giovedì 21 novembre 2013

I suoni di una città



Se cerchi il silenzio te ne vai in campagna. Le città parlano. Sussurrano, gridano, fin dalle prime luci dell’alba. Anzi, pare che suonino. Ogni città ha lo stile inconfondibile di un vecchio musicista jazz, di una leggenda venuta da altrove – certamente una città, New Orleans, Parigi, Londra, Bruxelles- e sbarcata dovunque ci fosse la vita. Dove ci sono grandi fabbriche o un porto.
Quando Torino si sveglia, la luce sembra fare a botte con l’oscurità: piazza Castello, piazza Vittorio, avvolte nella bruma rimangono deserte fino a tarda mattinata, e ti sembra che i suoi abitanti abbiano trascorso la notte in ufficio. Ha un suono freddo e incalzante, dove ogni strumento si aggiunge strada facendo, alternandosi alla maniera di viali e controviali, con il senso che è direzione dei flussi. Note lunghe, alla Jan Garbarek, e incedere pieno di ritmo e potenza. O il basso in movimento di Jaco Pastorius in Slang, l’armonia progressiva di chitarre alla Pat Metheny Group, It’s For You. E infatti Torino è per te, anche se non ti saluta per strada.
A Milano invece la vita al mattino brulica, in un caleidoscopio su cui rimbalzano luci dei neon delle metropolitane e dei negozi di corso Buenos Aires. La vita sgorga da terra e la gente è un fiume in piena, allertato dai primi raggi di sole. La sua voce è cool. È il Miles Davis Quintet di Round Midnight, con Miles Davis accompagnato da Wayne Shorter e Herbie Hancock. O il suo duet con John Coltrane in So what.
Roma ha due suoni alle prime luci del giorno. Quello monumentale di Gershwin, la Rapsody in Blue, e l’altro, un tipico bebop. Con i suoi volumi ampi e le architetture improvvise, che alla maniera di vecchi cartelli stradali ti dicono dove e perché sia passata di lì la Storia. Il suo risveglio ha lo stesso respiro di Charlie Parker &Dizzy Gillespie in Hot house.
A Napoli, nuova cosa, i raggi di sole sono colpi di clacson nervosi, con gli attraversamenti di strada improvvisi di gente a piedi poco disciplinata e le vespe e i motorini a sfrecciare tra le auto in coda come in un assalto alla diligenza. La sua alba ha il suono free di Ornette Coleman, l’irruenza di John Coltrane, il disordine metafisico di Sun Ra di Space is the place o la scomposta poesia di Archie Shepp in Things Ain’t What They Used to Be. I suoni di una città possono capirli solo i poeti. Di tutti i quartieri, variazione temporale dell’unico tema dell’inizio, ne riconoscono le tonalità, la frase, non necessariamente urlata per strada e che si indovina dalla lunghezza delle luci che tagliano in due vicoli e strade per poi scavare buchi di vita tra i riflessi dei vetri delle finestre, ficcate a ritmi regolari sulle facciate dei palazzi.


Francesco Forlani, Napoli’s Trivial, in Napoli per le strade






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