L'aveva
già notato parecchie volte: più aveva problemi pressanti, che lo
assillavano con la loro urgenza e la loro gravità, più il suo
cervello faceva il morto. Allora si metteva a vivere di inezie,
estraneo e noncurante, spogliandosi di ogni pensiero e di ogni
qualità, con l'anima sgombra, il cuore vuoto, la mente sintonizzata
sulle lunghezze d'onda più corte. Questa condizione, questa distesa
di indifferenza che scoraggiava tutti coloro che gli stavano intorno,
la conosceva bene ma la padroneggiava male. Noncurante, libero dai
problemi del pianeta, era calmo, abbastanza felice. Ma con il passare
dei giorni l'indifferenza faceva danni impercettibili per cui tutto
in essa scoloriva. Gli esseri umani diventavano trasparenti, tutti
identici a forza di sembrargli lontani. Finché, giunto a un qualche
termine del suo informale tedio, lui stesso non si sentiva più
alcuna densità, alcuno spessore, e si lasciava portare in balia
della quotidianità altrui, più disposto a fare agli altri una gran
quantità di favori proprio perché divenuto loro perfettamente
estraneo. Il meccanismo del suo corpo e del suo eloquio automatico
assicurava il procedere dei giorni, ma lui non era più presente per
nessuno. Così, largamente privato di se stesso, Adamsberg non si
preoccupava e non formulava più nulla. Questo disinteresse verso
qualsiasi cosa non aveva neppure il sentore angosciante del vuoto,
questa apatia dell'anima non portava neppure con sé i tormenti della
noia.
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