Poiché il treno locale che
collegava i villaggi gelati del Bassopiano meridionale dal Tibisco ai piedi dei
Carpazi non era arrivato nonostante le indicazioni confuse del ferroviere che
girava disorientato tra i binari e le garanzie sempre più seccate del
capostazione che ogni tanto usciva di corsa sulla banchina con promesse molto
precise (“ma per favore, questo è sparito di nuovo...” faceva cenno di diniego
il ferroviere con una faccia acida e sardonica), e poiché il convoglio
sostitutivo, formato da due sgangherate carrozze con sedili in legno rimesse in
circolazione solo per “casi eccezionali” e trainate da una vecchia e malandata
locomotiva 424, bene o male era partito, anche se con un’ora e mezza abbondante
di ritardo rispetto all’orario, comunque approssimativo e non vincolante per un
treno speciale, i passeggeri accettarono nell’indifferenza, anzi, con un senso
di rassegnato torpore, la notizia che il treno dell’Ovest, inutilmente atteso,
era stato soppresso, tanto in qualche modo avrebbero raggiunto la destinazione
voluta percorrendo l’ultima cinquantina di chilometri sulla tratta secondaria.
Nessuno si sorprendeva più per fatti del genere,
perché le condizioni dominanti si ripercuotevano ovviamente sul traffico
ferroviario come su tutto il resto:
l’ordine delle abitudini non era più indiscutibile, la confusione si ramificava
indomabile a sconvolgere la normale quotidianità, il futuro appariva insidioso,
il passato lontano e dimenticato, mentre il normale corso delle giornate era
talmente imprevedibile che la gente si era arresa, nessuno si sarebbe più
stupito se d’un tratto le porte avessero cessato di aprirsi o se il grano fosse
cresciuto a testa in giù nel terreno, perché pur avvertendo i sintomi di un
processo di distruzione in atto, le cause sembravano imperscrutabili, e così
non c’era altro da fare che avventarsi tenaci sulle prime cose concrete che si
potevano afferrare, come fece la gente alla stazione del villaggio quando si
lanciò all’assalto contro le porte del treno bloccate dal ghiaccio sperando di
trovare posti a sedere, che in teoria avrebbero dovuto esserci, ma il più delle
volte non bastavano.
László Krasznahorkai, Melancolia della resistenza
László Krasznahorkai, Melancolia della resistenza
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