Querida Bats,
non è solo coraggio, bisogna
avere radici come sabbia del deserto mossa dal vento dell’imperscrutabile, e
un’anima colma a tal punto di una disperazione tale da rendere automatica la
simbiosi coi disperati del mondo, l’unica patria a cui mi sono sentito
veramente di appartenere.
Ma non è necessario accendersi
la pipa con calma, e andare a sedersi dinnanzi ai carri armati israeliani, per
esprimere il coraggio dei propri valori. Non è necessario essere pronti a
sacrificare se stessi, subito, adesso, l’intera propria vita per considerarsi
coerenti coi propri proponimenti.
C’è tutto un microcosmo di
sofferenza nelle nostre città così ben imbellettate, un micro che in realtà è
macroscopica ingiustizia.
Quegli stessi uomini-tonno,
quando riescono a sbarcare e a disperdersi sulla terraferma, rimangono pur
sempre pesci fuor d’acqua. E poco dopo magari li si ritrova agli angoli delle
strade, a vendere la loro paccottiglia e i cd pirata per sopravvivere, per non
venire a patti con criminalità e spaccio, come i miei amici senegalesi,
venditori ambulanti con due lauree alle spalle conseguite nella migliore
università di Dakar.
Richiedono dignità, non
carità.
E magari amicizia.
C’è tutta una subcultura
dominante e omologante, (una vera peste bubbonica, ci vorrebbe, per svuotare
tutta questa umanità disumanizzante) di razzismi, edonismo, individualismo
esasperato al punto da considerare zerbini le lecite richieste di diritti civili,
a tal punto consolidato da abituarci alla prevaricazione sociale.
A questi carri armati di
bigottismo e perbenismo fascista, bisognerebbe saper rispondere giorno per
giorno.
Non bisogna lasciar passare
niente.
Che sia un risolino di scherno
bisbigliato su di un mezzo pubblico, che cela dietro denti ben curati la carie
delle svastiche, una usurpazione fatta sul posto di lavoro di cui siamo
testimoni, una violenza verbale ai danni di un miserabile per strada.
Ribellarsi, non retrocedere di
un passo, ora sì con coraggio, osare, anche a costo di apparire pazzi,
maniacali e utopici, vecchi tromboni già a trent’ anni, a costo di pagarne le
conseguenze da soli.
Semplici comportamenti,
coerenti con se stessi, possono essere rivoluzionari, “cambiare se stessi e per
osmosi cambierà anche il mondo!”, mi ripete ancora adesso da compianto, Tiziano
Terzani.
Consumare meno, è la prima
forma di ribellione a quel meccanismo di moderno fascismo che ci vuole
ingranaggi dediti al consumo di beni per lo più futili (caxxo, a me è due
settimane che mi hanno tagliato il gas, vabbe io sono patologico, ora cucino
col vapore).
Cercare la propria presunzione
di guerrilla personale, di rivoluzione, che sia il volontariato un mese
all’anno in Africa, o un giorno alla settimana all’ospedale dietro casa, o
visitando l’anziana in attesa della morte, l’extracomunitario gettato sul
marciapiede. Che ripeto innanzitutto ha bisogno di un sorriso, prima
dell’acquisto della sua paccottiglia.
Invece sono stanco Bats,
tremendamente esausto.
Di scorgere dalla visuale del
mio angolo di mondo fantomatici personaggi che si dicono di sinistra, e
spendono tante belle parole sui loro blog, e poi li ritrovi negli stessi posti
fighetti frequentati dai primi fans berlusconiani, e non possono fare a meno di
bere cocacola perché è buona, anche se sanno benissimo che in Colombia la Coca Cola Company fa
sterminio di sindacalisti, e in India prosciuga di acqua potabile interi
villaggi. Che ad agosto vanno una settimana a stendersi su spiagge esotiche,
dove sono serviti e riveriti come sovrani (forse per compensare la loro vita
occidentale di servi) da schiavi locali, ben consci che oltre il recinto
sorvegliato del villaggio turistico o dell’albergo di lusso la gente vive con
meno di due euri al giorno, uno tsunami magari ha fatto strage d’innocenti, una
guerra impazza (Sharm el Sheik, ragazzi l’Egitto confina con Gaza) e poi magari
si sorprende se qualcuno gli lascia sotto l’ombrellone oltre l’asciugami
stirato e un rinfresco, una bella bomba travestita da vendetta.
Che Terzani l’hanno letto ma
in pratica sono più emuli dell’ Oriana. Che alle manifestazioni per la pace ci
vanno perché è di tendenza, e insomma, a qualche gruppo bisogna pure
appartenere.
Che la loro indignazione dura giusto il tempo di 5 righe in un post, poi via si cambia argomento.
Che insomma la coerenza fra il dire e il fare è totalmente priva di sostanza.
Perché è faticoso, e poco conveniente.
Che la loro indignazione dura giusto il tempo di 5 righe in un post, poi via si cambia argomento.
Che insomma la coerenza fra il dire e il fare è totalmente priva di sostanza.
Perché è faticoso, e poco conveniente.
Che è così vigliacco da non
prendere posizione coi fatti su quegli ideali di cui si fa ventaglio, anche a
rischio di perdere il 90% degli amici, e ritrovarsi poi solo, a sbuffare fumo
da questa mia pipa affacciato sul davanzale di un minilocale al quarto piano di
una città che è in realtà è un deserto e sotto non si scorge quasi più nulla di
umano.
ton Vik.
Lettera di Vittorio Arrigoni
ad un’amica di Berlino
Vittorio Arrigoni (Besana
in Brianza, 4 febbraio 1975 – Gaza, 15 aprile 2011)
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