[Pubblicato
da luigi
castaldi, 3
giugno 2016]
Mancano pochi mesi al 40° dell’esordio televisivo di Roberto Benigni, e io ho un ricordo assai nitido di quella serata, perché il personaggio di Mario Cioni da lui interpretato in Onda Libera fu oggetto di un’accesa discussione tra me e mia madre. A lei quel contadino non dispiaceva, trovava avesse una vena di malinconico surrealismo che prometteva bene. È probabile, quasi certo, che non dicesse proprio «malinconico surrealismo», ma, insomma, il senso era quello.
Da
subito, invece, a me diede il fastidio che in questi 40 anni non è
mai venuto meno, e che anzi è diventato sempre più molesto, fino
alla nausea che mi hanno inflitto proprio le sue prove più
applaudite. Per dire, ho trovato insopportabili La vita è bella,
Tutto Dante, La più bella del mondo, I dieci
comandamenti, e di tutto quello che è venuto prima (Il
piccolo diavolo, Johnny Stecchino, Pinocchio, La
tigre e la neve, ecc.) salverei dal cesso solo Non ci resta
che piangere, e solo per rispetto a Massimo Troisi. Ma il peggio
del peggio mi è sempre sembrato il Benigni delle ospitate d’onore,
quello che strizzava le palle a Pippo Baudo e palpeggiava il culo a
Raffaella Carrà, tra cretini ordinari a sbellicarsi in platea e
cretini di rango a definire geniali quelle pagliacciate, il giorno
dopo, sulle prime pagine dei quotidiani. Non mi è mai sfuggito,
tuttavia, anzi ho sempre avuto dolorosamente presente, dolorosamente
e rabbiosamente presente, che il successo di un viscido ruffiano è
sempre pienamente meritato se tributato da un paese di merda: i
pidocchi prosperano dove c’è forfora, il conformismo di sinistra è
sempre stato l’habitat elettivo di certa gente di spettacolo, poco
importa se nell’humus si muovessero da simbiotici o da saprofitari.
È
per questo che la giravolta di Benigni sul referendum che si terrà
ad ottobre non mi stupisce, e anzi mi torna a conferma – sia per la
decisione di farla, sia per l’amarezza che sembra aver inflitto a
tanti – di quanto ho più volte scritto su queste pagine: il popolo
del «se l’avesse detto/fatto Berlusconi, saremmo tutti a
manifestare in piazza» è ormai perdente rispetto a quello del
«Renzi sarà pure la continuazione di Berlusconi con altre
chiacchiere, ma è il segretario del partito che comunque non
possiamo non votare». L’altrieri erano una cosa sola, e da quella
Benigni raccoglieva a piene mani, ma oggi sono alla conta, e Benigni
è costretto a decidere, da marcatore di una mutazione che è del
conformista di sinistra, prim’ancora che del Pd di Renzi.
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