martedì 13 gennaio 2015

Contro la violenza



Perché la violenza, una volta ammessa dalla società, non dovrebbe passare da specie a specie? Il nostro stesso vocabolario riguardo stragi e crudeltà fra uomini, nonché malversazioni quotidiane,  riconduce puntualmente a quanto noi infliggiamo agli altri: “mattanza”, “scannato come un capretto”, “un macello”, viaggiare in “carro bestiame”.
Descriviamo così vari stati di orrore o malessere, nella fissa determinazione a distinguerci, quanto a diritti primari, dal resto del vivente. Peccato però che le altre specie non compiano mattanze, non scannino per sadismo (uccidono alcuni, sì, ma con molta parsimonia, per stretta necessità alimentare o difesa del territorio), né allevino o deportino con barbarie.
Ci riferiamo dunque, ogni volta, a un’attitudine che parte da noi, soltanto da noi, data per buona laddove si rivolge a creature al di fuori dell’umana cerchia e condannata con sgomento quando, dall’ingresso principale, rientra fra gli argini che abbiamo arbitrariamente eretto, infondendo paura e stupore.
E’ allora che arretriamo, distinguendo – ragionevolmente – fra civiltà democratiche e regimi brutali, arroccandoci sempre più in considerazioni tutte centrate sull’umana natura. Il resto è relegato a uno sfondo tanto lontano e marginale, da rendere paradossale qualsiasi accostamento che non sia simbolico.
Eppure, mentre ci meravigliamo che un pervasivo, estraneo male corrompa e stravolga la nostra gioventù, ogni giorno affondiamo il coltello nelle carni di qualcun altro, sperimentiamo la nostra medicina straziando individui lucidamente indifesi, riempiamo di piombo corpi innocenti, persino, incredibile ma vero, abusiamo sessualmente di inermi che non appartengono alla nostra specie.  Ancor più e a maggior ragione nell’era di Internet, quando l’educazione imbocca la scorciatoia dell’emulazione; inetti a comprendere, per esempio, che l’esercizio di crudeltà gratuita – il Web trabocca di selfie divulgati da torturatori di animali – si nutre della spinta ad ampliare il proprio raggio d’azione.
Come illuderci, dunque, che questo incredibile sconto concesso alla pretesa di essere migliori non renda sempre più fragile e malata la nostra stessa comunità? Sarà forse utopistico sognare un futuro in cui l’uomo individui finalmente privilegio e progresso nella propria, eccezionale facoltà di stare al mondo senza nuocere ad altri.  Ma non è inutile augurarsi una profonda e allargata riflessione sulla violazione della vita, partendo dalle religioni, indifferenti e antiquate, fino all’educazione di bambini  oggi formati alla carriera di consumatori a danno di ogni intelligente sensibilità.
Scoraggiare il sopruso anche sulle altre specie, allontanare la violenza dalla nostra quotidianità in favore di una nuova armonia, non condurrebbe affatto a quell’austerità sbandierata come spauracchio dai politicanti, ma a una nuova formula di salvezza.

margdam@margheritadamico.it







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