Non
è un caso forse se alla soglia dei Giochi Olimpici il Brasile, paese
ospitante, abbia ucciso il suo stesso simbolo. Legata con
una doppia catena per essere costretta ad assistere da vicino al
passaggio del fuoco ardente nella torcia olimpica, lunedì scorso, a
Manaus, la femmina di giaguaro Juma ha avuto una naturale reazione di
paura, e i militari presenti hanno subito provveduto a eliminarla.
Già
l’aver inserito in una celebrazione sportiva mondiale e
teoricamente pacifica la prigionia e la sottomissione di un animale
selvatico, testimonia l’ossessiva mania umana di voler
dominare sulla natura e gli altri viventi.
L’Olimpiade
inizia dunque con un gesto sanguinoso e una brutta morte dovuta
a ignoranza, vacuità, disprezzo. Ma se non si ha cura di inviare
messaggi corretti in occasioni tanto condivise, come stupirci della
tragica sorte dell’elefantessa Tike, crivellata a Honolulu, nel
1994, con 86 colpi di carabina dopo essersi ribellata a vent’anni
di abusi e sevizie in un circo?
Possiamo
ancora meravigliarci del pubblico sventramento di Marius, il
cucciolo di giraffa eliminato nel 2014 dallo zoo di Copenhagen e dato
in pasto ai leoni davanti a una folla di bambini, oppure della
precedente fucilazione del suo simile Alexandre, fuggito dal circo
Rinaldo Orfei a Imola, o ancora dell’abbattimento senza appello del
gorilla Harambe allo zoo di Cincinnati (Ohio), a causa di un
bambino caduto nel suo recinto?
Alla
base di troppi, dolorosi episodi, c’è la prigionia delle
specie selvatiche. La cattività è un principio
vergognoso, di cui la nostra società stenta ancora a
liberarsi. Al riguardo, prima ancora dei detentori di zoo,
acquari, circhi terrestri e acquatici, vanno ritenute colpevoli tutte
quelle famiglie che, con inaudita superficialità, vi conducono i
propri figli.
L’animale
in gabbia è un esempio terribile, e se i più piccoli, che
rimarranno tali solo per poco, non fossero continuamente spinti ad
accettarlo, queste sinistre attività sarebbero già avviate a
scomparire.
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