venerdì 17 giugno 2016

Rancore




Ogni disastro consente alla gente di manifestarsi nella sua cruda realtà; è lo strumento di rivelazione più esatto tra quelli che si conoscono. Specialmente per i bassifondi della convivenza, che in circostanze normali vivono nascosti. Così, il risentimento. Di fronte alla caduta di qualcosa che si è mantenuto vittorioso durante secoli, il rancore accumulato si scatena, viene alla luce senza maschera. È la sua ora. È l'ora della soddisfazione di tutte le impotenze. È anche l'ora degli ultimi arrivati, di quelli che adorano il successo come unico arbitro delle cose divine e umane. Al risentimento spetta la prima parte di quell'azione distruttrice che solo più tardi viene consolidata dalle armi. […]
Perché ciò che rende terribile il rancore è la sua essenziale apostasia; il fatto che si ritorca sempre, cieco, contro ciò che potrebbe salvarlo. La creatura risentita distrugge l'unica cosa alla quale potrebbe attaccarsi, si leva contro i suoi princìpi, che seppure odiati rimangono tali; princìpi appunto che potrebbero sostenere lo spirito disperato. Ma proprio per questo, perché il risentimento è un ritorcersi contro i princìpi, colui che è risentito manca essenzialmente di fermezza, di lealtà verso di sé e verso tutti. E in questo si confonde con l'adoratore del successo. Anche quest'ultimo non vuole sapere di chi è servo; schiavo di un signore che cambia, non vuole nemmeno sapere che non serve più chi serviva. Incapace anche di lealtà, colui che adora il successo non vuole sapere chi è colui che ha successo. O forse sarà che il successo, semplicemente, è una cosa senza volto, senza forma né figura, e per mancanza di essi non può generare alcuna lealtà. Può generarla solo ciò che ha figura, permanenza; ciò che, invece, senza nemmeno realizzarsi si innalza fino alla vetta per precipitare subito dopo, non può esigere la lucida adesione di una leale servitù. […]
Perché sempre, quando decade qualcosa che ha raggiunto la pienezza, si può intravedere, laggiù in fondo, un tradimento occulto o una debolezza di egual risultato. Sul terreno della vita storica, le inimicizie più effettive, le più ostinate, non irrompono da fuori, ma vanno a installarsi nel profondo, corrompendo il principio agente stesso. Poi sorgono nella superficie che si disfa. E il nemico, che ha avuto molta cura nell'infettare le radici, può arrivare allora perfino con l'apparenza del salvatore.

Marìa Zambrano, L'agonia dell'Europa







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