sabato 30 luglio 2016
venerdì 29 luglio 2016
giovedì 28 luglio 2016
martedì 26 luglio 2016
Babbei
IL TAM TAM DELLA RETE
Nel
corso della storia il pensiero umano ha prodotto una grandissima
quantità di supereroi: Capitan Stati Uniti, l'Inconfondibile Hulk, i
Fantastici Quattro o Cinque, più un’interminabile scarrettata di
Qualcosaman. Con i supereroi la fantasia di fumettisti e
sceneggiatori si è davvero sbizzarrita, quasi quanto quella dei
preti. I loro superpoteri sono praticamente infiniti: volare,
sollevare cose pesantissime, respingere proiettili, volare, piegare
cose durissime (e spesso anche pesantissime), volare, volare, volare
e tante altre cose ancora, ma soprattutto punire i criminali. Punire
i criminali è il sogno di tutti. Dà effettivamente una certa
soddisfazione immaginarsi un tizio invincibile che punisce i cattivi
e premia i buoni, e non nell’aldilà, dove sono capaci tutti, ma
nell’aldiquà. Il fatto che sia vestito come un pagliaccio passa
quasi in secondo piano. L'unica cosa che mi dà fastidio è che non
ci sia nemmeno un supereroe che punisce i babbei. Com’è possibile?
Ci saranno ottocentododicimila supereroi di ogni ordine e grado, e
nemmeno uno che punisce i babbei? Perché i babbei devono farla
franca sia nel mondo reale che in tutti quelli immaginari?
Per questo motivo ho deciso di inventare un supereroe come piace a me, un supereroe al servizio della razionalità, in perenne lotta contro i trasgressori della logica e contro tutti coloro che si ribellano all’evidenza fattuale, insomma uno che sistemi una volta per tutte i babbei.
Per questo motivo ho deciso di inventare un supereroe come piace a me, un supereroe al servizio della razionalità, in perenne lotta contro i trasgressori della logica e contro tutti coloro che si ribellano all’evidenza fattuale, insomma uno che sistemi una volta per tutte i babbei.
Sistemaibabbeiman
non vola, non solleva niente di particolarmente pesante e se gli
spari muore, ma riesce a fare una cosa molto più inaudita e
incredibile di tutti gli altri supereroi: far capire al babbeo che è
un babbeo. Il suo superpotere è la forza della persuasione. Anzi,
potremmo chiamarlo “supersuperpotere”, visto che è molto più
difficile persuadere un babbeo che superare la velocità della luce.
PERCHÉ
METTONO IN PRIGIONE CHI NON FA UNA FATTURA E LASCIANO LIBERI GLI
ASSASSINI!?
Non
mi risulta che in Italia ci sia molta gente in carcere per evasione
fiscale.
PARLAVO IN GENERALE!
Ed
è a questo punto, quando non sai cosa ribattere e ogni nesso logico
sembra ormai perduto, che arriva Sistemaibabbeiman a bordo della sua
sistemaibabbeimobile e affronta il babbeo senza nessuna paura di
scendere al suo livello:
SARÀ
PERCHÉ SEI UN BABBEO!
Boom!
Il babbeo si rende istantaneamente conto che è vero, è proprio un
babbeo, perché non se ne era mai accorto? Per tutta la vita aveva
creduto che i babbei fossero gli altri, quelli che cambiano idea, e
ora invece salta fuori che è lui. Questa rivelazione gli procura un
profondissimo senso di vergogna che piano piano, giorno dopo giorno,
lo consuma e lo fa diventare una persona insicura e restia a
esprimersi in pubblico. Nemmeno ha più il coraggio di suonare il
clacson.
CHISSÀ
PERCHÉ L’AMERICA CHE HA LA BOMBA ATOMICA NON RIESCE A SCONFIGGERE
L’ISIS!?
SARÀ
PERCHÉ SEI UN BABBEO!
SE
L’OMEOPATIA NON FUNZIONA PERCHÉ MIO ZIO È GUARITO DALLA FORFORA!?
PERCHÉ
SEI UN BABBEO!
GUARDA
CASO FANNO ANCORA LE MACCHINE A BENZINA ANCHE SE CI SONO GIÀ LE PALE
EOLICHE!
BABBEO!
Bang! Pow! Diazepam! Sistemaibabbeiman ha un nemico giurato, un babbeo molto più potente di tutti i babbei del mondo: il Populista.
Benché
il Populista sia a capo di tumultuose torme di babbei che manipola a
suo piacere, non è lui stesso un babbeo, ma fa solo finta di
esserlo. Infatti i babbei non sarebbero mai in grado di essere a capo
di un bel niente, nemmeno di se stessi, per il semplice motivo che
sono babbei. Così, per sconfiggere il Populista, Sistemaibabbeiman
non può usare il suo supersuperpotere direttamente contro di lui,
non funzionerebbe, ma deve agire sui suoi seguaci, persuaderli uno
per uno facendo loro passare la voglia di avere delle opinioni. In
questo modo il Populista, perso il consenso dei babbei, si
trasformerà in una persona normale come tutte le altre e sarà
costretto a cercarsi un lavoro. Sia chiaro, io un lavoro non lo
auguro a nessuno, ma il Populista secondo me se lo merita.
Tutto
sarebbe semplice e senza problemi, se non fosse che Sistemaibabbeiman
ha un punto debole, una cosa che gli toglie tutte le forze e può
distruggerlo per sempre: il tam tam della rete.
lunedì 25 luglio 2016
Into my arms
I
don't believe in an interventionist God
But I know, darling, that you do
But if I did I would kneel down and ask Him
Not to intervene when it came to you
Not to touch a hair on your head
To leave you as you are
And if He felt He had to direct you
Then direct you into my arms
But I know, darling, that you do
But if I did I would kneel down and ask Him
Not to intervene when it came to you
Not to touch a hair on your head
To leave you as you are
And if He felt He had to direct you
Then direct you into my arms
sabato 23 luglio 2016
Andar per mare / Amelia the Sailor-cat
Liz
Clark, 34, has been sailing around the world since 2006 when she quit
her job as a bartender in San Diego, California. Liz was given a Cal
40 sailboat on the condition that she would document her adventures
around the world. In 2013, “Captain Lizzy” welcomed a 6-month-old
kitten that she rescued aboard.
“She
has adapted to living surrounded by water,” Clark said of her cat
companion. The cat, named Amelia (also lovingly referred to as
Tropicat), enjoys fishing from the boat, walking on the beach and
hiking. “She has to go out of a cat comfort zone often,” Clark
added. “But I think she now understands that I will keep her safe
and she will have a lot of fun in the end. She makes Swell [the
yacht] feel much more like a home.”
So
far, Clark has traveled along the western coast of Mexico and Central
America, and around the South Pacific.
Sentirsi tutti
Vorrei
nascere in tutti i paesi
perchè la terra stessa, come anguria,
compartisse per me
il suo segreto
e essere tutti i pesci
in tutti gli oceani
e tutti i cani nelle strade del mondo.
Non voglio inchinarmi
davanti a nessun dio, la parte non voglio recitare
di un hippy ortodosso
ma vorrei tuffarmi
in profondità nel Bajkal
e sbuffando
riemergere
nel Mississipi
Vorrei
nel mio mondo adorato e maledetto
essere un misero cardo
non un curato giacinto,
essere una qualsiasi creatura di dio
sia pure l’ultima iena rognosa
ma in nessun caso un tiranno
e di un tiranno, nemmeno il gatto;
in nessun caso.
Vorrei essere uomo
in qualsiasi personificazione:
anche torturato in un carcere del Guatemala,
o randagio nei tuguri di Hong-Kong,
o scheletro vivente nel Bangladesh
o misero jurodivyj a Lhasa,
o negro a Capetown,
ma non personificazione della feccia.
Vorrei giacere
sotto il bisturi di tutti i chirurghi del mondo,
essere gobbo, cieco,
provare ogni malattia, ferita, deformità
essere mutilato dalla guerra
raccogliere luride cicche
purché in me non si insinui
il microbo ignobile della superiorità
non vorrei fare parte dell’élite
ma di certo neppure del gregge dei vigliacchi
né dei cani del gregge
né dei pastori che al gregge si conformano,
vorrei essere felicità
ma non a spese degli infelici
vorrei essere libertà, ma non a spese di chi è asservito.
Vorrei amare tutte le donne del mondo
e vorrei essere donna anch’io
magari una volta soltanto…
madre-natura, l’uomo é stato da te defraudato.
Perché non dargli
la maternità?
Se in lui, sotto il cuore, un figlio
si facesse sentire così
senza un perché, certo l’uomo
non sarebbe tanto crudele.
Vorrei essere essenziale –magari una tazza di riso
nelle mani di una vietnamita segnata dal pianto,
o una cipolla nella brodaglia di un carcere di Haiti,
o un vino economico
in una trattoria di terz’ordine napoletana
e un tubetto, anche minuscolo, di formaggio
in orbita lunare;
che mi mangino pure
e mi bevano
purché nella mia morte ci sia una utilità.
Vorrei appartenere a tutte le epoche, far trasecolare la storia tanto da stordirla con la mia impudenza:
della gabbia di Pugacev segherei le sbarre
quale Gavroche introdottosi in Russia
condurrei Nefertiti
a Michajlovskol, sulla trojka di Psi^n
Vorrei cento volte prolungare la durata di un attimo
per potere nello stesso istante
bere alcool con i pescatori nella Lena
baciare a Beirut,
danzare in Guinea, al suono del tam-tam,
scioperare alla “Renault”,
correre dietro a un pallone con i ragazzi di Copacabana, vorrei essere onnilingue, come le acque segrete del sottosuolo
Fare di colpo tutte le professioni
e ottenere così che
un Evtusenko sia semplicemente poeta, un altro, militante clandestino spagnolo, un terzo, uno studente di Berkeley
e un quarto, un cesellatore di Tbilisi.
Un quinto – un maestro elementare in Alaska,
un sesto – un giovane presidente in qualche dove,
anche in Sierra Leone, diciamo,
un settimo –
scuoterebbe soltanto il sonaglio di una carrozza
e il decimo…
il centesimo…
il milionesimo…
Poco per me essere me stesso
tutti, fatemi essere!
E ciascun essere,
in coppia, come si usa.
Ma dio, lesinando la carta carbone
mi ha prodotto in un solo esemplare
nel suo bogizdat.
Ma a dio confonderò le carte. Lo raggirerò!
Avrò mille facce
fino all’ultimo giorno
affinchè la terra rimbombi per causa mia
e i computers impazziscano
per il mio universale censimento.
Vorrei
umanità
lottare su tutte le barricate
stringermi ai Pirenei,
coprirmi di sabbia attraverso il Sahara
e accettare la fede della grande fratellanza umana,
perchè la terra stessa, come anguria,
compartisse per me
il suo segreto
e essere tutti i pesci
in tutti gli oceani
e tutti i cani nelle strade del mondo.
Non voglio inchinarmi
davanti a nessun dio, la parte non voglio recitare
di un hippy ortodosso
ma vorrei tuffarmi
in profondità nel Bajkal
e sbuffando
riemergere
nel Mississipi
Vorrei
nel mio mondo adorato e maledetto
essere un misero cardo
non un curato giacinto,
essere una qualsiasi creatura di dio
sia pure l’ultima iena rognosa
ma in nessun caso un tiranno
e di un tiranno, nemmeno il gatto;
in nessun caso.
Vorrei essere uomo
in qualsiasi personificazione:
anche torturato in un carcere del Guatemala,
o randagio nei tuguri di Hong-Kong,
o scheletro vivente nel Bangladesh
o misero jurodivyj a Lhasa,
o negro a Capetown,
ma non personificazione della feccia.
Vorrei giacere
sotto il bisturi di tutti i chirurghi del mondo,
essere gobbo, cieco,
provare ogni malattia, ferita, deformità
essere mutilato dalla guerra
raccogliere luride cicche
purché in me non si insinui
il microbo ignobile della superiorità
non vorrei fare parte dell’élite
ma di certo neppure del gregge dei vigliacchi
né dei cani del gregge
né dei pastori che al gregge si conformano,
vorrei essere felicità
ma non a spese degli infelici
vorrei essere libertà, ma non a spese di chi è asservito.
Vorrei amare tutte le donne del mondo
e vorrei essere donna anch’io
magari una volta soltanto…
madre-natura, l’uomo é stato da te defraudato.
Perché non dargli
la maternità?
Se in lui, sotto il cuore, un figlio
si facesse sentire così
senza un perché, certo l’uomo
non sarebbe tanto crudele.
Vorrei essere essenziale –magari una tazza di riso
nelle mani di una vietnamita segnata dal pianto,
o una cipolla nella brodaglia di un carcere di Haiti,
o un vino economico
in una trattoria di terz’ordine napoletana
e un tubetto, anche minuscolo, di formaggio
in orbita lunare;
che mi mangino pure
e mi bevano
purché nella mia morte ci sia una utilità.
Vorrei appartenere a tutte le epoche, far trasecolare la storia tanto da stordirla con la mia impudenza:
della gabbia di Pugacev segherei le sbarre
quale Gavroche introdottosi in Russia
condurrei Nefertiti
a Michajlovskol, sulla trojka di Psi^n
Vorrei cento volte prolungare la durata di un attimo
per potere nello stesso istante
bere alcool con i pescatori nella Lena
baciare a Beirut,
danzare in Guinea, al suono del tam-tam,
scioperare alla “Renault”,
correre dietro a un pallone con i ragazzi di Copacabana, vorrei essere onnilingue, come le acque segrete del sottosuolo
Fare di colpo tutte le professioni
e ottenere così che
un Evtusenko sia semplicemente poeta, un altro, militante clandestino spagnolo, un terzo, uno studente di Berkeley
e un quarto, un cesellatore di Tbilisi.
Un quinto – un maestro elementare in Alaska,
un sesto – un giovane presidente in qualche dove,
anche in Sierra Leone, diciamo,
un settimo –
scuoterebbe soltanto il sonaglio di una carrozza
e il decimo…
il centesimo…
il milionesimo…
Poco per me essere me stesso
tutti, fatemi essere!
E ciascun essere,
in coppia, come si usa.
Ma dio, lesinando la carta carbone
mi ha prodotto in un solo esemplare
nel suo bogizdat.
Ma a dio confonderò le carte. Lo raggirerò!
Avrò mille facce
fino all’ultimo giorno
affinchè la terra rimbombi per causa mia
e i computers impazziscano
per il mio universale censimento.
Vorrei
umanità
lottare su tutte le barricate
stringermi ai Pirenei,
coprirmi di sabbia attraverso il Sahara
e accettare la fede della grande fratellanza umana,
e
fare proprio il volto
di tutta l’umanità.
E quando morirò
sensazionale Villon siberiano
non deponetemi
in terra inglese
o italiana –
ma nella nostra terra russa,
su quella verde, serena collina,
dover per la prima volta io
mi sono sentito tutti.
di tutta l’umanità.
E quando morirò
sensazionale Villon siberiano
non deponetemi
in terra inglese
o italiana –
ma nella nostra terra russa,
su quella verde, serena collina,
dover per la prima volta io
mi sono sentito tutti.
Evgenij
Evtušenko
venerdì 22 luglio 2016
Un pugno di riso / Scianna
Un pugno di riso. Un'espressione diventata metaforica che ho ritrovato, drammaticamente concreta, a Makallè, in Etiopia, dove si concentravano, in un campo fuori dal centro abitato, i fuggiaschi da una delle ricorrenti siccità che devastano quel paese. In quel campo morivano cinquanta persone al giorno. Per paradossale iperbole visiva – lì accanto c’era stato un macello a cielo aperto – si ammucchiavano migliaia di ossa e crani bianchi di animali che sembravano un monito minaccioso per i vivi che dopo marce di settimane erano riusciti, stremati, ad arrivare in quel luogo di possibile salvezza, al campo, specialmente la notte, saliva un suono spaventoso, come se quelle migliaia di persone fossero diventate un solo corpo dal quale esalava straziante un unico lamento. Anche lì piccole mani nere aperte per pochi grammi di grano, per un salvifico pugno di bianca farina. Le persone arrivavano a migliaia. A un certo punto, in una tenda della Croce Rossa, mi ritrovai a fotografare dei gesti incomprensibili. C’era una fila di bambini che sembravano usciti da Auschwitz. Gli infermieri li pesavano e misuravano. Mentre fotografavo mi domandai a che cosa potesse servire un’operazione del genere mentre la gente moriva come le mosche. Chiesi perché. Mi spiegarono che in questo modo selezionavano quelli che avevano bisogno di un intervento urgente, tralasciando gli altri per i quali era troppo tardi. Mi sembrò una cosa troppo terribile e inaccettabile, per quanto razionale.
Ebbi una specie di collasso psicologico: non riuscivo più a fare le foto. Troppo dolore; che senso ha fare foto in una situazione del genere? mi chiedevo. Andai a trovare un medico italiano che avevo incontrato e gli dissi che non volevo più fotografare, che mi trovasse qualcosa di utile da fare. Era un uomo intelligente; mi rispose che aveva altro di cui occuparsi che delle crisi di un fotografo e che non gli facessi perdere tempo. Erano le dieci del mattino, stavo male. Ero bloccato. Volevo tornarmene indietro. Verso le sei e mezza, sempre arrovellandomi su torno o non torno, come faccio a fotografare, mi sono accorto che i miei pensieri stavano prendendo altre direzioni. Solo dopo un bel po’ mi resi conto che cominciavo a sentire fame e a domandarmi che cosa e dove potessi mangiare. Più la fame aumentava e meno ero oppresso dal fatto che lì intorno vedevo la morte fare strage, mi laceravo sempre meno sul significato di fotografare, mentre invece sempre di più pensavo che, semplicemente, avevo fame. Lentamente riemersi, cominciai a riflettere sul fatto che il mio corpo esisteva, esisteva la mia necessità fisica, più impellente e pervasiva di ogni blocco psicologico e morale. Che potevo fuggire dal dolore degli altri, non dalla mia fame, non dal mio corpo.
Fai il fotografo? Non è questo che volevi fare? Fallo bene allora. Cerca di mettere nelle tue foto la tua angoscia e la tua pietà. Non pretendere di cambiare il mondo con la tua fragilità. Non fuggire. Tornai a fare il mio mestiere. È una lezione che non ho più dimenticato.
Ferdinando
Scianna (parlando
di un suo servizio a Makallé, in Etiopia, piagata da una carestia)
giovedì 21 luglio 2016
venerdì 15 luglio 2016
Specie umana
La vita
sulla terra non è che un assaggio di cosa può succedere
nell'universo, la nostra anima non ne è che un altro.
I
nostri valori morali, le nostre emozioni, i nostri amori, non sono
meno veri per il fatto di essere parte della natura, di essere
condivisi con il mondo animale o per essere cresciuti ed essere stati
determinati dai milioni di anni dell'evoluzione della nostra specie.
Noi
siamo una specie curiosa, l'unica rimasta di un gruppo di specie (il
genere Homo) formato da almeno una dozzina di specie curiose. Le
altre specie del gruppo si sono già estinte; alcuni come i
Neanderthal, poco fa: neppure trantamila anni or sono.....
Penso
che la nostra specie non durerà a lungo: non pare avere la stoffa
delle tartarughe, che hanno continuato ad essere simili a se stesse
per centinaia di milioni di anni, centinaia di volte di più di
quanto siamo esistiti noi.
Apparteniamo
a un genere di specie a vita breve. I nostri cugini si sono già
estinti. E noi facciamo danni. I cambiamenti climatici e ambientali
che abbiamo innescato sono stati brutali e difficilmente ci
risparmieranno.
Siamo
forse la sola specie sulla terra consapevole dell'inevitabilità
della nostra morte individuale: temo che presto dovremo diventare
anche la specie che vedrà consapevolmente arrivare la propria fine,
o quanto meno la fine della propria civiltà
mercoledì 13 luglio 2016
Ferrovie
Di
fronte alla strage ferroviaria di Ruvo di Puglia(...) la
sola colpa è di tutti coloro che hanno tagliato gli investimenti
sulla sicurezza e lo stesso personale. Invece sento già parlare di
errore umano, come se questo esistesse davvero nel 2016 nei treni. In
Svizzera la maggior parte delle linee ferroviarie sono a binario
unico, quanti incidenti ci sono? Il sistema dei controlli
informatici, la manutenzione continua, i meccanismi di sicurezza e di
arresto immediato della circolazione, non appena qualche cosa non
vada, il rinnovamento del materiale rotabile e delle infrastrutture,
i turni umani per il personale, tutto costruisce un sistema di
salvaguardia che impedisce disastri, come quelli che invece sempre
più spesso accadono nelle ferrovie italiane. Ma da noi si parla di
errore umano, vergogna!
A
Crevalcore anni fa c’è stata una strage, si è data la colpa ai
macchinisti, opportunamente morti nel’incidente. A Viareggio invece
i macchinisti sono sopravvissuti, e hanno contribuito a mettere in
luce le criminali gestioni della sicurezza che hanno provocato 31
morti bruciati vivi. Ma il processo per i responsabili delle Ferrovie
si avvia verso la prescrizione.
Quanti
soldi si stanno buttando via per il traforo della Valle di Susa che
non serve a niente e neppure sarà completato? Se con quei soldi si
fossero duplicate le linee ferroviarie ad alta pendolarità, si fosse
investito in sicurezza, in semafori di blocco, in personale, quanti
morti in meno ci sarebbero oggi? Ma i NoTav e tutti coloro che hanno
sollevato la questione degli sprechi per le ferrovie ad alta velocità
e dei tagli per quelle per i pendolari, sono stati tacciati di essere
nemici della modernità. E i ferrovieri che per anni con i sindacati
di base si sono battuti perché a guidare i treni fossero due
macchinisti e non solo uno, sono stati accusati di corporativismo e
fannullaggine. E ora grazie alla legge Fornero un solo macchinista
dovrà condurre fino a 67 anni.
Tutte
queste ragioni ed altre ancora alla fine risalgono ad un’unica
semplice causa: i tagli al trasporto pubblico ferroviario a favore
del profitto sulle tratte più redditizie e delle privatizzazioni.
Così il nostro paese, che nel trasporto ferroviario negli anni 70 e
80 del secolo scorso era diventato il più sicuro, ora sta diventando
uno dei più pericolosi d’Europa. E la UE vorrebbe che ancora più
tagliassimo sul trasporto pubblico.
Giorgio
Cremaschi
martedì 12 luglio 2016
lunedì 11 luglio 2016
Apatia dell'anima
L'aveva
già notato parecchie volte: più aveva problemi pressanti, che lo
assillavano con la loro urgenza e la loro gravità, più il suo
cervello faceva il morto. Allora si metteva a vivere di inezie,
estraneo e noncurante, spogliandosi di ogni pensiero e di ogni
qualità, con l'anima sgombra, il cuore vuoto, la mente sintonizzata
sulle lunghezze d'onda più corte. Questa condizione, questa distesa
di indifferenza che scoraggiava tutti coloro che gli stavano intorno,
la conosceva bene ma la padroneggiava male. Noncurante, libero dai
problemi del pianeta, era calmo, abbastanza felice. Ma con il passare
dei giorni l'indifferenza faceva danni impercettibili per cui tutto
in essa scoloriva. Gli esseri umani diventavano trasparenti, tutti
identici a forza di sembrargli lontani. Finché, giunto a un qualche
termine del suo informale tedio, lui stesso non si sentiva più
alcuna densità, alcuno spessore, e si lasciava portare in balia
della quotidianità altrui, più disposto a fare agli altri una gran
quantità di favori proprio perché divenuto loro perfettamente
estraneo. Il meccanismo del suo corpo e del suo eloquio automatico
assicurava il procedere dei giorni, ma lui non era più presente per
nessuno. Così, largamente privato di se stesso, Adamsberg non si
preoccupava e non formulava più nulla. Questo disinteresse verso
qualsiasi cosa non aveva neppure il sentore angosciante del vuoto,
questa apatia dell'anima non portava neppure con sé i tormenti della
noia.
domenica 10 luglio 2016
Come se
Di
recente mi capita di pensare a come d'autunno il sole calava sui
campi intorno alla nostra piccola casa. La vista spaziava
all'orizzonte, a trecentosessanta gradi, con il sole che scendeva
alle spalle mentre il cielo davanti diventava di un rosa delicato e
poi di nuovo vagamente azzurro, come se non potesse interrompere il
suo ciclo di bellezza, e poi la terra più vicina al tramonto
scuriva, fino a farsi quasi nera contro la linea arancione
dell'orizzonte, ma se ti giravi, c'era ancora terra disponibile allo
sguardo, e di una tale dolcezza, qualche albero, e terreni a riposo
già dissodati, e il cielo che resiste, e infine cede al buio. Come
se l'anima potesse far silenzio in quei momenti.
La
vita mi lascia sempre senza fiato.
Elizabeth Strout, Mi chiamo Lucy Barton
mercoledì 6 luglio 2016
Uno scatto
Allevamenti
intensivi, un’unica foto che
colpisce come una mazzata.
L’immagine, pubblicata su
Facebook da
Diane
Scarazzini,
autrice e attivista per i diritti degli animali, è
stata scattata in Oregon,
e
si
tratta di una fotografia reale, non di un fotomontaggio.
Si
vedono
piccoli capanni tutti uguali e ben allineati fila dopo fila verso
l’orizzonte. Sono centinaia. Ogni capanno ha al proprio interno un
vitellino che è stato strappato alla madre dopo
solo
un’ora dalla
nascita. Come sottolinea Farm
Sanctuary,
allontanare
i vitellini dalle madri è la prassi
per consentire la produzione di latte su larga scala.
Le mucche da
latte trascorrono la loro vita in un ciclo costante di gravidanza,
nascita e mungitura. I
vitelli sono allontanati dalla madre poco dopo la nascita, il che
rappresenta uno stress enorme sia per la mucca che per il vitello,
legatissimi tra loro. Spesso la madre continua a muggire per giorni, per chiamare
il suo piccolo dopo la separazione. Il latte che dovrebbe nutrire i loro
cuccioli
viene destinato all'industria lattiero-casearia. I
mesi di riposo tra una gravidanza e l’altra sono sempre troppo
pochi negli allevamenti intensivi, e
i
vitellini maschi, che
non sono utili per la produzione di latte,
sono destinati al macello
dopo meno di sei mesi.
"Sostenere
una produzione di cibo che sia in grado di rimettere gli animali
all'aria aperta, al pascolo, anziché dentro capannoni",
sostiene Philip Lymbery, autore del libro Farmageddon:
il vero prezzo della carne economica,
"Un allevamento estensivo connesso alla terra, in grado di
fornire cibo più nutriente con metodi che risultano migliori sia per
il territorio che per il benessere animale.
I
governi di tutto il mondo possono contribuire a migliorare la salute
delle loro nazioni e salvaguardare le future scorte alimentari
basandosi su risorse naturali come i pascoli. Cibo che insomma
provenga da fattorie e non da fabbriche".
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