martedì 31 maggio 2016

Il ragno





Il ragno si annoia, ma non sa di annoiarsi. Ha già percorso diverse volte la sua tela e ha rammendato gli squarci; poi, per fare qualcosa, ci ha aggiunto qua e là delle piccole migliorie, piuttosto inutili poiché nessuno arriva. 
È stato uno sbaglio tessere una ragnatela in quel posto così solitario. Infastidito dai calabroni che gli stracciavano la tela per poi andarsene come erano venuti, il ragno ha scelto un angolo sicuro ma deserto, e ora si annoia. A volte un seme leggero, portato dal vento, si imbatte nei fili; il ragno si affaccia, diffidente e speranzoso, fa per avvicinarsi, capisce che è stato un falso allarme e rientra nella sua galleria conica insaccata tra due foglie morte. Tanto lavoro per niente.
Alla fine il ragno lascia la sua tela e va a fare quattro passi sull'oleandro in fiore. Si sente nell'addome la voglia di fare dei fili, tanti fili. Ne attacca uno a un ramo e si lascia cadere, appeso alla cordicella lucida che gli vien fuori dal ventre: è il suo passatempo preferito, quando non sa che fare. Il suo corpo come un carboncino luccica dondolandosi al sole; un'aria tiepida gli carezza i peli neri delle zampe. Finché non viene avvistato da un passero in volo; svelto, l'uccello gli si getta sopra, ma lui si è accorto del pericolo e si e lasciato cadere mezzo metro più in basso. Il passero urta contro il filo appiccicoso e prosegue il volo trascinandosi dietro il ragno appeso. Finalmente il ragno cade a terra e ancora scosso dall'emozione riprende la strada verso la tela abbandonata, ostinato, invece di fermarsi lì e tesserne un'altra.

Wilcock, Lo stereoscopio dei solitari


 




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