Perché la violenza, una volta
ammessa dalla società, non dovrebbe passare da specie a specie? Il nostro
stesso vocabolario riguardo stragi e crudeltà fra uomini, nonché malversazioni
quotidiane, riconduce puntualmente a quanto noi infliggiamo agli altri:
“mattanza”, “scannato come un capretto”, “un macello”, viaggiare in “carro
bestiame”.
Descriviamo così vari stati di
orrore o malessere, nella fissa determinazione a distinguerci, quanto a diritti
primari, dal resto del vivente. Peccato però che le altre specie non compiano
mattanze, non scannino per sadismo (uccidono alcuni, sì, ma con molta
parsimonia, per stretta necessità alimentare o difesa del territorio), né
allevino o deportino con barbarie.
Ci riferiamo dunque, ogni
volta, a un’attitudine che parte da noi, soltanto da noi, data per buona
laddove si rivolge a creature al di fuori dell’umana cerchia e condannata con
sgomento quando, dall’ingresso principale, rientra fra gli argini che abbiamo
arbitrariamente eretto, infondendo paura e stupore.
E’ allora che arretriamo,
distinguendo – ragionevolmente – fra civiltà democratiche e regimi brutali,
arroccandoci sempre più in considerazioni tutte centrate sull’umana natura. Il
resto è relegato a uno sfondo tanto lontano e marginale, da rendere paradossale
qualsiasi accostamento che non sia simbolico.
Eppure, mentre ci meravigliamo
che un pervasivo, estraneo male corrompa e stravolga la nostra gioventù,
ogni giorno affondiamo il coltello nelle carni di qualcun altro, sperimentiamo
la nostra medicina straziando individui lucidamente indifesi, riempiamo di
piombo corpi innocenti, persino, incredibile ma vero, abusiamo sessualmente di
inermi che non appartengono alla nostra specie. Ancor più e a maggior
ragione nell’era di Internet, quando l’educazione imbocca la scorciatoia
dell’emulazione; inetti a comprendere, per esempio, che l’esercizio di crudeltà
gratuita – il Web trabocca di selfie divulgati da torturatori di animali – si
nutre della spinta ad ampliare il proprio raggio d’azione.
Come illuderci, dunque, che
questo incredibile sconto concesso alla pretesa di essere migliori non renda
sempre più fragile e malata la nostra stessa comunità? Sarà forse utopistico
sognare un futuro in cui l’uomo individui finalmente privilegio e progresso
nella propria, eccezionale facoltà di stare al mondo senza nuocere ad altri.
Ma non è inutile augurarsi una profonda e allargata riflessione sulla
violazione della vita, partendo dalle religioni, indifferenti e antiquate, fino
all’educazione di bambini oggi formati alla carriera di consumatori a
danno di ogni intelligente sensibilità.
Scoraggiare il sopruso anche
sulle altre specie, allontanare la violenza dalla nostra quotidianità in favore
di una nuova armonia, non condurrebbe affatto a quell’austerità sbandierata
come spauracchio dai politicanti, ma a una nuova formula di salvezza.
margdam@margheritadamico.it
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