giovedì 20 febbraio 2020

Mandragola



La mandragola è una radice, che si biforca come due gambe di donna, e quando la si toglie dal terreno manda un grido di disperazione. Come ciò sia possibile nessun autore lo dice. Ma la mandragola per questo si colloca nella linea incerta tra il vegetale e l’animale.
D’altronde si legge nel Talmud che quando una pianta, o anche un semplice arbusto viene reciso, uno stelo d’erba, un piccolo non ti scordar di me, si leva un grido straziante che va da oriente a occidente percorrendo tutto il cielo, ma nessuno lo sente. È questa la condizione del vegetale, che è muto, e non si sente il muto canto di un prato in una giornata di giugno, ogni specie di erba con la sua tonalità diversa, il radicchio con la voce da basso che canta canzoni melodiche, le eriche che formano un coro come di donne in chiesa, il vilucchio che fa il tenore napoletano, e via di seguito, sono centinaia di specie in un prato qualunque, con vari solisti, che si aprono al sole; di color giallo, bianco, rosato, azzurrognolo, è come un canto a bocca chiusa, un inno, che dura una giornata, raggiunge l’apice tra mezzogiorno e le tre, se non è nuvolo, poi scende di un’ottava, poi di due, e quando il sole tramonta c’è come un brusio, una specie di debole Ave Maria in chiave di basso, o di Om, perché l’erba è profondamente religiosa; non che creda in un Dio antropomorfo, l’erba non crede in niente, neanche nelle mucche, al massimo dice: «accomodatevi» (...)

E. Cavazzoni, La mandragola, da Guida agli animali fantastici 


 




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