solo perche’ sarebbe stato impossibile vivere il giorno dopo e questo e’ tutto.
Fumo, sogno, adagiato sulla
poltrona. Mi
duole vivere in una situazione di disagio.
Debbono esserci isole verso il sud delle cose dove soffrire e’ qualcosa di piu’ dolce,
dove vivere costa meno al pensiero, e dove e’ possibile chiudere gli occhi e addormentarsi al sole e svegliarsi senza dover pensare a responsabilita’ sociali ne’ al giorno del mese o della settimana che e’ oggi.
Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere a un cuore eccessivamente spontaneo che sente tutto cio’ che sogno come se fosse reale,
che accompagna col piede la melodia delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
Debbono esserci isole verso il sud delle cose dove soffrire e’ qualcosa di piu’ dolce,
dove vivere costa meno al pensiero, e dove e’ possibile chiudere gli occhi e addormentarsi al sole e svegliarsi senza dover pensare a responsabilita’ sociali ne’ al giorno del mese o della settimana che e’ oggi.
Do asilo dentro di me come a un nemico che temo d’offendere a un cuore eccessivamente spontaneo che sente tutto cio’ che sogno come se fosse reale,
che accompagna col piede la melodia delle canzoni che il mio pensiero canta,
tristi canzoni, come le strade strette quando piove.
Fernando Pessoa, Poesie inedite
martedì 13 gennaio 2015
Contro la violenza
Perché la violenza, una volta
ammessa dalla società, non dovrebbe passare da specie a specie? Il nostro
stesso vocabolario riguardo stragi e crudeltà fra uomini, nonché malversazioni
quotidiane, riconduce puntualmente a quanto noi infliggiamo agli altri:
“mattanza”, “scannato come un capretto”, “un macello”, viaggiare in “carro
bestiame”.
Descriviamo così vari stati di
orrore o malessere, nella fissa determinazione a distinguerci, quanto a diritti
primari, dal resto del vivente. Peccato però che le altre specie non compiano
mattanze, non scannino per sadismo (uccidono alcuni, sì, ma con molta
parsimonia, per stretta necessità alimentare o difesa del territorio), né
allevino o deportino con barbarie.
Ci riferiamo dunque, ogni
volta, a un’attitudine che parte da noi, soltanto da noi, data per buona
laddove si rivolge a creature al di fuori dell’umana cerchia e condannata con
sgomento quando, dall’ingresso principale, rientra fra gli argini che abbiamo
arbitrariamente eretto, infondendo paura e stupore.
E’ allora che arretriamo,
distinguendo – ragionevolmente – fra civiltà democratiche e regimi brutali,
arroccandoci sempre più in considerazioni tutte centrate sull’umana natura. Il
resto è relegato a uno sfondo tanto lontano e marginale, da rendere paradossale
qualsiasi accostamento che non sia simbolico.
Eppure, mentre ci meravigliamo
che un pervasivo, estraneo male corrompa e stravolga la nostra gioventù,
ogni giorno affondiamo il coltello nelle carni di qualcun altro, sperimentiamo
la nostra medicina straziando individui lucidamente indifesi, riempiamo di
piombo corpi innocenti, persino, incredibile ma vero, abusiamo sessualmente di
inermi che non appartengono alla nostra specie. Ancor più e a maggior
ragione nell’era di Internet, quando l’educazione imbocca la scorciatoia
dell’emulazione; inetti a comprendere, per esempio, che l’esercizio di crudeltà
gratuita – il Web trabocca di selfie divulgati da torturatori di animali – si
nutre della spinta ad ampliare il proprio raggio d’azione.
Come illuderci, dunque, che
questo incredibile sconto concesso alla pretesa di essere migliori non renda
sempre più fragile e malata la nostra stessa comunità? Sarà forse utopistico
sognare un futuro in cui l’uomo individui finalmente privilegio e progresso
nella propria, eccezionale facoltà di stare al mondo senza nuocere ad altri.
Ma non è inutile augurarsi una profonda e allargata riflessione sulla
violazione della vita, partendo dalle religioni, indifferenti e antiquate, fino
all’educazione di bambini oggi formati alla carriera di consumatori a
danno di ogni intelligente sensibilità.
Scoraggiare il sopruso anche
sulle altre specie, allontanare la violenza dalla nostra quotidianità in favore
di una nuova armonia, non condurrebbe affatto a quell’austerità sbandierata
come spauracchio dai politicanti, ma a una nuova formula di salvezza.
margdam@margheritadamico.it
lunedì 12 gennaio 2015
Diritti
Un innegabile bisogno di
diritti, e di diritto, si manifesta ovunque, sfida ogni forma di repressione,
innerva la stessa politica. E così, con l’azione quotidiana, soggetti diversi
mettono in scena una ininterrotta dichiarazione di diritti, che trae la sua
forza non da una qualche formalizzazione o da un riconoscimento dall’alto, ma
dalla convinzione profonda di donne e uomini che solo così possono trovare
riconoscimento e rispetto per la loro dignità e per la stessa loro umanità.
Siamo di fronte a una inedita connessione tra l’astrazione dei diritti e la
concretezza dei bisogni, che mette all’opera soggetti reali. Certo non i
«soggetti storici» della grande trasformazione moderna, la borghesia e la
classe operaia, ma una pluralità di soggetti ormai tra loro connessi da reti
planetarie. Non un «general intellect», né una indeterminata moltitudine, ma
una operosa molteplicità di donne e uomini che trovano, e soprattutto creano,
occasioni politiche per non cedere alla passività e alla subordinazione.
Maturità
Maturare
verso l’infanzia. Questa soltanto sarebbe l’autentica maturità.
(Bruno Schulz)
(Bruno Schulz)
Un giorno sul diretto Capranica-Viterbo
vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.
Non era tanto giovane, anzi era maturato,
tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.
Cambiai subito posto per essergli vicino
e poter osservare il fenomeno per benino.
“Signore, – gli dissi – dunque lei ha una certa età:
di quell’orecchio verde che cosa se ne fa” ?
Rispose gentilmente: ” Dica pure che son vecchio.
Di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.
E’ un orecchio bambino, mi serve per capire
le cose che i grandi non stanno mai a sentire:
ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli,
le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,
capisco anche i bambini quando dicono cose
che a un orecchio maturo sembrano misteriose.”
Così disse il signore con un orecchio acerbo
quel giorno sul diretto Capranica – Viterbo.
vidi salire un uomo con un orecchio acerbo.
Non era tanto giovane, anzi era maturato,
tutto, tranne l’orecchio, che acerbo era restato.
Cambiai subito posto per essergli vicino
e poter osservare il fenomeno per benino.
“Signore, – gli dissi – dunque lei ha una certa età:
di quell’orecchio verde che cosa se ne fa” ?
Rispose gentilmente: ” Dica pure che son vecchio.
Di giovane mi è rimasto soltanto quest’orecchio.
E’ un orecchio bambino, mi serve per capire
le cose che i grandi non stanno mai a sentire:
ascolto quel che dicono gli alberi, gli uccelli,
le nuvole che passano, i sassi, i ruscelli,
capisco anche i bambini quando dicono cose
che a un orecchio maturo sembrano misteriose.”
Così disse il signore con un orecchio acerbo
quel giorno sul diretto Capranica – Viterbo.
Gianni Rodari
domenica 4 gennaio 2015
I rapporti umani
E adesso siamo veramente
adulti, pensiamo, e ci sentiamo stupiti che essere adulti sia questo, non
davvero tutto quello che da ragazzi avevamo creduto, non davvero la sicurezza
di sé, non davvero un sereno possesso di tutte le cose della terra. Siamo
adulti perché abbiamo alle spalle la presenza muta delle persone morte, a cui
chiediamo un giudizio sul nostro comportamento attuale, a cui chiediamo perdono
delle passate offese: vorremmo strappare dal nostro passato tante nostre parole
crudeli, tanti gesti crudeli che abbiamo compiuto quando pure temevamo la morte
ma non sapevamo, non avevamo capito com’era irreparabile, senza rimedio la
morte: siamo adulti per tutte le mute risposte, per tutto il muto perdono dei
morti che portiamo dentro di noi.
Siamo adulti per quel
breve momento che un giorno ci è toccato di vivere, quando abbiamo guardato
come per l’ultima volta tutte le cose della terra, e abbiamo rinunziato a
possederle; le abbiamo restituite alla volontà di Dio: e d’un tratto le cose
della terra ci sono apparse al loro giusto posto sotto il cielo, e così anche
gli esseri umani, e noi stessi sospesi a guardare nell’unico posto giusto che
ci sia dato: esseri umani, cose e memorie, tutto ci è apparso al suo posto
giusto sotto il cielo. In quel breve momento abbiamo trovato un equilibrio alla
nostra vita oscillante: e ci sembra che potremo sempre ritrovare quel momento
segreto, ricercare là le parole per il nostro mestiere, le nostre parole per il
prossimo; guardare il prossimo con uno sguardo sempre giusto e libero, non lo
sguardo timoroso e sprezzante di chi sempre si chiede, in presenza del
prossimo, se sarà suo padrone o suo servo. Noi tutta la vita non abbiamo saputo
essere che padroni o servi: ma in quel nostro momento segreto, in quel momento
di pieno equilibrio, abbiamo saputo che non c’è vera padronanza né vera servitù
sulla terra. Così adesso, tornando a quel nostro momento segreto, cercheremo
negli altri se già è toccato loro di vivere un momento identico, o se ancora ne
sono lontani: è questo che importa sapere. Nella vita d’un essere umano, è il
momento più alto: ed è necessario che stiamo con gli altri tenendo gli occhi al
momento più alto del loro destino.
(...) E la storia dei rapporti umani non è mai finita in noi: perché a poco a poco
succede che ci diventano fin troppo facili; fin troppo naturali e spontanei i
rapporti umani: così spontanei, così senza fatica che non sono più ricchezza,
né scoperta, né scelta: ma solo abitudine e compiacimento, ubriacamento di
naturalezza. Noi crediamo sempre di poter tornare a quel nostro momento
segreto, di poter sempre attingerci giuste parole: ma non è vero che ci
possiamo sempre tornare, tante volte i nostri sono falsi ritorni: accendiamo di
falsa luce i nostri occhi, simuliamo sollecitudine e calore al prossimo e siamo
in realtà di nuovo contratti, rannicchiati e gelati sul buio del nostro cuore.
I rapporti umani si devono riscoprire e riinventare ogni giorno. Ci dobbiamo
sempre ricordare che ogni specie d’incontro con il prossimo, è un’azione umana
e dunque è sempre male o bene, verità o menzogna, carità o peccato.
N. Ginzburg, I rapporti umani, da Le piccole virtù
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